Piante ortensi di svariate famiglie (Targioni-Tozzetti, Cenni)

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Piante bulbifere o cipolline
Targioni-Tozzetti, Antonio, Cenni storici, 1853
Piante tecniche


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§. X. Di alcune piante ortensi di svariate famiglie.


Le bietole spettano alla famiglia delle chenopodiee di alcuni, o salsolacee di Moquin, e se ne conoscono di due specie distinte, abbenchè Linneo (3), le considerasse tutte appartenenti alla sua beta vulgaris (4). Una peròè indicata dai botanici col nome di beta cicla, o sicla ; e nasce spontanea in Sicilia, ed in altri luoghi dell'Italia. Questaè quella che coltivasi in tutti gli orti col nome semplicemente di bietola, o bietola da erbucce, o bianca, fino da remotissimo tempo, atteso che per lo stesso uso la conoscevano e coltivavano sotto il nome di teyUon i Greci, nel modo che si rileva da Ippocrate (5) da Teofrasto (6), da Dloscoride (7) e da Ateneo (8), il quale ne nomina quattro varietàdiverse ; e quindi anche col nome di beta l'usavano i Latini, secondo che io possiamo rilevare da Plinio (9), da Cicerone (10), non meno che da Marziale (11), il quale la nomina

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(1) Hist.planLL.7. C.4.

(2) V. Sprengel, Hist. rei herb.T. 1, p.220.

(3) Spec. plant.T. I, p. 322, ediz. 3.*

(4) Recentemente anclie il Moquin, In De Candolle Prodr. Syst. nat.T. 13, p.5S, rimette queste due specie come varietÀ, con altre sottovarietàloro alla bela vulgaris ^ come aveva fatto Linneo.

(5) Vict. ration.T. 1, p.404, et de morbis rauliebr.T.l, p.609, edit.cum Foesio.

(6) Hist. plani L.7, c. 2.

(7) Mal.med.L.2, c. 112.

(8) Deipnos. L.9, c. 3, p.371.

(9) Hist.nat.L.19, c. 7.

(10) Opere, L.7. Epislol.26, pag 117.

(ll) Lib.l3. Epigr.l2.


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come una pietanza sciapita. Sicchè da tuUociò si comprende perchè sempre in seguilo se neè mantenuta la coltivazione nei nostri orti, come pianta culinaria. L'altra specieè la vera beta vulgaris, alla qualeè assegnato dai botanici per patria l'Asia centrale, 1’Egitto e le coste marittime dell'Europa Australe (l),ma esclusane l'Italia ; poichè a testimonianza del Bertoloni (2), non si trova questa pianta spontanea nel nostro suolo. Viè però essa estesamente coltivata per la sua grossa e dolce radice, edè conosciuta nel volgo col nome di barbabietola (3). Di queste ne abbiamo delle rosse più generalmente, e altre varietàrosse pallide, dette raoscadelle, e delle bianche o giallastre, dette anche radici di abbondanza, o per contrapposizione, di carestia.

Le barbobietole rosse sembrano originarie della Germania, o almeno in Toscana ci pervennero di lÀ, a testimonianza di Pier Vettorio Sederini (4), e del Padre Agostino del Riccio (5) ; e ciò verosimilmente circa la metàdel secolo XVi. Il Mattioli (6), infatti dice che in Alemagna e nel Trentino, trovò una specie di bietola rossa, le cui radici erano grosse e dolci, e ne parla in modo da non averle vedute che colà. Il fatto certo peròè che gli antichi non conobbero queste nostre barbebietole rosse o bianche, poichè non se ne trova fatta menzione da veruno scrittore Greco o Latino,

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(1) V. Roera. et Schuit. Sysl. vegetab. T.6, p. 290. Decandolie prodr. Syst. nalur. regn. vegetai. T. 13, p. 53.

(2) Flora Italica T.3, p.43.

(3) Queste radici vengono talora grossissirae, ed una di libbre 43 trovasi dipinta fra i fruiti mostruosi che erano alla R. villa di Castello ed ora al Museo di Firenze, citati dal Laslri nel suo Corso di agricoltura T.5, p.222.

(4) Cultura degli orti e giardini p.49.

(5) Agricoltura sperimentale MSS. T. t, carte 2G2. id. agricoltura teorica MSS. carte 109 e 13S.

(6) Disc, in Dioscor.T.l, p.SOO,


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e neppure fra gli Ilaliani da Pier Crescenzio, il quale tratta soltanto della coltura ed usi dell'altra bietola da erbucce (1).

Gli spinaci, spinacia oleracea, essi pure della stessa famiglia delle chenopodiee o salsolacee, di cui adesso tanto neè estesa la coltivazione e l'uso fra noi, sono di patria ignota per i più dei botanici, e nel prodromo del Decandolle (2), si dicono d'Orientc. Furono del tutto ignoti agli antichi ; ma possiamo ritenere, che gli Arabi conoscevano gli spinaci, poichè lo Sprengel (3), dice che si trovano ricordati negli scritti di Eben Alva, di Avicenna, e di Rhazes. Comunque siaè certo però che essi sono estranei all'Italia. Infatti dice il Mattioli (4), lo spinacioè erba nuova, non conosciuta nè scritta se non dai moderni ; e più sotto seguita : vogliono alcuni che gli spinaci ne sieno slati portati di Spagna. In Inghilterra furono introdotti nel 1568 al dire dello Sweet (5). In Italia per altro vi erano conosciuti molto prima, perchè Pier Crescenzio (6) parla degli spinaci e della loro coltivazione, come cosa comune al suo tempo, e gli distingue dall'atreplice, colla quale pianta, per l'uso che ne facevano gli antichi, e per una certa somiglianza di forme si potevano confonderc. Di fatti l'atreplice o spinacione, (Atriplex hortensis), pianta essa pure delle chenopodiacee, originaria della Tartaria e della Siberia, era slata importata fin da antichissima epoca in Grecia, dove si coltivava col nome di atraphaxis, e da dove fu introdotta presso i Romani, che la dicevano atriplex. Usavasi molto in Lombardia nei tempi andati,

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(1) Opus rust. commod. L.6, c. 14.

(2) Tono. 13, p.118.

(3) Hist. rei herbar.T. 1, p. 270.

(4) Discors. in Dioscor.T. 1, p. 486.

(5) Hortus britann. p. 575, edil. 3.

(6) Opus rustical. commodor. L. 6, c. l02.


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ed anche in qualche luogo della Toscana, come lo avverte il Cesalpino (1).

Ma il Mattioli (2), al contrario asserisce, che non si seminava a suo tempo negli orti di Toscana, mentre molto abbondantemente ciò usavasi fare nella Lombardia, per mangiarne le sue foglie, come le bietole e gli spinaci.

Molto in uso sono gli sparagi (Asparagus ofjicinalis) i quali formano il tipo della famiglia delle asparagoidee, ma su di queste piante non mi tratterrò, giacchè come originarie d'Italia, dovevano anche esservi coltivate in antico per mangiarne i rigetti o polloni, secondo che costumiamo oggidi noi. E che cosi fosse, rilevasi da Catone (3) che parla del modo di seminarli e coltivarli, e presso Plinio (4) si trovano ricordali, sotto il nome di asparagi alliles come piante ortensi, dicendoci omnium kortensiorum lautissima cura asparagis : fra i quali ricorda quelli celebri per la loro grossezza di Ravenna, come noi ora apprezziamo per la stessa ragione quelli di Pescia ; e di più furono ricordati gli sparagi da Giovenale nelle sue Satire (5), Oltre ai domestici, i Romani non ignorarono i cosi detti salvatici, che distinguevano col nome di corruda, e che sarebbero l’asparagus tenuifolius dei botanici, da Linneo riguardato come varietàdelVofficinaUs. Di questi sparagi salvatici volgarissirai nelle campagne dell'Italia, della Grecia, e dell'Affrica boreale, noi mangiamo i turioni, o teneri germogli, non mollo grossi, col nome di spazzolc. Dagli antichi scrittori greci nonè stato conosciuto il nostro sparagio domestico, come l'osserva lo Stapel (6),

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(1) De plantis L.4.C.3.

(2) Discorsi in Dioscor.T.l, p. 486.

(3) De re rustica cap. 161.

(4) Hist. nat. Llb. 19, c. 8.

(5) Salir. S, V. 81.

(6) Comment. In Theophrast. pag. 602.


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poichè non è nativo di quella provincia, ma dell'Italia come siè detto, non che della Siberia e del Giapponc. Infatti Vasparagos di Teofrasto (1) sarebbe uno sparagio spinoso, che lo Sprengel (2) riferisce aW'asparagus aphyllus, molto prossimo aiVasparagus acutifolius o asparagus corruda dello Scopoli (3), esso pure spontaneo dell'Italia, ed anche della Grecia, il quale da Dioscoride (4), e da Galeno (5), fu detto asparagus petreus, ed ormenon da altri Greci ; e di queste sole specie, perchè spontanee nelle loro campagne, ne fecero conto come medicamento, e non come cibo.

Una pianta erbacea, la cui coltivazioneè generale in tutti gli orti, e nei vasi ancora sulle finestre presso tutte le basse popolazioni, come ci laciò scritto il Mattioli (6) costumarsi a suo tempo, si è il bassilico (ocimum basilicum) appartenente alla famiglia delle labiate, ed originario di molte province dell'Asia e dell'Affrica, da dove estesosi nella Grecia e nell'Italia,è stalo sempre assai valutato e coltivato come pianta medicinale e condimentaria. Infatti si conosceva il bassilico sotto il nome di ocimon (7) fin dai tempi d'Ippocrate (8), proponendolo esso come rimedio in alcune circostanze ; ed anche sotto un tal punto di vista essendone stato

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(1) Hist. plant. L.l, c. 16, L. 6, c. 1 e 3.

(2) Hist. rei herbar. T. 1, pag. 88.

(3) Fior. Carniolica ediz. 2, T. 1, pag. 248.

(4) Mat. med. L. 2, c. 152.

(5) Facult. simplic. medicam. L. 6.

(6) Discor. in Dioscor. T. 1, pag. S61.

(7) Nolarono alcuni antichi botanici, fra I quali basteràricordare il Fuchsio [Hist. slirp. pag. Si6), che ocimon indicava il nostro bassilico, ed ocymon voleva dire un insieme di erbe fresche da foraggio nella primavera. Cosicchè non si debbono confondere queste voci, nel modo cheè slato fatto da non pochi, e debbono essere ben distinte nel loro significalo, secondo che sono scritte coir* coll'y.

(8) Affect. T. 1, pag. 529, edil. cum. Foes.


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trattato da Teofrasto (1) da Dioscoride (2) e da Galeno (3), il quale ultimo oltre le virtù medicinali, ne annunzia il suo impiego come aromatizzante i cibi. Serapione (4) fra gli Arabi, ne indica le principali varietàcol nome di baderudsch, che pur anche ora si usano. Ma per altro, mentre da alcuni dei citati scrittori, era lodalo per certe sue virtù, specialmente adoprandolo all'esterno, da altri si riteneva al contrario inutile, ed anche dannoso, come può rilevarsi da Plinio (5), il quale riferisce tali opinioni, e le non poche superstizioni che intorno a tal pianta avevano gli antichi. Presso i Romani tuttavia era coltivato per gli stessi usi, essendo che Plinio (6) or ricordato, oltre il dirlo medicinale, lo annovera fra le piante ortensi, come giàfecero anche Catone, Varrone e Palladio, trattando della sementa e coltivazione di questa pianta. Più tardi fu ricordato col nome di basilisca nei Capitolari di Carlo Magno, e nella Physica di S. Ildegarda (7) ; nome corrotto dalla voce grecobarbara basilicon, colla quale per il primo lo chiamò Simon Sethi (8) ; mentre presso gli antichi Greci si conosceva, come siè detto, per ocimon (9). Le molte varietàche di questo vegetabile tanto facilmente si formano col clima e col terreno cambiato ;

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(1) Hist plant. L. 7, c. 3.

(2) Mat. med. L. 2, c. 171.

(3) De facull. alimeal. 2, pag.640.

(4) Simplic. medie, histor. L. 3, c. 6. Nel qaale parla del bassilico carioflllalo sotto il nome arabo di berengemish, e al cap. 7 del bassilico cornane sollo il nome di berendaros e bedarocs.

(5) Hist. nat. L. 20, c. 12.

(6) Hist. nat. L. 19, c. 7.

(7) V. Sprengel hist. rei. herb. T. 1, pag. 222 e 227.

(8) Synlagma da cibarior. facultat. basii. 1538 8.° V. Sprengel hisl. rei. herb. T. 1, p.2i7.

(9) Si vuole che il nome di basilicon gli fosse dato per il suo odore, perchè come dice il Fuchsio ab eodem odore quod basilica et regia domus dignum sii, basilicum hodie nuncupatur.


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sia io riguardo alla grandezza differente delle foglie e della loro tinta verde più o meno cupa, e talora pavonazza ; sia delle spighe più o meno lunghe dei fiori, bianchi o rossastri, e del vario odore che esala, erano conosciute del pari presso gli antichi. L,a varietàcolle foglie più larghe,è detta dai botanici ocinium basilicum majus ; ama un terreno grasso, dentro al quale si mantiene in modo, che le sue foglie acquistano una gran dimensione, prendono la forma cuculiata o concava, e possono talora ricuoprire un piccione torraiolo ; dal che questo bassilico detto anche massimo,è dal nostro volgo chiamto bassilico da piccioni. Alcuni botanici lo dicono ocimum bullalum. Di questo ne parla Pier Crescenzio (1), sotto il nome di bassilico beneventano, e di questo pure sembra che intenda parlare il Soderini (2), quando dice d’Alessandria ne viene con foglie grandissime, tanto che sembrerebbe che una tal varietÀ, ci fosse slata importata dall'Egitto in tempi pia a noi vicini, giacchè cosi grande di foglie, non la ricordano i più antichi. Un'altra varietàviè a odore di anacio o di cedro, la qualeè delta bassilico anaciato o cedralo, indicata dal Rumphio (3) col nome di ozimum cilralum, e dai moderni con quello di ocimum basilicum anisatum ; ed una terza varietÀè V ocimum basilicum glabralum, del Roxbourg (4), distinto col nome di ocimum carijophillatum,, e questaè più specialmente nativa delle Provincie di Bengala, di Giava, e del Ceilan alle Indie orientali. Taleè probabilmente quella descritta dai frati commentatori di Mesue, ma non quella realmente che cariofillata dice il ridetto Mesue, come può riscontrarsi nel Mattioli ed in Bauhino, secondo che più sotto diremo.

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(1) Opus rustical. coramodor. L. 6, c. 44.

(2) Cullar. degli orti e giard. pag. 44.

(3) Herbar. Amboin.T.S, pag. 266.

(4) Hortus Bengalensis pag. 43.


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Un'altra specie ili bassilico dislinla dalla precedente, egualmente originaria delle Indie orientali, e del pari conosciuta dall'antichitàpromiscuamente,è il cosi detto da noi bassilico pino o bassilico gentile, dai botanici chiamato ocimum minus, di foglie molto piccole, ma variabile ancor esso per la grandezza di queste, per r aggruppamento dei suoi rami, per l'odore, colore ec. Di questo pure avvene una varietàcon odore di garofani, ricordala da Pier Crescenzio, dal Rinio nel suo soprallodato MSS., nel quale ne cita anche tutte le altre varietÀ, come ben note nel 1415 in cui fu scritto quel codice, e da Marsilio Ficino nel suo consiglio sulla peste, che scrisse nel 1479, chiamandolo bassilico gariofillalo, cioè minutissimo che ha odore di garofoli (1). Mesue (2), sotto il nome di Alfeleniemic, intendendo indicare il bassilico carioGllato, ricorda questa slessa varietàcome ingrediente del suo eleltuario di gemme ; ed a questo propositoè da notarsi, che il Mattioli ed anche Gio. Bauhino (3) riprendono i frati zoccolanti commentatori del detto Mesue, i quali volevano attribuirsi il ritrovamento di questa varietÀ, che i due or ricordati botanici rivendicano agli Arabi. Di più gli stessi scrittori non credono, che tanto Mesue quanto Serapione (che pur lo ricorda) abbiano inteso dell'altra specie di bassilico comune a foglie grandi con odor di garofani, e col quale, come sopra ho detto, i mentovati frati commentatori confusero la presente specie, giacchè dai predetti scrittori Arabiè descritto il bassilico garofanato col caule quadrangolare e le foglie piccole, vale a dire questo ocimum minus, e non V ocimum basilicum.

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(1) Ediz. di Firenze, per gli eredi Giunta 1322, pa?. 8.

(2) De re medica, lacob. Silvi interprete, L.3.de anlidot. p.283, edlt. 1548 Lugdun. Mesue Opera edil. Veneliis 1565, curanl. ioan, Costa. De electariis pag. 103.

(3) Hist. piantar. T.3, pag.148.


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Destinata agli slessi usiè anche l'altra pianticella, che come condimento dei cibi,è pure coltivata abbondantemente al pari del bassilico. Essa egualmenteè della famiglia delle labiate, e comunemente dicesi maggiorana, e dai botanici origamim majorana (1). In Toscana chiamasi persa o persia, forse come avverte il Mattioli (2) per esserci stata portala dalla Persia, ove nasce spontanea, egualmente che nelle Indie orientali, oell'Arabia, e nei paesi mediterranei dell'Affrica. Comunissima nell'Egitto, egliè probabile, secondo l'opinione dello Sprengcl (3), che da questa provincia passasse ad essere coltivata in Grecia ed iu Italia. A tale opinione potrebbe dar valore il sapersi, che questa pianta da Nicandro (4) e da Dioscoride (5)è nominala sampsuchon, che al dire di Plinio (6)è voce egiziana nella sua origine, e grecizzata dai detti scrittori. Teofrasto (7) la chiama umaracon, da cui la voce amaracus di Catullo (8), e di Virgilio (9) per indicare la maggiorana, sebbene lo Sprengel (10) dubiti che potesse forse questa di Virgilio essere altra specie molto simile, e perciò confusa dagli antichi, originaria della Palestina e di Creta, che Linneo distinse col nome di origanum maru. Con

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(1) Il nome di maggiorana con poca differenza di ortografia e di pronunzia, è comune in molti paesi dell'Europa, come può vedersi nel Neranic polygioUen lexicon P. 2, p.787 ; e secondo lo Slapel (comment, in Theophrast, pag. 688) proviene dalla voce greco-barbara manlzurana.

(2) Discor. in Dioscor.T. i, pag. 717.

(3) Comra. in Diosc.T.2. v,513.

(4) Theriaca vers.617.

(5) Mat. med. L. 3, c. 42, Dioscoride riferisce molli allri nomi, col quali era chiamata in varj luoghi alla di lui epoca.

(6) Hist.nat.L.21, c.3S.

(7) Hist.plant.L.6, c.7.

(8) Carmina LXI. In nuplias Juliae et Manlii vers.7.

(9) Aeneid.L.l, vers. 693.

(10) Comraenl. In Dioscor.T. 2, pag. 51 3.


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tultociò resulta, come lo provò anche il Mallioli (1), ed altri, che il sautisuco, l'amaraco, e la maggiorana sono una cosa slessa, e ciò contro l'opinione del Dodoneo (2). Avicenna parla della pianta in discorso col nome arabo di Morsand schusch, dal quale oggigiorno se neè formata per corruzione la voce mardakusch, colla quale la persia o maggioranaè conosciuta in Egitto. Dal che si vede come era in antico accolta e stimata questa pianta per il suo odore, e come non debba recar maraviglia se la di lei coltiviazione siè trasmessa fino a noi.

E qui, poichè di piante odorose ortensi ho tenuto discorso, conviene che pure ne rammenti adesso un'altra, che noi conosciamo volgarmente col nome di targone, detta dai botanici Artemisia Dracunculus.QMesin appartiene alla famiglia delle composte o singenesie, delle quali ho parlato al §. V, pag. 47, e fra le quali avrei dovuto rammentarla, se la di lei coltivazione fosse per la sua estensione di qualche importanza. Ma poichèè pianta condimentaria, ed in qualche orto allevata in poca quanlilÀ, cosi ho creduto meglio di collocarla in questo paragrafo, a seguito delle altre fln qui dette, comecchè ad esse più analoga per 1’uso. Or dunque questo targone, che da alcuni scrittoriè chiamato anche erba dragone o dragoncello, nasce originariamente nella Russia, nella Siberia, e nella Tartaria. La sua introduzione nei nostri orti, sebbene remota, non loè però tanto che ne possano aver avuta notizia i Greci antichi, e neppure i Latini ; e di fatti il Mattioli (3) rammentandolo col nome di dragoncello, dice che si coltiva negli orti di tutta Italia, e che di esso, nonè memoria alcuna appresso gli antichi Greci, e nemmeno Arabi. La prima volta

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(1) Discors.in Dioscor. T. 1, pag. 89 e T.2, pag. 767.

(2) Hist.norum.el lierbar. coronar, et odorai, p. 296. (3) Discors.in Dioscor. T.l, pag. 628.


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che si trovi fatta menzione di questo vegetabileè presso Simon Sethi (1), il quale quasi contemporaneo di Avicenna, fiori verso la metà del XII secolo, e dal quale fu chiamata con voce grecobarbara tarchon, da cui con molta verosomiglianza ne venne il nome targane, col quale noi Toscani la designamo. Anche Avicenna (2) cita il tarcon, che forse potrebbe essere questa stessa pianta, su di che il Dodoneo (3) resta alquanto incerto che sia. Pier Crescenzio non fa motto di quest'erba, ma Agostino Gallo (4) fra gli antichi scrittori italiani di coltivazione di piante,è il primo che trovo a parlare dell'erba dragone, lodandola nelle insalate, ed insegnandone il modo di seminarla e custodirla ; e posteriormente ad esso ed al Mattioli, il Soderini (5) ne paria come cosa di uso notissimo per V insalate di mescolanza e per le salsc. Cosicchè sin dal secolo XVI questa pianta era ben conosciuta, ricercata e coltivala nei nostri orti di Toscana, senza che possa stabilirsi quando precisamente introdotta, ma per altro, a quanto pare n(n molto avanti il secolo XVI suddetto.

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(1) Syntagina de cibarior. facult. Basiieae 1338.

(2) Canon. L.2. Iractal. 2, c. 682.

(3) Slirpium hi.stor. Petnplad. c. 17, pag.709.

(4) Le venti giornate d'agricnlt. pag. 1 45, dell'ediz. di Venez. 1366 e pag. 123 dell'ediz. di Torino 11)79.

(5) Cultur. degli orti e giardini, pag. 99.