Piante tecniche (Targioni-Tozzetti, Cenni)
A completare la storia delle piante erbacee, che entrano nella nostra coltivazione tanto svariata, si presenta ora una serie di vegetabili, dei quali alcuni sono stati molto in uso al tempo passato, ed altri lo sono tuttora, come utilissimi rami d'industrie agrarie ;
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(1) Syntagma de cibarior. facult. Basileae 1338.
(2) Canon. L.2. Iractal. 2, c. 682.
(3) Slirpium hi.stor. Petnplad. c. 17, pag.709.
(4) Le venti giornate d'agricnlt. pag. 1 45, dell'ediz. di Venez. 1366 e pag. 123 dell'ediz. di Torino 11)79.
(5) Cultur. degli orti e giardini, pag. 99.
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e ciò a seconda delle circostanze locali di ccrlune Provincie Toscane, dove sono più o meno in credito.
E queste piante per essere troppo alla spicciolata, non potrei ridurre scientificamente ad una famiglia sola di vegetabili, perchè ciascuna sotto questo punto di vista appartiene ad altrettante sue proprie famiglic. Ma poichè nel loro complesso possiamo riguardarle tutte applicabili ai bisogni svariati della vita sociale e delle arti, io quindi le riunirò qui in un solo gruppo, sotto il titolo di piante tecniche, per la ragione del loro speciale impiego, non avendo scopo diverso, nè potendo servire di alimento agli uomini o agli animali, come sono quelle di cui finora abbiamo tenuto discorso.
Linum
Che perciò parmi che sia conveniente il cominciare a dire in primo luogo del Lino (Linum usitalissimum L.) (1), come utile a farne filo e tele col tiglio della sua buccia, e ad estrarne olio seccativo per le arti dai suoi semi, proficui pur anco nella medicina per la mucillaggine che di più contengono. Il linoè pianta erbacea originaria di tutta l'Europa, non esclusa l'Italia, contro l'opinione dello Zanon (2), il quale vuole che ci sia stalo portato dall'Egitto, ed anche assai tardi, ove nasce nei campi fra le biade ; ed oltre a ciòè egualmente spontaneo della Siberia e dell'America Settentrionalc. La sua coltivazione, era estesissima presso gli antichi Egiziani, come si rileva dalla Bibbia dove nell'Esodo (3) si parla del lino in questione sotto nome di Poscia senza alcun dubbio. Trovasi pur ricordato in molti altri luoghi della sacra Scrittura con i nomi ebraici di phista e di had, spesso tradotti per bisso, voce generica colla quale intendevasi ogni sorta di tes-
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(1) Della famiglia delle Linose secondo il sistema naturale, e della ci. V. Penlandria, Ord..3. Trigynia del sistema di Linneo.
(2) Lettere sull'Agrlcolt. commercio ec. T. 3, p. 387.
(3) Cap. 9, V. 31.
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suto fine, come più sotto torneremo a dirc. Anche nel libro di Giosuè (1) si legge, che Rahab operuit stipula Uni, i due esploratori mandati a Gerico, per nasconderli ; cioè sotto i gambi del lino, che aveva posto a seccare sul tetto: per quanto 1’Killer (2) dubiti, che quella stipula lini, piuttosto si debba intendere per gambi di canapa, giacchè la voce etz ebraica tradotta per stipula, indica nel suo senso generale e primitivo, sostanza legnosa, come lo sono i fusti della canapa, più di quelli del lino. Ma io non saprei quanto peso si potesse dare a questo dubbio del citato Killer, perchè etz vuol dire anche gambo, stelo, di qualunque sottil pianta. Erodoto (3) accenna alla coltivazione antica del lino presso i Colchi e gli Egiziani ; lo che può essere certificato dal vedersi, che le mummie, almeno una gran parte, erano fasciate con strisce di tela di lino, come ho avuto luogo di verificare, e coi reattivi chimici, e col microscopio (4) in alcune di queste, portate dall'Egitto in Firenze, dal Rosellini nel 18^9, malgrado la di lui contraria asserzione, e come in seguito delle osservazioni microscopiche fatte sopra altre mummie dal Dutrochet (5) si deve ritenere ciò essere di fatto, contro l'opinione di non pochi, incominciando da Erodoto (6), il quale ci disse che gli Egiziani fasciavano le loro mummie syndonis byssinae fasciis incisis, cioè secondo molli di tele di cotone ; che io stesso abbia affermalo il Rouelle (7), il Blumenbach (8), il Bertolo-
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(1) Cap. 2, V. 6.
(2) Hierophyt. P. 2, p. 131.
(3) Histor. L. 2, c. lOa, pag. tSl.
(4) Per le forme disUnle che hanno 1 fliamenti del lino e del coione, esaminali al microscopio, vedasi il mio Corso di botanica e mal. med. Firenze 1847, pag. 289 e 297.
(3) V. in Jameson's Journal, T. 23, p. 221.
(6) Histor. L. 2, p. 142.
(7) Mem. de l'Academ. des Selenc. 1750. c. pag. 130.
(8) V. Opuscol. Sclenlif. di Fran. Tanlini T. 2, p. 149.
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ni (1), il Rosellini (2) ; e che Luigi Bossi (3) abbia creduto, che le mummie fasciate di tela di lino nun fossero forse tanto antiche come le altre fasciate di tele di cotone, con il che sarebbe venuto a conciliare le due opinioni oppostc. Comunque si voglia, lasciando ora a parte questa questione,è certo che gli Egiziani antichi coltivavano il lino, resultando ciò anche dai monumenti e loro illustrazioni dateci dai Rosellini (4), e che parimente ne tessevano il filo (5), e di queste tele di lino gli Egiziani medesimi ne facevano commercio con i Greci (6). Omero ricorda il lino (7) ; Ippocrale (8) parla in più luoghi del lino in filo, e degli usi medici che se ne facevano a suo tempo ; e di più, altrove propone il seme come medicamento. Anche Dioscoride (9) annovera il lioseme, fra i medicamenti ; e Galeno (10) inoltre ci avverte, che si mescolava nel pane per mangiarlo, usanza che vigeva presso i Traspadani al tempo di Plinio (11). Finalmente Plutarco (12), e S. Girolamo (13),
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(1) Disscrl. de quibusd. novis plantts et de bysso anliquor. B')noniae 183S.
(2) Monum. dell'Egilto e della Nubia. Mon. civ. T. 1, p. 358.
(3) Dizion. d'arti e mestieri. T. 18, p. 124.
(4) Monumenti dell'Egitto e della Nubia. P. 2. Monum. civili. p. 333. lav. 33 e 36.
(5) Flavio Vopisco notò che in Alessandria vi erano molli tessitori, e che le loro tele erano vendute a caro prezzo. V. Zanon, lettera sull'Agricoltura comra. ec. T. 4, p. 69 ; Cardano De Subtil. p. 611. Giov. Targioni Tozzelti, Viaggi ec. T. 3, p. 236. Rosellini Monum. dell'Egitto e della Nubia Monum. Civili. T. 1, p. 337.
(6) V. Ferrari, De re Vesliaria. P. 2, Lib. 4, c. 12, pag. 166 Cocchi, Del vitto Pittagor. in nota pag 32.
(7) Iliad. Lib. 18 sul fine.
(8) De phystulis. T. 1, p. 883. De affect. T. 1, p. 324, edici cum Foesio.
(9) Mat. raed. L. 2, c. 123.
(10) De alimenl. facult. L. l, c. 32.
(11) Hist. nat. L. 19, c. 1.
(I2) De Iside et Osiride, p. 332, ediz.di Parigi, in folio, 1624.
(13) Opera, T. 3, p. 347.
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parlano chiararaenle delle vesti dei sacerdoti egizi fatte col lino, i di cui fiori erin? del colore del cielo sereno, vale a dire celesti, come di fatti lo sono. Dopo tutte queste prove, egliè indubitato, che il lino era un oggetto importante di agronomia presso gli antichi popoli Egiziani e Greci. Era ben anche coltivato in Italia dagli Etruschi Falisci (ora territorio di Montefiascone), come si rileva da Grozio (1) poeta al tempo di Ottaviano, e da Silio Italico (2). Non cosi per altro pare che possa dirsi dei Romani, presso dei quali nel periodo della repubblica, non fu valutato il lino, servendosi di lane per le vesti ; e soltanto sotto gl'imperatori pare che si cominciasse ad impiegarlo per questo uso, e per conseguenza a coltivarlo. Virgilio (3) indica il tempo della sua sementa ; e Columella (i) e Palladio (5) fanno lo stesso, ma poco apprezzandolo perchè isteriliva i campi, e vi era poco tornaconto. Ciò prova a vero dire che la coltivazione del lino, sebbene non molto valutata, era tuttavia in un certo uso sotto i Romani.
Ma d'allora in poi non solamente siè mantenuta, che anzi siè accresciuta in Italia ed in Toscana, nel quale ultimo luogo bensi non forma oggetto di esteso commercio, ma di utilitàprivata ed individuale per certi abitanti la campagna. Il Muratori (6), dice che si trova memoria della coltivazione del lino nei bassi tempi, e precisamente nell'anno 896 dell'era volgare, la quale si faceva nel modanese prima che altrovc. Riferisce pur anche lo stesso autore, che in diversi con-
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(1) Cynaegeticon ver. 40.
(2) De bello panico, L. 4, v. 223.
(3) Georg. L. 1, V. 212.
(4) De re raslica L. 2, c. 7 e 10.
(5) De re rustica L. 11, tlt. 2.
(6) Anlich.ital.T. 1, DIsscrI. 13, p. 103.
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tratti di livelli nelle carte di Ravenna degli anni 1106, 1123, 1174, vi era l'obbligo, oltre alcuni particolari derrate, di dare una certa quantità di lino (1). Dal che può rilevarsi, che la di lui coltivazione ha formalo in Italia tutta, un ramo più o meno esteso di commercio agrario da remoto tempo, riducendolo da salvalico e spontaneo, a domestico e coltivato.
Cannabis
Non può lo stesso dirsi della canapa cannabis sativOf della famiglia delle orticacee, la qualeè pianta originaria delle Indie orientali, e di làimportata nel nostro emisfero. Erodoto (2) ricorda questa pianta come mollo coltivata a suo tempo dagli Scili ; e se si dovesse star dietro all'opinione dell'Hiller, di ritenere cioè per canapa la stipula lini^ sotto la quale furono nascosti gli esploratori di Gerico, come si ha dalla Bibbia, e come sopra ho ricordato parlando del lino (3), si potrebbe dire che gli Egiziani giàcoltivassero la canapa. Su di che per altro non possiamo troppo fondarci. Teofrasto non parla della canapa ; Dioscoride ne tratta (4), e la dice utilissima a farne tenacissime funi, io cheè ripetuto anche da Plinio (o). Galeno (6) ne racconta le virtù medicinali, edè per questo motivo che era pianta conosciuta dall'antichità. A tempo dei Romani peraltro fu introdotta molto più tardi della cultura del lino in Italia, poichè Virgilio parla di questo e non di quella, ed il primo che ne tratti, ma di passaggio,è Varrone (7) e dopo lui Columella (8), ma brevemente, e Palla-
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(1) Muratori, I. c. Dis9ert.24, T. t, p. 349.
(2) Histor.L.'i, p. 114 e 113.
(3) Pag. 87.
(4) Mat.med., L. 3, c. 165.
(5) Hist. nat., L.19, e 9.
(6) Sirapllc.facull., L.7, c. i03.
(7) De re raslica, L.l, c. 23.
(8) De re rustica, L.2, c. 10.
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dio (1). Sicchè la canapa, di cui ora neè estesissima la coltivazione nelle pianure di Lombardia e della Romagna, ebbe il suo principio nei secoli remoti, senza che se ne possa stabilire con precisione l'epoca (2). Gli Arabi conobbero la canapa, ma non apparisce che ne facessero filo, servendosi soltanto delle di lei foglie e semi, per fumare e per comporre dei preparati da prendersi per bocca in sostituzione all'oppio, onde esilararsi ed esaltare fantasticamente le loro idec. Gli Egiziani nel XVI secolo se ne servivano a questo oggetto, come si rileva da Prospero Alpino (3), e come sappiamo essere sempre in uso tal costumanza, la quale costantemente siè sempre mantenuta presso la maggior parte dei popoli dell'Asia e dell'Affrica, secondo le relazioni di antichi e di moderni autori (4) ; fra i quali più recenti, non può tacersi l'O'Shaughnessy (5), il quale parla estesamente degli effetti narcotici della canapa, giànoti nel sud dell'Affrica, nella Turchia, in Egitto, nell'Asia minore, nelle Indie orientali e nell'America meridionale, dove tutti gli oziosi l’adopraoo in fumo per ubriacarsi. L'usanza molto antica di farne colle foglie e semi suoi dei preparati inebrianti da prendersi per bocca, ha fatto credere che potesse essere il nepenthes di Elena, di cui parla Omero (6). E qui per inci-
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(1) De re rustica. Februar. Ut. S.
(2) Sulla coltivazione in antico della canapa, il Prof. Gio. Conti ne Ila letto una memoria all'Accademia delle scienze dell'Istituto di Bologna, V. nuov.ann. delle scienze naturali di Bologna. T.6, p.6f. Ragazzoni reperi. d'Agric.T. 13 p. 37.
(3) De medic. aegyplior.L.4, p.258.
(4) Galeno de alim.ricult. L. 1, c. 34, ci. 2, p. IS. Kaempfer. Araoen.p.64S. Chardin Voyag.T.4, p.207. Rumphio Amboin., T.5, L.8, c. 34, p.208.Tunberg.voyag., T. 1, p.237,eT.4, p.S4.Journ. de chim.raedic. 1842, T.8, p.S96. Erodoto nelle sue istorie, lib.4, p. 313, racconta che gli Sciti si inebriavano col fumo del semi di canapa, hoc odore gaudenles, scylae fremunt,
(5) On the preparations of indian hemp or gujah. Calcutta 1839.
(6) Odissea, L.4, v. 220, V.Pereira, Elemeots of themat.med. end ther. T.2, p. 1723.
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denza giova osservare, che varj medici moderni hanno cercalo d'introdurre nella nostra terapealica e Oiateria medica alcune preparazioni, che colie foglie di canapa se ne fanno, proclamandone a dosi moderale le virtù calmanti e narcotiche, in sostituzione all'oppio (1) ; per il quale scopo hanno indicalo sempre, credendola una specie difTerente, la canapa indiana (5), la quale a vero dire non dilTerisce dalla nostra, se non che per essere raccolta spontanea e salvatica alle Indie orientali, e per essere in conseguenza più piccola, e forse anche più attiva, mentre la nostra in forza dell'essere coltivata artiflciosamenteè mollo più grande, raa anche meno virosa. Di questa identitàindubitata, ne fanno fede il Roxbourg (3) ed il Pereira (4). Peraltro in veruno dei luoghi fuori d'Europa se ne fa conto per farne filo, avendo specialmente nelle Indie orientali altre piante che destinano a quest'uso (5). In Italia sul principio che vi fu introdotta la canapa, pare piuttosto che a farne tele, vi fosse valutata per farne funi e cordami, come si rileva da Plinio (6). Peraltro l'utilitàdel tiglio di questo vegetabile, dovè presto esser conosciuta, per estenderne l'impiego a far tele, e quindi nonè meraviglia se si propagò per tutta Italia, e nelle grasse pianure della Lombar-
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(1) V. il mio Cor-so di botan.e mal. raed., Firenze 1847, p.626. Secondo i varj paesi e secondo le differenti preparazioni si trovano queste indicale coi nomi di gunjacti, na ;idjone, tiadshi, achach, bachicti, sidtiee, subjee, bang, currus ec.
(2) Non bisogna confondere l'attuai canapa indiana o cannabis saliva, con altra pianta totalmente diversa, cuiè stato dato lo stesso nome volgare ; e cheè i’apocynum androsaemifolium.
(3) Flora Indica. T. 3, pag. 772.
(4) Elements of mal. med. and ther,ipeQt.T.2, pag, 1096.
(5) Adoprano alle Indie il tiglio di varie piante, come sarebbe quello dcW'urlica nivea, deiVurlica helerophylla, de\i’Hibiscus cannabinus, deiVnibiscus Sabdariffa, AeW'Yuleo corchorus capsularis, della musa texlilis, di varie qualitàdi ananas, e di Agave ec., colle fibre delle quali piante formano cordami, e tessuti anche molto sopraffini.
(6) Hist. nat. L. 19, c. 9.
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dia, la di lei coltivazione (1). lotoroo a che nota Pier Crescenzio (2), il modo di ottenere quella alta a dar tiglio per funi, e quella capace di far tele da sacchi, lenzuoli e camice, come egli dice, per lo che si vede, che giàera a tali usi impiegata comunemente da molto tempo indietro.
Gossypium
Oltre il lino e la canapa merita fra le materie testili essere ricordato il cotone, voce derivata dall’araba Koton (3). 11 cotone di cui molte specie e varietàse ne conoscono, comprese dai botanici sotto il genere gossypium, appartiene alle malvacee, e la più ovviaè il gossypium herbaceum ; ma altre specie ve ne sono tutte originarie delle Indie orientali, abbondantemente ora coltivate in molti luoghi dell'Asia, dell'Affrica, non che dell'America, dove la dolcezza del clima lo consente ; lo che dà luogo anche a questa coltivazione nelle Provincie meridionali dell’Europa, non esclusa l'Italia inferiore, cioè il regno di Napoli e la Sicilia.
Lasciando a parte le specie e varietà differenti che questo genere gossypium comprende (4), noteremo al-
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(1) Nella concordia fatta nel 1271, fra il cornane di Modena con quello di Lucca per le gabelle di molle merci, viè notalo anche de soma canepina. V.Muratori, Ani. ilal.V.2, pag. SI, disserlaz. 30.
(2) Opus ruslical.coramod.L. 3, c. 6.
(3) Secondo il Mongez (Journ. des Savanl. 1823, pag. 177) il nome di cotone viene dall'arabo g'hoUon, derivalo forse da CoUonani (oggi Canara), conlrada delle coste del Malabar, da dove le navi degli Arabi lo trasportavano per la via del Golfo Persico e del Mar Rosso. Il nome Sanscrilto Karpasam indica il cotone, dal che xaitpuaaos che Arriano adopra per significare la pianta colla quale alle Indie orientali fabbricavano le tele comuni di coionc. Il carbasus di Lucrezio, era il tendale dei teatri che serviva a difendere dal sole gli spettatori, e che perciò da taluno fu creduto che questi tendali e le vele carftasme degli antichi fossero di tela di coionc. Pare che Giacomo de Vitry (Hist. Orienl. L.l, c. 83), andato colle crociate in Palestina, e morto nel 1244, sia il primo europeo che abbia usata la voce coaoji.
(4) Per le varie qualitàdi piante di cotone, v. Lasleyrie, Del Cotoniere, e sua coltivazione ce., tradotto da Luigi Targioni ec. Napoli 1809, pag. 61. Tenore", Mem. sulle diverse specie e varietàdi cotone coltivale nel regno di Napoli, 1839.
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cune generalità di questo piante, le quali forniscono quella peluria bianca, che ne involge i semi, dentro alle cassule o fruttti maturi, e che o in stato di lanugine, o filata e tessuta, serve a tanti svariali e comuni bisogni delle popolazioni.
L'abbondanza del cotone delle Indie orientali, dette motivo, fino dalla remota antichitÀ, ad un commercio delle tele con esso fatte (Hntea xylina) coli’Egitto, come lo racconta Fllostrato (1), le quali tele pagavano sotto Tolomeo Epifone una tassa o gabella d’introito, per quanto si rileva da un monumento geroglifico stato scoperto a Rosetta (2). Passatane quindi la coltivazione delle piante, da primo nell'Arabia, si estese dipoi anche nell'Egitto, ma non nel basso Egitto, poichè nessuno scrittore ce lo dice, ed invece tutti nominano il lino, quivi esclusivamente coltivato, che prendeva il nome dal luogo ove si raccoglieva, secondo che ce io insegna Plinio (3).
I Greci conobbero la peluria del cotone col nome di Xylon, nel modo che cosi sta scritto in Erodoto (4) e come lo fa osservare Plinio (5). Ed oltre a ciò, da Suida (6), da Myrepso (7), e da altri Greci, fu nominata pam&aos, bambax, bambacion ec, dal che ne venne l'italiano bambagia. Si vuole che Galeno (8) abbia inleso parlare del filo di cotone, sotto il nome di elychnion, della qual cosa non conviene il Mattioli (9),
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(1) In vila Apollon.L. 2, c. 20.
(2) Analyse de l'inscript. hyerogliph.du monam. Irouvè a Rosette ec. Diesde 1804, pag. 167. Berloloni, Dissert. dequibusd. nov. piantar, generib. ec., et de bysso anliquor, pag. 9. Mongez, Sur le bysse ec. Journ. des Savants. 1835, pag. 176.
(3) Hist. nat. L. 19, c. 1.
(4) Histor.L.3, pag. 230, e L.7, pag. 540.
(5) Hist. nat. L. 12, c. 10, L.19, ci.
(6) V. Stapel Comment. inTheophr. pag. 426.
(7) Secl. 1, de Anlidolis. pag. 425.
(8) Melhod. raedendi 13, e 5.
(9) Disc, in Dioscor. T. 1, p.440.
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avvertendo di più, che tanto Galeno che Dioscoride, non hanno fatto menzione di questa pianta. E per quanto Giovanni Bauhino (1) pretenda, che Dioscoride suddetto, parlando deW Acantion al L. 3, c. 18, abbia indicato il cotone, tuttavia ciò nonè vero ; perchè questo scrittore dice che l'acanzio (riferibile aWOnopordon acanthium o illiricum dei moderni botanici), ha le foglie aculeate, e ricoperte da una lanugine simile ad una tela di ragno, colla quale filata e tessuta, se ne fanno vestes bomhycinis similes^ cioè simili alla seta. E questa versione adottata dal Mattioli in italiano, e dal Laguna in spagnolo (2),è la vera, atteso che il cotone ha la peluria nei frutti e non nelle foglie, le quali non sono neppure spinose.
Nella Bibbia ebraica (3) trovasi la voce scese, tradotta nella volgala per bisso (byssum), ma nella maggior parte delle altre versioni in varie lingue, vi si spiega per lino fine ; cosicchè Olao Celso (4) sostenne, non essere il bisso altro che lino, e tale opinione fu seguita da molti. Tuttavia lo Scheuchzero (5), il Galmet (6), il Rosellini (7) e molti altri, sono concordi a volere lo scese o bisso, non essere altro, che il cotonc. Al qual proposito gioveràriflettere, che nei Paralipomeni L. 1, c. 15, sta scritto che era David indutus stola byssiio.... et eliam indutus eral ephod lineo ; e che Pausania (8)
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(1) Hist. plant. T.t, p.343.
(2) Pedac. Dioscoride Acerca, De la raat. raedicinal ec. tradagido par el Dr. Arsdres de Laguna medico de lui. Ili eic. Anvers 1SS5, pag. 273.
(3) Exod. c. 23, v.S, c. 28, V. 30 e 42, ed id molti altri luoghi.
(4) Hierobotan. P. 1, pag. 507. P.2, pag. 169 e 283.
(5) Physiq. Sacrèe, T.2, pag. 137.
(6) Diclioan. histor. criliq. Sacrae Scriplur.
(7) I Motium. deU'Egillo e della Nub. Monam. civili T. 1, pag. 134.
(8) Giaeciae descripl. L.5, pag.294, edit. Hanoviae leiSI.^cum Xyiandro, Est enimvero Eleorum ager el caelera ferax, ci byssum educai felicissime, Cannaben quidem, Unum, el byssum serunl.
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dice aver visto seminare in Elide (o Morea occidentale adesso) il bisso o cotone, insieme col lino e colla canapa ;perlochè si concepiràfacilmente, che vi era una ben distinta e conosciuta dififerenza, fra il tessuto di lino, e quello di cotone o bisso. Il Galmet (1) dice che il bisso era un lino perfettissimo, col quale i sacerdoti facevano delle vesti ; e che nella sacra Scrittura sono da distinguersi tre sorta di bisso, confuse per lino. Una era il bad in ebraico, cheè propriamente il lino ; l'altra era lo scese, cheè il cotone, la terza il buz o veramente il bisso, o seta della conchiglia detta nacchera, o pinna marina, degli zoologi. Quale ultima materia setacea comparirebbe da vari passi della Scrittura (2), troppo abbondante, da non poter credere che buz significasse, o almeno sempre, questa seta di nacchera, la quale nonè in tanta quantitàda poterla sprecare, ancorchè in oggetti di lusso, come parrebbe che fosse stato fatto ai tempi biblici. E qui accenneremo anche l'opinione dello Sprengel (3), il quale ci dice che il cotone nella Bibbia viè indicato coi doppi nomi di bad e di buz. Il Rosellini poi riferisce il piscia ed il bad del testo ebraico della sacra Scrittura al lino, e lo scese ed il buz al bisso o cotone, voci tutte ricordate in più e più luoghi della stessa Scrittura (4) ; dal che si concepiràla molta confusione che sempre rimane in questa questionc. Polluce nel Lib. 7 dice essere il bisso appresso gli Indiani una specie di lino, che Pausania
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(1) Dlclion. hisCoricum critic. ec.lacrae script. L.l.
(2) Paralipora. L.5, c. 2. Novil operavi in auro argento.., hyacimo l'I 6j/sso ; ivl.L.2, c. 3, fuil quoque velutn ex hyacinlho, purpura, croco et bysso ; ivi.L.2, c. 8. Levilae... vestili erant byssinis. Ester ci, el pendebant ex omni parte tenloria... sustenlata funbius byssinis. Ezechlel 27, 16, el byssum et sericum, dal che si vede che erano dae cose diverse il bisso e la seta.
(3) Hist. rei herb. T. 1. p. 18. ii) V. Rosellini Monum. civili dell'Egitto ec.T. 1, pag.344.
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e Filostrato avvertono ottenersi da un albero (1). Difatti tali erano gli alberi eriofori di Teofrasto (2), e gli alberi lanigeri di Erodoto (3) e di Plinio (4) e quelli degli Etiopi molli canenlia lana nominati da Virgilio (5), vale a dire quella specie di cotone fruticoso o quasi arboreo, che oggi i botanici distinguono col nome di Gossijpium arboreum, senza per questo negare che anche altre specie, come sarebbero il vilifolium, il religiosum il suffrulicosum ed alcuni altri, essi pure frutescenti e del pari tutti nativi delle Indie orientali, potessero essere stati adoprati, e molto facilmente confusi insieme dagli antichi.
Vuoisi che queste specie fruticose o di apparenza arborea, o almeno alcune di esse, fossero coltivate a preferenza nell'Arabia e nell'Egitto, trasferitevi dalle Indie, e che quella detta Gossypium herbaceum, si coltivasse non tanto nell'Egitto, come anche quasi unicamente in Siria ed in Greta, per essere più facile a sopportare un clima meno caldo. E qui in proposito degli alberi lanigeri degli antichi,è bene riflettere coll'appoggio delle salde ragioni addotte dal chiarissimo prof. cav. Bertoloni (6), che non può sussistere l'opinione di taluni, i quali pretenderebbero che il bisso e la lana prodotta dagli alberi, non fosse il cotone, ma la peluria di uno dei tre principali bombax, indigeni egualmente delle Indie orientali, i quali crescono a grandissime altezze (7). Ma la lanugine dei frutti, seb-
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(1) V. Stapel, comment. in Theophr. pag. 426.
(2) Hist.plant.L.4, c.9.
(3) Historiar.L. 3, c. 106, pag. 230.
(4) HisI.natur. L.12, c. 10, e L. 13, c. 14.
(5) Georg. L. 2, v.120.
(6) Disserlat.dequibusd.plaalar. gener.et de bysso anliquor. ec. pag. 13.
(7) Questi sono: 1.° il Bombax penlandrum L., o Eriodendron anfracluosum D.C. 2.° Bombax Malabaricum D. C., o Bombax hepta-
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bene finissima e lucida,è troppo corta, per potersi filare, ed in troppo piccola quantitàda supplire ai bisogni, per i quali poteva essere destinato il cotone nei remoti secoli, e del quale abbondantissimo fin d'allora ne era il consumo.
Ai tempi degli antichi Romani non era certamente coltivato il cotone in Italia, per quanto il Belonio (1) alTermi il contrario, ma gratuitamente, giacchè Plinio (2)è il solo che parli del cotone, gossypium e ocylon da lui detto, come merce esotica, e conosciuta dai Latini, ma non come prodotto dall'agricoltura italiana di quei tempi ; nè veruno dei geoponici antichi fra le altre piante che formavano soggetto di coltura in quei secoli, lo rammenta. Perciò si può supporre che in Italia fosse portato dall’Egitto come merce, alfin di supplire al poco consumo che se ne faceva. Parimente Pier Crescenzio nulla ne dice, e ne tacciono pur anche il Tanara ed il Soderini, che vissero in tempi a noi più prossimi. Contuttociò nel Liber de simplicibus di Benedetto Rinio Mss. del 1415, viè benissimo effigiato il grossijpium fierbaceum, da far conoscere essere copiato dal vero.
Il luogo che in Europa ebbe per il primo con molta probabilità questa coltivazione, si fu la Spagna ; dove ve lo poterono introdurre i Saracini nella loro invasione. Tale opinione potrebbe avere un appoggio, nel sapersi che Eben-EI-Awam di Siviglia, nel XII secolo, scrisse un trattato di agricoltura (3), nel quale
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phyllum Cavati. 3.° Bombax gossypium L. o cochlospermum gossypium Kunt.V.Decandollc. Prodr Syst.nat.T. 1, pag.479 e 527.
(1) Singulariles, pag. 13.
(2) Hist. nalur. L.iy, ci.
(3) Questo Irallalo d'agricollura di Abn-Zaccaria-Saliaia-AbenMotiarael-Ben-Aluncl-Ebn-El-Awam, di Siviglia, che laie era il lungo norae di questo autore, fu tradotto dall'Arabo In Spagnolo nel 1802 da Gius. Bangueri, e stampato con grandissimo lusso.
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parlò a lungo della coltivazione del cotone in Spagna, raccogliendone le notizie ed i precelti da scrittori Arabi, Egiziani e Persiani (1). Per la qual cosaè da credersi che tal coltivazione dalla Spagna fosse estesa in altre provincie dell'Europa mediterranea (2) ; ma contutlociò si vuole che in Sicilia vi fosse giàcoltivato il cotone in grande, fino dall'XI secolo (3).
In Puglia al tempo del Porta (4), che cessò di vivere nel 1515, era copiosamente coltivala questa pianta ; e pare che fino ai giorni nostri se ne sia mantenuta più o meno questa pratica in Calabria, intorno a Napoli, a Castellammare ed altrove, la quale in tempi del blocco continentale sotto l’Impero di Napoleone, produceva molto profitto (5).
In Francia vi fu trasferito il cotone erbaceo dall'Italia, secondo che lo assicura il Ruellio (6), e ciò verso il principiare del secolo XVI, per quanto si può congetturarc. In Inghilterra, a testimonianza dello Sweet (8), il cotone erbaceo fu fatto conoscere nel 1594, l'arboreo nel 1694, il religiosum nel 1777. In Toscana era noto al tempo di Cosimo III, perchè come pianta di curiosità era coltivata al Giardino botanico dell'Universitàdi Pisa ; nel catalogo del qual giardino, pubblicato da! Tilli, nel 1723, si trova notato, sotto il nome
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(1) V. Lasleyrie, Del cotoniere ec. L. e.
(2) Lasleyrie L. c. pag. 19.Brawn, De veslilu Sacerd.haebreor. L. 1, pag. 124. Berloloni, Dissert. de quibusd. plantar. et de bysso antiq. L.c.
(3) Lasleyrie, Del cotoniere ec. L.c. Il PegoioUi nella sua Pratica della mercat. che scrisse nel XIV secolo, parla del coione frequenlemenle come un articolo di mercanzia portalo In Europa dalle Indie e dal Levantc. V.Pagnini della Decima, T.3.
(4) Villae ec. L.12, pag. 900, ediz.Francof.lS92.
(5) Tenore Mem. sulle diverse specie e varietàdi cotone coltiv. nel Regno di Napoli ec.
(6) De natura slirpium L. 2, c. 130.
(7) Hort.britann. edit. 3, pag. 78.
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di Xylon, tanto il cotone erbaceo che 1’arboreo. Non abbiamo per altro memoria che il cotone fosse mai seminato in una certa estensione in Toscana nei tempi addietro, sebbene vi fosse conosciuto come mercanzia, poichè nel transitare dallo stalo di Lucca in quello di Modena fu convenuta nel 1281 fra i comuni delle due dette cittÀ, la gabella per ogni soma bombacis cuiuscumque conditionis (1), e soltanto abbiamo per certo che la di lui cultura fu reiteratamente sperimentata a Radicondoli nei senese, dal cav. Eduardo Berlinghieri, il quale scrisse nel 1790 le regole da seguirsi per questo scopo, e le inviò all'Accademia dei Georgofili, negli Atti della quale furono stampate (2). Quindi nel 1808 fu incoraggiata dal governo Napoleonico la sementa del cotone ; per lo che l'Accademia dei Georgofili pubblicò in allora un’istruzione relativa a questo soggetto (3). I tentativi bensi che furono fatti da alcuni possidenti, essendo riesciti poco favorevoli, a motivo dell’incostanza delle stagioni nel nostro clima all'epoca della maturitàdei frutti, fecero abbandonare questa industria, la quale ora non potrebbe più sopportare la concorrenza commerciale dell'Egitto, delle Indie e dell'America, da dove ci viene importato in tanta abbondanza, e a si basso prezzo ; e giàanche nel regno di Napoli per questa stessa ragione, se neè notevolmente ristretta la coltivazione.
Tinctoriales
Come corredo in certo modo delle piante filamentose ora ricordate, possiamo riguardare le piante tinto-
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(1) Muratori, AnlicliilàItaliane T. 2, pagSO.Dissert. 30. V. anclie il Pegololti, Pral. della mercat. doveè spesso nominato il cotona mappulo, cioè il cotone non filato, e la bambagia o il filato, fra le tante sorta di naerci che si trasportavano dal Levante in Europa ; nell'opera del Pagnini ;, intit. Delia decima, tom. 3.
(2) T. 3. pag.l.
(3) Istruzione dell'Accademia dei Georgofili sulla maniera di coltivare il cotone in Toscana, firmata dottor Ottaviano Targioni-Tozzetti, cav. Giov.de Bailloa, e dottor Sarchiane.
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rie, perchè esse servono appunto a tingere i fili e le tele : e di queste ben anche in Toscana molle furono le coltivazioni che se ne fecero nei passati tempi, perchè la ristrettezza del commercio per la difficoltàdelle comunicazioni, ci privava di molli prodotti esteri, o ce li faceva esser troppo rari e costosi. L'arte della lana, tanto copiosamente esercitata in Firenze ed in Siena, nei tempi di Repubbliche, richiedeva anche la tintura dei panni, ed anzi gran quantitàdi questi veniva dall’estero appunto per tingersi, essendo accreditatissima nelle molte fabbriche, la tintura in turchino, in rosso, in nero ec.
Per il colore turchino e per tutte le sue scale, non essendo in allora troppo in uso l'indaco, che ora ci viene principalmente dall'America, o almeno era raro e costoso quello che veniva dalle Indie orientali (1), si adoprava il guado (Isatis tinctoria), pianta della famiglia delle crucifere, ed originaria dell'Italia, e di quasi tutte le altre Provincie dell'Europa, non che dell'Asia Occidentale (2). Questa sua qualitàtingente dovuta all'indaco che contiene, era nota fino dai più remoli secoli, poichè i Britanni o antichi Inglesi, in allora barbari, si tingevano di turchino tutto il corpo col sugo del guado, come narra Giulio Cesare (3), qual pianta nasceva spontanea anche fra loro, e ciò forse facevano
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(1) Si osservi di fallo che il PegoioUi nella sua Pratica della mercatura, scritta verso la metàdel secolo XIV, fra le droghe delle quali era gran conamercio coli’oriente, nomina l'indaco di differenti qualitàe provenienze, e tulio delle Indie orientali, e nomina pure il guado, sicchè fin d'allora erano conosciute ben dislinlamenle queste due droghe tintorie.
(2) V. Bertoloni, Fior. Ilal.T.6, pag.613. Decandolle, Syst.vegetab,T,2, pag.S69. Linneo in Analecla transalpina, T.l, pag. 159.
(3) Comment. in bello Gallico L. 3, c. 14. Siè preteso anzi che dalla voce celtica briih, che vuol dire guado, per l'uso che ne facevano quei barbari, fossero poi detti Britanni.
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per incutere terrore nei combattimenti. Quest’uso di tingersi in tal modo nella persona,è confermato da Pomponio Mela (1) e da Plinio (2), il quale racconta che in tal modo si tingevano i Daci ed i Sarmati, e le donne britanne parimente, per trasferirsi nude a certi sacrifizi. L'uso poi che se ne faceva del guado in antico per tingere in turchino le lane,è certificato da Dioscoride (3) da Vitruvio (4), da Plinio (5) e da Galeno (6) come cosa comune e ben nota in quei secoli Questa pianta era chiamata dai Greci isatis, dagli antichi Belgi glass o glast, e dai Germani Weid, o Waid donde sembrano derivali i nomi glastum presso dei Latini, guede o gueste presso dei Francesi, guado presso degli Italiani, e guato ancora, come dicevasi al Borgo S. Sepolcro (7). Taluno ha creduto che questi nomi venissero dal Celtico glastum o guastum (8), voci che lo Sprengel (9) fa derivare piuttosto dal latino, nella quale lingua era ben anche detto vitrum (10). Oltre il conoscer bene la pianta, gli antichi la distinguevano in salvatica o spontanea, ed in domestica o coltivata (11),
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(1) Geograph. de silu orbis L.3, c. 6.
(2) Hist,nat.L.22, ci.
(3) Mal.mod. L.22, c. 5, e L.S, et 07.
(4) De Archilect. L.7, e 14. (5) Hist. nat.L.20, c. 3, e L.3S, c. 6. (6) Simpl. medie, facult. L. 6, p.48.
(7) Giovanni Targioni-Tozzelti, Viaggi per la Toscana, T. 4. pag.29o.
(8) Ved.Lasieyrie, Du pastel, de l’indigo ec. pag. 1.
(9) Commenl. in Dioscoride, T. 2, pag. 489.
(10) Nocca illuslr., piantar, in Julii Caesaris commenlar. ; nel Brugnatelli giom.dl fis.cliira.slor. nat.ec, Selt. e Ollob.l8l2. Saimas, exercil. Plinianae, T.2, pag. 936.
(11) Marcello Virgilio (Inlerpret. in Dioscorid.) dice che l'arllcolo dell’isalide silveslre allribuilo a Dioscorideè apocrifo, e ciò lo confernaa lo Sprenge!, come anche in Plinio sono (roppo diverse le definizioni dell’isalide silveslre e doraeslica, da dover ritenere queste due piante per semplici varietà. Il Cesalpino crede che il guado
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poichè in molli luoghi, benchè vi nascesse da sè, tuttavia per supplire ai bisogni della tintoria, se ne facevano estese coltivazioni. In Spagna per esempio anche prima del secolo XII vi era coltivalo il guado, attesochè Eben-el-Awam, altra volta citato per il coione, nella sua opera d'agricoltura parla di questo vegetabile, del modo di seminarlo, di raccoglierlo, e di prepararlo per l'uso delle tintoric. In Italia pure si coltivava in molti luoghi, ed il Mattioli (1) ci ha lasciato il ricordo del molto prodotto che se ne aveva al suo tempo nella Marca appresso a Nocera, in una terra più parlicolarmente che nelle altre, chiamata Gualdo, nome veramente datoli dal molto guado che vi si semina e vi si raccoglic. In Toscana nei floridi tempi dell’arte della lana, se ne seminava moltissimo in varj luoghi, ma piii che altro, e da epoca assai remota, nella campagna di Montepulciano e del Borgo S. Sepolcro. Resulta infatti essere stato molto esleso a Montepulciano questo traffico anche coll'estero, da un contratto del 1347, stipulato fra una societàdi Fiorentini e Montepulcianesi, col quale vendevano a certi mercanti di Valenza per il prezzo di 800 fiorini d'oro, libbre 45,000 di guado. Di più certificano la mercatura di questa derrata nello stesso paese, due sentenze del 1305 e 1309, relative a differenze insorte fra alcuni mercanti di guado, documenti tutti allegati dal Repetti (2).
Anche a San Sepolcro estesa ne era la coltivazione, e con molta cura protetta, poichè negli statuti di quella cittàal libro V, rubrica 25, vi sono stabilite
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salvalico sia la plumbago europaea, ed il Lobel che sia la saponaria vaccaria. Ved. OllavionoTargioni-Tozzelli, Lezioni d'Agricoli. T. 2, pag.136.
(1) Discors. in Dioscor. T. 1, pag. 670.
(2) Sull'abbandono della colliv. dello zafiferano ec. Alli dell'Accad. dei Georgofili, T. 19, pag. 37.
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le regole ed ordioi da seguirsi con molto rigore, nella raccolta, maoipolazione, e quanto altro concerne la riduzione delle foglie in pani, per l'uso delle tintoric. Pier Vettorio Sederini (1), parla del modo di coltivarlo e lavorararlo, aggiungendo, che fassene grande impresa per i tintori, e cheè di gran guadagno, e da non trascurarsene la sementa. Questa coltivazione per altro dacchè fu importato dall'America l'indaco, andò sempre diminuendo, e poco ora se ne coltiva per fare il piede come dicono i tintori ai loro vagelli, o tini in turchino. In Roma contuttociò per incoraggiare la sementa e raccolta del guado, nel 1652 fu preso il poco proficuo espediente di proibire l’introduzione per gli stati pontificj dell'indaco d'America (2). Nel tempo del blocco continentale sotto il dominio Napoleonico, fu dal governo incoraggiata questa coltivazione in tutta la Francia ed Italia, colla veduta di ricavarne dalle foglie la parte colorante, ossia l'indaco, per supplire al bisogno delle tintoric. Al quale oggetto ne furono in Toscana fondate due fabbriche nel 1808, delle quali una in Firenze, l'altra al Borgo San Sepolcro (3) ; ma presto restarono interrotte nella loro coltivazione, e cosi cessò anche la sementa del guado (4).
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(1) Cultura degli orti e giardini ec, pag 136.
(2) Lasleyrie, Du pastel, de l’indigo ec. pag. 73.
(3) La fabbrica stabilita in Firenze nel soppresso monastero di San Domenico nel Maglio, era dirella dal professor Paolo Mascagni, dal professor Giuseppe Gazzeri, e da noe, essendosi allri due esentali per causa di salute f v. Conlin, degli Atli dei GeorgoOli T. 7, pag. 19). L’altra fabbrica al Borgo San Sepolcro, era dirella dal dottor Gaetano Cloni.
(4) Il guado, olire le qualitàlinlorie eie virtù medicinali supposteli dagli antichi,è sialo indicalo per pastura delle bestie, ed i primi a farne uso in Francia sono stali il Bohadsch ed il Daubenton (V. Lasleyrie, Du paslel ec. pag. I9j. Ma giàin Inghilterra era stalo usalo mollo prima come foraggio, da quanto rilevasi da Tommaso Hdle nel suo Compiei, body of Husbandry, London 1738, T.3.
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Per avere il colore rosso, evvi un pianta spontanea € molto abbondante nell'Ilalia, e specialmente nei luoghi boschivi ed incolti della Toscana, quale siè la robbia, che appartiene alla famiglia delle rubiacee cui dàil nome, e della quale si prescelgono le radici per tingere, e ciò da antichissimo tempo (1). Due sono le specie di robbia ben distinte (2), delle quali unaè la rubia tinclorum o robbia cosi detta domestica, con le foglie caduche ; l'altra la rubia peregrina colle foglie persistenti, detta salvatica, più abbondante e più comune da per tutto, ma di radice più sottile e meno colorata. Secondo alcuni, oltre l'essere state raccolte per gli usi della tintoria queste radici indistintamente dalle salvatiche e spontanee, fin da remoto tempo, ne furono anche fatte estese coltivazioni. Presso Ippocrate (3)è notata la robbia come medicinale, e Teofrasto (4), la iita per la sua radice rossa, sotto il nome di erythrodanon. Dioscoride (S), descrive la robbia come atta a tingere in rosso colla sua radice, la quale egli dice trovarsi salvatica e coltivata, ed essere chiamata dai greci erythrodanon ed ereulhodanon. Virgilio (6), la
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(1) L'arte di tingere in rosso la lana colla robbia, era esercitata per eccellenza nel 1300 in Firenze da una famiglia, che per questa ragione prese nome della Robbia, cui appartenne il celebre sculture Luca della Robbia nato nel 1388, da Simone di Marco che era lanajolo.
(2) V. Bertoloni, Fior. Ital.T.2, pag.145 e 146.
(3) De ralione vici. In morb. aculis T. 1, pag. 407, edil. cum Foesio.
(4) Hist. plant. L. 7. c. 9. Altrove L.9, c. 14, nomina una robbia colle foglie di ellera, la qualeè una pianta differente, cioè la rubia â– lucida, o Vasperula odorala a parere dello Sprengel (Comm. in Dioscorid. T. 2, pag. 363), o piuttosto come lo sospetta lo Slapel [Comm. in Theophrasl. pag. 1114)è uno sbaglio del copista che scrisse un antico codice, il qualeè servito di lesto.
(5) Mat.ined.L.3, e 160.
(6) Bucol.Egl. 4. v.4,D. 14.
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chiama Scandyx, che Plinio (1) confonde con un colore composto di biacca bruciata e terra rossa ; ma che altrove (2) ricorda chiaramente e senza equivoco, per una pianta necessaria a tingere le lane e le pelli colla sua radice, lodandone assai quella d'Italia e della campagna di Roma ; dicendo di più che in altri luoghi ancora si trovava spontanea, ed eziandio seminata ad artc. E giàDioscoride di sopra nominato, ricordò questo vegetabile come coltivato a suo tempo in Italia a Ravenna, ed anche nella Galazia (3) in Caria, ora Djebail nella Turchia asiatica, come molto ricercata e di gran profitto per i coltivatori. Di modo che da quanto ne dicono Dioscoride e Plinio, si rileva, che la robbia era coltivata in Italia fin da quei tempi, abbenchè vi nascesse anche spontaneamente da per sè. Questa pratica siè mantenuta eziandio per molti secoli dopo, atteso che Pier Crescenzio (4) si estende a parlare del modo di cultura della robbia, come parimente il Soderini (5) ; e nell'agro cortonese ci dice il Mariti (6) che ne era comune la sementa fin dal XIV secolo, seguitata senza interruzione per qualche secolo dopo, rilevandosi ciò da molti contratti, statuti e leggi di verso quel tempo, lutti relativi alla coltivazione della robbia, riferiti
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(1) Hist.nat.L.SS, c. 6.
(2) Hist. nat. L. 19, c. 3.
(3) L'edizione In f." del Dioscoride greco-latino per cura del Saraceno del 1598, dice 0a6avn tis TaXiXaiai Thebana di Galilea, e questaè la lezione che segue il Mariti (Della rabbia pag. 179). Lo Sprengel, nella sua edizione e versione dello stesso Dioscoride (Lipsia, 1829. T.l, pag. 489) dice Tapiivavn tis TaXaria? Tebiana di Galazia. Il Mallioli dice Tebana di Francia, e cosi pure il Laguna nella sua traduzione del dello Dioscoride in Spagnolo ; ed egualnoenle si legge Galliac nelle altre edizioni del Ruellio, del Ryff ec. La lezione per allro dellt» Sprengelbè preferibile.
(4) Opus ruslical. connnaodor. L.6, c. 101.
(5) Culi, degli orti e glard., pag. 233.
(6) Della robbia ec., pag. 9 e seg.
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dallo stesso Mariti. Matteo Silvatico (I) che scrisse nei 1336, parla della robbia coltivata in Toscana ; e negli Statuti di Gampiglia del 1537, vi sono ordini per le tutele della coltivazione della robbia dai bestiami (2). Il padre Magazzini, nella sua opera postuma (3), discorre del modo di seminarla, e di quanto altro occorre per questa cultura, sempre io vigore ai suoi tempi fra noi. Nel 1783 il prof. Biagio Barlalini (4) provò a coltivare questa pianta nell’agro senese, dove non trovò memoria che ciò fosse praticalo per uso dei tintori al tempo di Repubblica, sebbene l'arte della lana vi fosse molto esercitata, da non poter credere che quella solamente salvalica, secondo che usavano raccoglierla i campagnoli come dice il Mattioli (5), potesse servire al bisogno. Anche il canonico Andrea Zucchini nel 1778, ne ritentò la coltivazione nell'agro cortenese, dove giàera praticata estesamente in antico, come abbiamo detto ; ed a tale scopo, dopo gli esperimenti fattine per eccitare i suoi concittadini a riassumere questa industria anche in altri luoghi, pubblicò nel 1782 una sua Memoria per sercire alla collivazione della robbia in Toscana ec. Trovandosi bensi dai tintori più comodo il servirsi delia robbia, che sotto il nome di Alizzari ci proveniva, e sempre ci viene a basso prezzo dal Levante (6),
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(1) Pandecl. raedicin. c. 243.
(2) V. Rapporto geoer. della pubbl. espos, dei prododi nalur. e induslr. delia Toscana del 1850, pag. 130.
(3) Della collivazione pag. 11.
(4) Memor. sulla robbia ec. negli Atli dell'Accad. dei Fisiocrilici di Siena, T. 1, pag. 266.
(5) Disc in Dieso. T. 1, pag. 971.
(6) Gli alizzari o radici di robbia di Cipro, erano apprezzati tra noi sino dal secolo XIV. V. Pagnini, Della Decinna, T.3, pag. 298. Il nome di Usuri ridotto in lizzavi ed alizzari, secondo il Mondaini verrebbe dal greco moderno Xc^ccpi, nome corrotto dall'antico pi^a riZii radicc. V. Mariti, Della robbia, pag. 61. Oltre questo nome la
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questa coltivazione fu per vari anni abbandonata ; ma nel 1834 il marchese Cosimo Ridolfi la riattivò a Melelo, e questa robbia serve ora eccellenlemente a tingere il cotone in rosso detto d'Adriaoopoli (1). Finalmente fu pure coltivala nella provincia Grossetana dal 1839 al 1846, occupandovi uno spazio di terreno di circa 50 saccate, compreso nei possessi di varj proprietarj, ma ne fu sospesa tal coltivazione, non sembrando che vi fosse tornaconto. Anche nella campagna Livornese nella tenuta di Limone e di Suese, una societàvi coltivò questa pianta dall'ottobre 1843 al marzo 1847, in uno spazio qui pure di 50 saccate, restando poi sospesa per dissesti economici di cattiva amministrazione.
La coltivazione di un'altra pianta, inserviente coi suoi fiorellini o flosculi alla tintura in rosso per la seta specialmente, è il cartamo o zafTrone (2), carthamus tinctorius, il quale non è originario dell'Italia, ma delle Indie orientali, e nasce pur anche nell'Egitto, in Oriente, a Madera, forse secondo l'opinione di taluni per esservi stato coltivato in origine (3). Teofrasto (4), del pari che Dioscoride (5), lo chiama cnecon o cnicon, coi quali nomi parimente lo conobbero Aristotile, Esichio, Egineta, Aezio, Galeno ed altri (6),
robbia ne ha differenti altri in Italia ed in altri paesi, come può vedersi in Arduino. Mera. ed osserv.suiia cultura ec. di varie piante per servire alla tintura ec. T. 1, pag. 41 ; e Mariti ^ Delia robbia pag. 192.
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(1) V. Rapporto gener. dell'esposiz. del prodotti nat. ed industriali della Toscana ec. 18S0, pag. 1 SO.
(2) Detto ancora grogo e gruogo saracinesco, zafferano saracinesco, bastardo, o matto. V. 01 tav. Targioni-Tozzetti, Dizion. botanico, T.2, pag. 46.
(3) V. Decandolle, Prod.Syst.nat. vegelab. T.6, pag. 612.
(4) Hist.plant L.6, c.3 e 4.
(8) Mal.med. L.4, c. 190.
(6) V. Slapel Coramenl. in Theophr. pag 613.
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ma era in allora adoprato solamente come medicamento, essendo i semi purgativi ; nè intorno agli usi dei suoi fiori, altro sappiamo dal solo Dloscoride, che impiegavansi nei cibi. Plinio (1), quasi copiando, ma non bene Teofrasto, disse che gli Egiziani avevano lo cnico (zaCTrone) ignoto all'Italia, dal seme del quale ne levavano olio, nel che sbagliò col ricino, secondo che lo avverte lo Stapel ; e sebbene si conosca adesso che anche i semi dello zaffrone possono dare olio (2), gli Egiziani antichi tuttavia non lo sapevano, ed invece molto olio ricavavano dal ricino. Laonde dal modo di esprimersi del suddetto Plinio ne conseguirebbe, che il cartamo non fosse stato conosciuto, e per conseguenza nemmeno coltivato dai Romani. In quale epoca perciò fosse introdotto in Italia, o quando se ne cominciasse a fare uso per la tinta rossa, non ho potuto trovarlo, ma non deve essere di una data remotissima. Veroè che il Pegololti (3), il quale scrisse circa il 1340, più volte cita fra le mercanzie allora conosciute fra noi ed importateci per varj usi, anche lo zaffrone ad uso dei tintori. Il Mattioli non dice altro che seminasi negli orti e nei campi ; ma mentre parla delle di lui qualitàmedicinali, nulla ne dice degli usi tintorj, avvertendo soltanto, come lo aveva detto Dioscoride, che alcuni ne mettono i fiori nelle pietanze, in luogo dello zafferano. Dal che parrebbe che si ponesse a partito la sua tinta gialla, ma brutta, che i fiori danno all'acqua pura (4), ma che
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(1) Hist.nat. L.21, c. 13.
(2) V. Oltav.Targioni-Tozzelli, lezioni d'agricoli. T. 2. pag. 96.
(3) Pratica della mercatura ec.nel T 3 del Pagnini, Della Decima ec.
(4) Si avverta che dai fiori dello zaffrone se ne leva coll'acqua sola, una (inla gialla non bella nè apprezzala, giacchè in essi esiste un'altra parie colorante rossa, la quale si eslrae col mezzo della potassa e si ravviva poi coll'agro del limone ; e questaè la bella tinta della rosso di cartamo, o cai lamina dai chimici, la sola ricercata nelle tintorie, per farne tulle le tinte dal color rosa pallido, fino al rosso ciliegia.
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ora non si apprezza più. Forseè da credersi che i noslri antichi mercanti fiorentini imparassero ad estrarne il di lui bel colore rosso dai Ghinesi e Giapponesi, le donne dei quali ultimi al dire del Tunberg (1), avevano il costume ab antiquo di tingersi in rosso o violetto le labbra per bellezza, e che per ciò essi mercanti ne portassero i flosculi come merce tintoria per un gran tempo, senza curarsi di coltivarlo, e che dopo se ne introducesse questa industria agraria anche fra noi. In qualunque ipotesi peraltroè certo, che incominciatosi a usarlo per tingere col di lui bel rosso la seta, si cominciò anche a coltivarlo in Italia, e particolarmente nella Romagna, dove formava un ramo di commercio piuttosto lucroso, e qualche poco vi si coltiva ancora.
Ma quello delle Indie, che viene in piccole panelle, e quello di Spagna, che viene sciolto, danno più colorc. Quello di Persia, di Levante e di Egitto, sono dai tintori riguardati inferiori ; ma preferiti al nostralc. Il prof. Biagio Barlalini nel 1786 ne esperimentò in Siena la coltivazione, pubblicandone poi i risultamene ottenuti, per incoraggiare altri ad imitarlo più in grande (2). Verso quell'epoca all’incirca, il canonico Zucchini ne fece per vari anni la sementa nel giardino dei Semplici a Firenze, la quale riducevasi ad un esperimento, collo stesso scopo di quello avuto dal precitato Bartalini.
Diversa è la storia dello zafferano (crocus salivus) della famiglia delle iridee, stato chiamato ancora giallone, grogo, gruogo, grolago, zafferano domestico ed ambrosino ec, perchè questaè una pianta spontanea dell'Oriente, di quasi tutta l'Europa e dell'Italia, dove si trova nel regno di Napoli, in Ascoli, nelle Marche, in Piemonte ed in Toscana, particolarmente nella
(1) Vdyitg. Iraduz. compenti., pag. 3l7.
(2) V.AllI dell'Accad. dei Fisiocrilici di Siena, T. 7, pag. 283.
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selva Pisana, e nelle campagne di Montepulciano e di Pienza, ove nei tempi passati era molto coltivato per le tintoric. Siè sempre fatto uso dei soli pistilli, estratti dal fiore, che si rigetta come inutilc. Questi pistilli filamentosi e crocei di colore, e di odore acuto, sono stati ricercati nei secoli più remoti per questo loro odore medesimo, sebbene grave ; e più tardi per il color giallo vivo che somministrano. Come odorifero il croco, o zafferano,è ricordato nella Bibbia (1) sotto il nome ebraico Carcon ; da Omero (2), da Plutarco (3), da Teofrasto, (4) da Dioscoride (5) e fra i Latini in più luoghi da Lucrezio, da Virgilio, da Properzio, da Orazio, da Ovidio, da Marziale sotto il nome di crocus e di spica cilissa. Plinio parimente ne tratta in più luoghi (6), e Pier Crescenzio sotto il nome crocus, nelle antiche versioni italiane detto gruogho (7), ne insegna il modo di piantare i bulbi e raccoglierne il prodotto. Oltre l'essere stato un tempo addietro coltivato abbondantemente nel regno di Napoli, e specialmente in Aquila, da dove viene sempre il più stimato, ed in Sicilia dove molto ne vidde il Sestini (8), e dove si coltivava fin dai tempi di Plinio (9), che molto lo loda per la bontÀ, egliè certo che in To-
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(1) Canlica. C.4, v. 14. Per quanto nella Volgala sia ritenuto esser queslo lo zafferano, lullavla lo Scheuchzero (Phys.sacr.T.7, pag.204), crede piulloslo che si abbia a ritenere per lo zafferano delle Indie o curcuma, curcumu longa, e non per il crocus.
(2) lliad.L.4, v.384. Hyran. in Pania vers.2S.
(3) Sympos. quaesl.31.
(4) Hist.plant.L.6, c. 6.
(5) Mat.med.L.1, c. 25.
(6) Hist.nat.L.21, c.G e 7.
(7) Opus rusi.coraraodor. L. 6, c. 23. Si avverta di non equivocare col grogo o Ziiffrone per la somiglianza dei nomi, essendo vera ; mente croco il nome dello zafferano, che nelle versioni del Crescenzio è detto gruogho.
(8) Lettere sulla Sicilia, T.2, leti. 7.
(9} Hist.nat.L.31, c.4.
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scana fu un profittevole ramo d'industria fin dal secolo XIII, per lo meno, nei territori di Val d'Elsa e di MoQlepuiciaoo. La qual cosa viene dimostrata dal Repelti (1), il quale cita vari documenti degli anni 1309, 1347, 1387, oltre ai quali merita che sia notato quello del 1379 relativo all'appalto dato per il prezzo di 68 fiorini d'oro dal Comune di Montepulciano, per il provento del 1380 sul dazio dello zafferano. Nel territorio volterrano parimente fu molto coltivato in quella medesima epoca, come si rileva dagli Statuti di quel comune, di verso il principio del XIII secolo, nei qualiè proibito di mandarne al di fuori i bulbi e di falsificarlo, sotto pene pecuniarie, accresciute in seguilo fino alla confisca dei beni (2). Questa industria agraria era anche in attivitànel senese nel 1401, e continovò assai dopo, come si rileva dal Mattioli (3), non meno che dal Soderini (4). Oggidi questa coltivazioneè quasi finita fra noi, per quanto il raccolto per il suo caro prezzo, potrebbe sostenere la concorrenza degli zafferani che vengono dall'Aquila, come ho detto, e che essendo di prima qualitàsi chiamano zafferani di giardino, dalla Spagna, dalla Barberia, dalla Morea e da Grange in Francia, ed anche talvolta dalle Indic. Prescindendo dalle sue qualitàtintorie, dirò per incidenza che molto se ne consuma per dare il giallo a certi formaggi, come per esempio a quello detto Parmigiano, a certe paste da minestra, ed a certe pietanze, e questo uso ognora in vigore in molti luoghi ai tempi presenti, rimonta ad epoche lontane, poichè Dioscoride dice che
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(1) Sull'abbandonata colllv dello zaffer. in Toscana. Adi dei GeorgoHIi, T. 19, pag. 21. V. anche Pagnini, Della Decima, T. 1, pag. 43.
(2) Giachi, Saggi di ricerche sullo sialo antico e ntioderno di Volterra. Fir. 1786, pag.60.
(3) Discors. in Dioscor.T. 1, pag.77.
(4) CoIUv. degli orti e giar(1.pag.522.
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a SDO tempo gli ItaiiaDÀŒ se ne servivano per colorire i cibi.
Per la tinta gialla,è di uso comune presso i tintori, di lana e di seta, perchè dàun bel colore, un'altra pianta spontanea in molli luoghi della Toscana non solamenle, ma del resto dell'llaiia e di tutta quasi l'Europa, che i botanici distinguono col nome di Reseda luteola, della famiglia delle Resediacec. Conoscesi fra noi col nome di luteola e di erba guada, o gualda, da non confondersi bensi col guado, di cui superiormente ho fatto parola (1), come fece Marcello Virgilio nei suoi commentari a Dioscoride (2).
Di questa luteola non ne è fatta menzione appresso gli antichi Greci, ma gli scrittori latini che la conobbero per il suo giallo colore, la indicarono col nome di lutea, luteum, ed herba lutea, come fecero Virgilio (3), Vitruvio (4), e Plinio (5). La qual cosaè confermata dalle opinioni di Giov. Bauhino (6), di Pietro Arduino (7), dello Sprengel (8), del Fée (9) ec, abbenchè lo Zucchini (10) non se ne mostri persuaso, e che giàil Cesalpino (11) sospettasse poter essere invece la sua Coroneola o Genista ovata L., pianta italiana e tingente essa pure di giallo ; e che finalmente il Lobel (12)
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(1) Dicesi eziandio erba guada maggiore: erba gialla : bietola gialla: bielolino : biondella: bragiione: guaderella: guaidone : mofardina ec V. Oli. Targioni-Tozzelli Dizion. bol.T. 2, pag.199.
(2) Pag. 165.
(3) Bucol.Egl.4, V. 44.
(4) De archilect.L. 1, C.14.
(5) Hist.nat.L.33, c. 5.
(6) Hist. piatii. T. 3, P. 2, pag.46S.
(7) Mena, osserv. ed esper. sopra varie piante che possono servire xilla tintura ec. Padova 1766.
(8) Hist.rei herb.T. l, pag. 144.
(9) Fior, virgiliana, pag. lOi.
(lO) Sopra la luteola saliva ec. ragionainenlo ec., pag.42.
(11) De plantis L.6, c. 39, pag.3Sl.
(12) Icones pkin.T.2, pag. 89.
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la riferisse alla sua genistella infectoria, ossia genista fionda <li L. Ma ciò non si può aiiiraellere, perchè non nasce io Italia questa pianta, e soltanto in Spagna, (1) ; abbenchè il Burlalini (2) dica essere spontanea delle campag,ne senesi ; cosa che non sussiste.
Per altro non si rileva che la luteola fosse coltivata molto anticamente, come lo fu nei tempi posteriori. Infatti parlando ora soltanto della Toscana, abbiamo che per servire all'arte della tintura in seta ed in lana, se ne facevano coltivazioni estesissime nel territorio di Cortona, resultando ciò dagli statuti sulle gabelle di quella cittÀ, riordinali nel ISOl, ed in quelli relativi agli ordini e protezioni per questa cultura dello stesso comune, riordinali nel 1542 (3) ; ed inoltre sappiamo dal Cesalpino (4), il quale fiori circa la metàdel secolo XVI, che questa guaderella, come egli la chiama, era ben nota ed usala a tinger di giallo le lanc. Vuoisi pur anche glie verso i primi del XVll secolo fosse coltivala eziandio a Castel-Fiorentino e nel Valdarno inferiore (5). Si preferisce per T arte del tintore la luteola coltivala, perchè più nutrita e più ferace di materia colorante, alla salvatica e spontanea, la quale e più sottile e più legnosa ; lo che ha fallo credere che fossero piante di due specie diverse, una delta perciò luteola saliva e l'altra silvestre (6), equivoco nel quale molli agrononai sono caduti, non escluso lo Zucchini, che scrisse il suo ragionamento sulla luteola saliva ec. altre volte citato, e che esso rese pubblico dopo varj
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(1) Linn.Spec. plani, ed. 3, T.2, p ;ig.998.
(2) Alem. sulla giueslra ec.AUi dell'Accad.de Fisiocrilici.T.9, pag.208.
(3) Al lib.6, 2, rubrica 31, e lib.5, rubr.27.
(4) De plantis L.9, c. 35, pug. 388, Zucchini, Sulla luteola saUva ec, pag.4i».
(5) V. Zucchini, Sulla luteola, l,.c.
(6) V.Ollav.Tcirgioni-TozzeUi, Lezioni d'agricoli. T. 2, pag. 150.
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esperimenti fatti nel 1777, per incoraggiarne la coltivazione nell'agro Gortonese, dove ancora si prosegue questo traffico. Laonde da quanto si è detto ne emergerebbe, che ignota ai Greci la luteola, fosse dai Romani usata per tingere in giallo, servendosi unicamente della spontanea, e che la coltivazione estesa di tal pianta, la quale secondo il Lobel (1) era magno usui et emolumenlo, avesse avuto origine e sviluppo nei tempi, nei quali l'arte della lana fu floridamente esercitata fra noi.
Fra le piante tintorie vi sarebbe da ricordare la Datisca cannabina, chiamata luteola dal Bauhino, e canapa aquatica dal Pona, della famiglia delle orticacec. Questa piantaè perenne ed originaria della Grecia e di Creta, dove la trovò per la prima volta nel 1594 Silvestro Todeschini speziale, che la fece conoscere a Prospero Alpino (2), il quale poi la descrisse sotto il nome di canapa gialla, e ne rese note le proprietàsue tingenti, rimaste trascurate, Gnchè il Braconnot (3) non le fece più manifeste colle sue esperienze nel 1816. Il bellissimo e slabii colore giallo che da tutta la pianta se ne ottiene, per la seta in particolare, meriterebbe che fosse più estesa la di lei coltivazione, giacchè vive bene nel nostro clima, trovandosi come oggetto di semplice curiositàin qualche giardini). Le prove da me eseguite intorno a questa tinta, e le ricerche fattemene da alcuni tintori che utilmente la esperimentarono, dovrebbero impegnare a coltivare questo vegetabile nelle nostre maremme, tanto più che è stato riconosciuto efficace a vincere certe febbri intermittenti, secondo che lo hanno dimostrato non pochi valenti medici (4). Ma già su questo particolare ne ho scritto più
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(1) Adversar., pag. 149.
(2) De plantis exolic., pag. 296.
(3) Annat. de cliirn. et de phys.1816, T.83, pag. J 87.
(4) V. il mio Corso di boi e mal. med. 1847, pag. 627, e I.i raia scelta di piante offic. f." 1824, pag 79
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lungamente in altro tempo (1). Laonde non mi estenderò di più a parlarne, rimettendo i lettori agli altri miei antecedenti scritti, ma non arrestandomi dall'invitare a farne estese coltivazioni nei luoghi adattati, potendo essere di utilità alle arti, all'economia agraria, ed alla medicina.
Papaver
Il papavero Papaver sonniferum, della famiglia delle papaveracee, non è nativo dell'Italia, ma dell'Asia, del Peloponneso e dell'Egitto, da doveè stato propagato non solamente in tutte le province dell'Europa, ma in tutte le altre parti del globo terraqueo. Noi in Toscana ne facciamo una copiosa sementa per gli usi medicinali, e per averne dai semi l'olio, che si adopera per la pittura ; ma altrove se ne fa una estesa coltivazione per supplire alla mancanza degli ulivi, preparandone questo medesimo olio, da usarsi per condimento dei cibi, per ardere, per farne saponi ec, e per mangiarne i semi (2). Nei paesi poi di clima più caldo si coltivano i papaveri per levarne l'oppio dai fruiti (3).
Per quanto sia il papavero spontaneo delle campagne della Grecia, non ostante fino da antico tempo ve io coltivavano negli orti, come si rileva da Omero (4), e da Dioscoride (5), dai qualiè chiamato mecon ; dal che se ne può dedurre quanto sia remota la conoscenza e gli usi di questa pianta, giacchè anche Ippocrale, Teofrasto e Galeno hanno parlato delle qualità soporifere del papavero in più luoghi delle loro operc. Neppure agli antichi Italiani fu ignota questa pianta, giacchè con vari epiteti appropriati alla di lei azione narcotica, fu
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(1) Sulla Datisca cannabina. Atti dei Georgof. T 11, pag. 172.
(2) Intorno a quest'olio. V. Murray appar. medicann.T. 2, pag. 177.
(3) V. Giovacch. Carradori Dell'oppio nostrale, negli Alli dei Georgor.T.7, pag, r21.
(4) Iliad.L.8, V.366.
(3) Mat.med.L.4, c. 65, dove per distinguere queslo da altre specie, lo dice papavero ortense domestico, fxwuv 'hii.tpoi xotoutti.
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più e più volte rammentata nei loro versi da Virgilio, da Orazio, da Ovidio ec, dai quali parimente si viene a sapere che era coltivata a bella posta. Il fatto di Tarquino superbo, che decapitando i papaveri del suo giardino, dette la silenziosa e tirannica risposta all'ambasciatore di suo figlio (I), prova esser vero che si coltivavano negli orti, essendo ciò anche confermato da Plinio (2), che insegna il tempo di seminarli, e col dire che furono apud Romanos in honore semper. Per la qual cosa l'introduzione della cultura dei papaveri dall'Oriente in Italia, rimonta ad un'epoca molto remota, che invano si cercherebbe lo stabilirc. Fra le varietàdi questa pianta ve ne sono a cassule ovate, altre rotonde, talune coi semi nerastri, ed i petali dei fiori porporescenti, che forse sono la primitiva specie silvestre, ed altri con semi e petali bianchi, forse cosi divenuti per la coltivazione, ed altri coi fiori rosei. Ma queste varietàfurono conosciute fin dagli antichi greci, e da essi descritte, e tali e quali son trapassate a noi. Quella varietàper altro a fiore doppio coi petali interni fimbriati, e di color rosso, o bianco, o violaceo, o brizzolati, sembrano essere stati ignoti agli antichi, ed essere di più moderna introduzione fra noi. Il Lobel (^) ne parla come coltivati ed apprezzali nei giardini del Belgio ; ed il Padre Agostino del Riccio (4) quasi contemporaneo, gli dice peregrini e forestieri, senza indicarne la provenienza, ma introdotti negli orti di Firenze a suo tempo, vale a dire verso la metà del XVI
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(1) Til.Liv.Hist.ab Urbe condii. L.l, c. 20.
(2) Hist. nat.L.18, c. 24, e L.20, c. 8.
(3) Adversar. pag. 110. Id. Observat. pag. 142, doveèia figura di’questi fiori slradoppi, ripetuta nell'altra opera delio stesso, intitolata Icones ec., pag. 273.
(4) Agricoli, leorica MSS, carie 145, 149, 187, 165, 193.
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secolo, lodandoli corno un bell'ornamonto per la doppiezza dei fiori e varietà dei loro colori (1).
Dal sugo latteo che geme dai capi dei papaveri sgraffiati, e condensalo, se ne ottiene l'oppio, il quale è di antica data, poichè Dioscoride (2) e Plinio (3) lo distinguono per i primi, col nome di opion dal meconium che era il sugo condensato ottenuto per espressione di tutta la pianta, qual meconio fu il solo preparato conosciuto da Ippocrale, da Erasistrato, da Diagora, e da Eraciide di Taranto, il quale pare che fosse il primo ad usarlo in Italia come calmante (4). La preparazione dell'oppio si pratica nei paesi di clima caldo, come in Persia, in Turchia, in Egitto, nelle Indie, in America ec., ma nonostanteè sfata tentata in vari luoghi dell'Europa (5). Oltre di che in Toscana nonè mancalo chi l'abbia proposto come un ramo d'industria agraria (6), la quale bensi non può stare a concorrenza coll'oppio che viene dall'estero, se non per la bontÀ, per il tornaconto dicerto.
Nicotiana
Non vi è pianta che nella sua istoria presenti tante vicende, come è quella del tabacco, nota anco sotto altri no. ni (7) ; dai botanici chiamata Nicotiana Tabacum, ed appartenente alla famiglia delle solanacee,
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(1) Per le varietà di questi papaveri doppi, v.Clarici, Slor. e cult, dei fiori pag.4l7.
(2) Mal.med.L.^i, c. 65.
(3) Hist.nat.L.20, c. 18.
(4) De Renzi Islor. della medic. Ital. T. 1, pag. 167.
(5) V. il mio corso di bol.el mal. med. 1847, pag. 238 e seg.
(6) Questa estrazione fu eseguita dal Carradori nel 1807.
(7) Per questi nomi V.Bauhino, HisI.plant.T..3, pag.629. Lanzoni, adversar. L. 3, c. 2. MagnenExercilat.de labaco pag. 1. Nardi Recchi rer. miixicanar. nov. Hspan. L..5,0.31, pag. 173. Stella, Il labacco, Irattaloec.Roma 1609. Baruffaldi, La labaccheide ec. Nola alla pag. lOi. Arisi, ti tabacco maslic e fumai, dilinimbi pag. 2 e pag. 271. Duburgui, Mem. Ifieoriques et praliq.du labac. pag. ix.
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di cui ben anche partecipa le qualitàvirosc. Nativa unicamente deirAinerica, dopo la scoperta di questa nuova parte del globo, venne accolta con grande entusiasmo dagli Europei, e passò sollecitamente anche nell'Asia e nell'ACfrica, ove da per tulio si cominciò a masticarne o fumarne le foglie, o a tirarne su per il naso la loro polverc. Ben presto peraltro sorsero oppositori acerrimi contro colali usanze, riguardandole perniciose sotto i due aspetti della religione cioè, e della salutc. Alcuni teologi promossero la questione se l'uso del tabacco fosse stato, inventalo dal demonio, e se potesse guastare il digiuno fumandolo. Su diche non poche dispute ebbero luogo nel secolo XVI e XVII (1). Oltre a ciò considerati certi inconvenieoli che venivano alla poca riverenza dei luoghi sacri, fu da vari concili provipjCJali proibito ai sacerdoti di usarne, almeno prima del divin sacrifizio (2). Urbano Vili, colla sua bolla del 30 Gennaio 1642, inibi sotto pena di alla scomunica, il prendere tabacco nelle chiese di tutta la diocesi di Siviglia, e questa stessa proibizione fu rinnovata da Innocenzio XI nel 1681. I timori sparsi dai nemici del tabacco, intorno ai gravi danni per la pubblica salute, mossero i governi a farne delle proibizioni, sotto pene severissimc. Amurat IV salito al trono di Costantinopoli assai giovine nel 1621, ben presto cominciò a punire con atroci modi di morte i contravventori ai suoi ordini, proibenti il fare uso di tabacco in qualunque
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(1) V. Gimma, Sior. delle gemme e pietre ec. T, 1, p ;ig.S23.
(2) D.il concilio smodale di Lima al Perù del 1388 ; da quello del Messico del 1589 ; da quello di Firenze del 164S ; dalla sacra congregazione dei Concili a Roma nel 1678, fu proibito ai Sacerdoti di usare del tahacco prima e dopo la messa, e nella chiesa. Giuslini.irio Vicario apostolico dell'Alleria nelle costituzioni Giustiniane ecclesiastiche, L.3, tit.l, c. 99, proibi sotto pene spirituali e pecuniarie a ciaschedun ecclesiastico, di prender tabacco fuori di casa sua. V. Gimma delle gename e pietre preziose, L. c. Idelfonso da S. Luigi, Etruria Sacra pag.331.
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modo (1). Abbas II, Scbac di Persia, che mori nel 1629, puniva severamente chi adoprava tabacco. Michele Feodorowitch Tourief, nel 1633, anche perchè si dicevano frequenti i casi d'incendio a motivo dei fumatori, ordinò che fosse bastonato chi usava del tabacco, che ai recidivi fosse forato il naso con una lesina e quindi gli fosse reciso, e a chi per la terza volta disobbedisse, fessegli tagliala la testa (2). In Prussia ed in Danimarca fu egualmente proibito, e nell'Inghilterra fu perseguitato il tabacco da <jiiacomo I, anche con un suo scritto intitolato microcapnus sive de abusu tabaci, lusus regius (3).
Gontuttociò per altro ogni misura benchè talvolta crudelmente severa, fu inutile, ed anzi ad altro non contribui che ad accrescere il desiderio di avere e di usare del tabacco o in un mod) o in un altro. Qual fatto ci porge un esempio valutabile, dal quale dovrebbesi imparare, che le inclinazioni e le tendenze dei popoli non si vincono, e nemmeno si attenuano colla violenza e col terrorc. Laonde meglio pensarono i governi di rivolgere al lucro delle proprie flnanze questo uso del tabacco, che sempre più diveniva invincibile abuso, riducendone la coltivazione, il commercio, e la manipolazione a regalia. Con tal modo l'allettamento del guadagno, sopi ogni antecedente timore di danno religioso e sanitario in quanto a questa pianta.
La voga ben anche colla quale si estese, e si desiderò r introduzione del tabacco nei varj paesi, non fu meno singolarc. Originario come ho detto unicamente dell'America, fu conosciuto dagli Spagnoli appena
(1) Gimrna, Istor. delle gemme e pietre ec. pag. 52(i. Girolamo Brusoni aggiunta alla selva di Pietro Messia, p. 1, ci. Giov. Sagredo, Vita d'Amural II. Mangeno, De labaco ec. pag. 111.
(2) Gimma L.c.
(3) Trovasi inserito nelle di lui opere stampale a Londra nel 1619 In f." alla pag. 197.
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arrivali nel 1492 a Cuba con Colombo, poichè vi impararono a fumare i sigari (1), ma meglio fu appreso il di lui uso e le tante virtù decantate dagli indigeni, quando fu fatta la conquista del Messico da Ferdinando Cortes, il quale nel 1518 essendo entrato nel golfo, occupò l'isola Tabago, dove trovarono gli Spagnoli quantitàdi tali piante, alle quali dettero il nome di tabago y forse dalla localitÀ, nome che in seguito si preferi e con poca difforeuza di pronunzia in tutti i paesi, agli altri che ebbe contemporaneamente, come di sopra ho avvertito (2).
Si vuole che nel 1539 dal Messico ne portasse in Spagna i semi il celebre naturalista Ferdinando Hernandez (3). In Inghilterra fu fatto conoscere l’uso di fumare le foglie secche nel 1586, dal famoso capitano Francesco Drake al suo ritorno dalla Virginia, e questo uso imparatolo il suo amico Gualtero Raleigh, divenne poi familiare alla corte (4). Ma la pianta vi si conosceva fino dal 1570, secondo lo Sweet (5), per quanto si voglia che lo sleso Drake vi portasse i semi all'epoca detta di sopra (6). Nel Portogallo vi furono trasferiti questi semi dalla Florida da un Fiammingo (7).
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(1) Irwing, Hist. of Ihelifeand voyagof Columbus T. 1, pag.287.
(2) V. Monardes Delle cose che vengono portale dalle Indie ec. P. 2, ci, Durburgua, Mem. Iheor.etprat. sur la culi, du labacASOS, pag. IX. Lo Stella nel suo Trall.dellabacco 1669, pretende che abbia preso il nome dal mollo el ah hac inscrillo in un’impresa sotto uua pianta di tabacco, da un tale guarito per mezzo di questo vegetabile da una malattia sifilitica ; etimologia più ingegnosa che vera. Altri hanno preteso che avesse preso il nome da un istroraento che in Spagna dicevano tabago o labaco, col quale si manipolava la pianta. V. Pereira, Elem.of. mat.med.and Iherapeut. T. 2, pag. 1248.
(3) V. Jo.Christ. iMagnen. De tabaco esercitai., pagi.
(4) Biograph. Britann. T. 1, pag. 3471.
(5) Hort. britann. ed. 3, pag.S04.
(6) Magnen.De tabac.pag.4.
(7) Caspar. Bahuini Pinax Theatr, hot, pag. 169.
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In Francia vi furono introdotti secondo alcuni dal Padre Andrea Tlievet (1), e secondo Carlo Stefano (2) da un suo amico, del quale peraltro non dàil nomc. La più comune opinioneè bensi che Giovanni Nicol consigliere ed ambasciatore del Re di Francia alia corte di Portogallo, avesse dei semi di tabacco, ne coltivasse le piante in un suo giardino, e che verso il 1560 ne mandasse alla Regina Caterina de'Medici, la quale procurò di moltiplicare la specie a Parigi, dove il tabacco prese il nome di erba della Regina (3).
Ma venendo a dire dell'introduzione di questo vegetabile in Italia, è da notarsi, che prima di ogni altra provincia fu in Toscana che si conobbe, sotto il regno di Cosimo l dei Medici, vale a dire prima del 1574, poichè in tale anno esso cessò di viverc. Questo meritoè dovuto ad Alfonso Tornabuoni Vescovo del Borgo a S. Sepolcro, che ne ebbe i semi dal suo nipote Monsignor Niccolò Tornabuoni, molto dilettante di piante, allora ambasciatore a Parigi. Dal che prese il Dome di erba tornabuona, che portò per molto tempo dopo.
Posteriormente, e nel 1585, fu inviato a Roma il Tabacco dal Cardinale S. Croce, nunzio pontificio in Spagna, e per tal motivo, vi fu chiamato erba Santa Croce.
Per un certo tempo era coltivato liberamente come pianta medicinale, giacchè appunto per le tante maraviglie che ne dicevano gli indigeni Americani, fu cosi
(1) Magnen.De (abaco, |jag.2 e 79.
(2) L'Agricull.el la maison rusliq. Lion, iSO-f.L. 2, c. 44, pag. 12.1.
(3) V. l'agricull.el la maison rusl. L.C.Giovanni Targlonl-Tozzelli, Viaggi per la Toscana, T.4,pag. 303. Fu (ieUo:anche erba del gran Priore, che era Francesco figlio di Caterina de'Medici, divenuto poi re di Francia, col nome di Francesco II.
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avidamente ricercato io Europa, e vendevasi dai soli speziali (1). Ma poichè oltre all'uso medico si imparò dagli stessi Americani l'usanza presso di loro antichissima di fumarne le foglie e di masticarle, e quindi anche quella di tirarne su la polvere per il naso, cosi sene aumentò oltremodo la coltivazione presso tutti i popoli della terra, quasi direi senza eccezione alcuna (2) ; ma ben presto non da per lutto egualmente libera. Ho detto di sopra che questo crescente abuso del consumo del tabacco, cagionò delle severe proibizioni, dalla inutilità delle quali ebbero poi origine le regalie o privative per la coltivazione, manipolazione e vendita di tal pianta sotto quasi tutti i governi (3). Non occupandoci ora noi di ciò che fu fatto altrove in questo proposito, ci limiteremo ad osservare che questa privativa ebbe luogo in Toscana per un bando di Ferdi-
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(1) Per le virtù mediche allribuite al tabacco. V. Monardes Delle cose che vengono dalle Indie ec. P. 2, c.i.L'À€gricuU.el la mais.rusl. pag.124. Magneno, De labac.exerc. L.c. Lanzoni, Advers.L.i, c.2, ed il mio Corso di botan. e mal. med. 1847, pag. 560.
(2) Rilevasi dal Lesseis, Voyag. d’Hai. Irad. de l'Angl. 2.»edil. Paris 1682. T. 1, pag. 269, che a Poggiboiisi era mollo rinomata una fabbrica di tabacco da n ;iso. Non si conosce l'anno nel quale il detto Lessels passò da Poggibonsi, e che doveva essere avanti il 1677 perchè esso mori in questo anno ; e perciò ignorasi se delta fabbrica sussisteva prima o dopo del 1645, anno nel quale per la prima volta fu fondata la regalia del tabacco.
(3) In Francia fu proibita la libera coltivazione del tabacco nel 1676, e liinilala a certe località soltanto. Nel 1719, la compagnia delle Indie, avendo prestato al governo 1200 milioni di franchi, parte in contante e parte in biglielli, ottenne il monopolio, ossia l'appalto del tabacco in tutta la Francia, dove ne fu proibita la coltivazione anche nei luoghi nei quali era stala prima parz'almenle permessa. V. Encyclop. raethoil. artic. tinance,eDnburgua, Meni. Iheor. et prat. sur la culture du tabac. pag. x dell’introd. Sul principio questo appalto dava 500,000 franchi al Governo, ora ne dà30 milioni 1 In Ferrara l'appalto del tabacco incominciò nel 1567. V. BarufTaldi, La tabaccheide, nota alla pag. 108.
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nando li del di 11 Maggio 1645 (1) ad esclusione dr certi luoghi, nei quali per dare un sollievo a quelle popolazioni, fu lasciato il permesso di coltivare il tabacco, ma sotto alcune condizioni ; e ciò continovò 6no al 1789, anno nel quale il Granduca Pietro Leopoldo di gloriosa memoria, con i due motupropri del 18 Marzo e 18 Giugno, aboli questa regalia, e ne permesse in tutto il Granducato la libera coltivazione a chiunque (2).
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(1) Camini, Leggi eCcT. 17, pag.205. Secondo ciò che ne dice il Biscioni nelle note al Malmanlile Canto XI, stanza 43, il primo appallatore fu Alessandro Krunaccini, che nel citalo poema al canto ridetto ed al primo ancora. stanza 47,è chiamato anagrammaticaraente Nanni Russa del Braccio. Ignorasi il canone dell'appalto di quell'anno 1643. Come pure delle altre successive volte che fu rinnovalo. A tempo del nominato Biscioni, o sul principiare del Secolo XVIII, l'appalto del tabacco era unito a quello dell'acquavite, e pagava di canone annue lire 280,000. Dopo pare che fosse separato da quello dell'acquavite, e nel 1736, sappiamo che il canone fu di lire 210,000. Dal 1789 al 1802, l'amministrazione andò per conto del Governo. Nei 1803, fu di nuovo dato in appalto per lire 323,000. Poi di nuovo nel 1809 andò a conto del Governo fino al 1814, ann» nel quale rincominciatosi l'appalto, ha seguitalo senza interruzione, rinnovandofo di tempo in tempo e sempre aumentandosene vistosamente il prezzo del canone (segno certo del vistoso aumento di consumo di questa derrata) secondo che quiè espresso.
1814 lire 700,000 1820 » 770,000 1826 » 1,602,300 1832 » 1,660,000 1838 » 2,040,000
Nel 1839 vi fu un rincaro nella vendita a miunto, per l'approvato aumento sulle laritTe dei tabacchi. Dal 1847 in poi, fu aumentato il canone per essere stato aggregato alla Toscana 1’exducato di Lucca.
(2) In seguito di questa legge fu invitata per ordine Sovrano l'Accademia dei Georgofili (V. Alti T.2, pag.9), a pubblicare una istruzione per la coltivazione del tabacco, la quale fu subito falla e •stampata senza data, ma non negli Atti, e falla circolare a foglio volante col titolo d’Islruzioni per la cnllfvnzione del tabacco, presentata e Iella dall'Autore delle istruzioni elementari d'Agricoliura (che era Adamo Fabbroni) nell'Accademia dei Georgofili di Firenze, ed approvata dai signori Commissari a ciò specialmente destinali, e pubblicala dalla medesima Accademia in esecuzione drlle sovrane volontà.
1839 lire 2,140,000 1844 » 2,230,000 1 847 » 2,422,000 1850 » 2,722,300
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Il benemerito Proposto Marco Lastri, nell'adunanza dell'Accademia dei Georgofiii tenuta il giorno 6 Luglio 1714, lesse un suo Discorso economico della coUivazione e tnanifattura libera del Tabacco in Toscana (1), il quale forse determinò l'illuminato Pietro Leopoldo a prendere la risoluzione di sopra a favore dei coltivatori Toscani. Questo fattoè molto concorde a quello avvenuto preventivamente negli Stati della Chiesa, atteso che l'abate Grassi, che fu poi Generale dei Silvestrini, aveva pubblicato id Jesi nel 1730 un suo Discorso sull'utile e necessitàd'introdurre la piantazione del Tabacco negli Stati Pontifici, al quale poi nel 1757 ne sussegui l'abolizione dell'appalto del tabacco in tutti quegli stati, per ordine di Benedetto XIV.
Non molto godè la Toscana di questa libertàdi cultura concessale da Pietro Leopoldo, poichè nel 18 ottobre 1791, Ferdinando III ristabili l'appalto a favore dei privati speculatori, ripristinando l'antica permissione della coltivazione di questa pianta sotto certe condizioni ai medesimi luoghi che l'avevano avanti gli editti di Leopoldo. Questi luoghi erano i territori di Turicchi, della Trappola, di S. Lorino del Conte, e di Chitignano, e la Cesa, la quale poi nella notificazione del 21 agosto 1826 fu esclusa sola dal godere di questo privilegio. Ma poi per certi speciali motivi fu anche a questi luoghi tolto tal permesso col Motuproprio del 19 maggio 1830 ; cosicchè da questa ultima epoca, in tutta la Toscana non si può da chicchessia coltivare il tabacco di veruna specie, nè manipolare quello che dall'estero potesse pervenirc. Il tabacco oltre il lucro che potrebbe dare ai possidenti coltivandolo, come hanno dimostrato il Duburgua, Il Grassi, il Lastri sopra ricor-
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(1) Questo Discorso fu poi stampato a parleranno stesso 1789 nei quale Leopoldo 1 aboli questa regalia.
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dali, il Welder (1) lo Zucclvini (2) e tanti altri agronorai,è stato anche proposto per sovescio nei campi da Giov, Fabbroni, conae utilissimo ingrasso (3).
Oltre il tabacco comune ve neè un'altra specie, la qualeè detta nicotiana rustica dai botanici, originaria dell'Europa meridionale, del Levante, dell'Affrica e dell'America, molto coltivata in varj paesi, e tra noi pur anche spesso in frodo della leggc. Questaè nota col nome di tabacco brasile, tabacco monocos, priapea, ed erba corsa, della quale il Mattioli (4) ne dàla flgura, chiamandola hiosciamo nero, da non confondersi coWHyosciamus niger dei botanici. Pare che questo tabacco brasile fosse conosciuto in Italia poco prima dell'epoca in cui ne fa parola il Mattioli, poichè egli cosi si esprime, hanno portato alcuni di nuovo in Italia una pianta veramente molto bella all'occhio ; e più sotto soggiunge che questa gli fu mandata d'Italia in Boemia la prima volta dal Gortuso. Vuoisi per altro che questa specie di nicotiana sia anche originaria e spontanea dell'Italia, e precisamente secondo il Bertoloni (5), si trovi nel Veneziano, luogo detto il Cavallino. Linneo le dette un'origine Americana ; ma il Gesalpino (6) dice in nostro orbe nascitur, e la distingue come una specie di tornabuona, cioè di tabacco ; ma poi soggiunge
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(1) Istruzione per hi coltivazione del tabacco, nel Giornale d'arti e mestieri di Macerata 1780, T. 2.
(2) Lettera al signor Auditor Giovanni Neri Badia, sulla coltivazione del tabacco. Venezia 1789.
(3) V. Atti dei Georgofili T. 3, pag. 3oi. Il tabacco generalmenteè pianta annua nel nostro clima ; ma mio Padre (Estr. di mem. Agrar. francesi fatto e pubblicalo per commissione dell'Accad.dei Georgofili 1809, pag. 37) ne vedJe nell'orto dei frali minori osservanti di Ognissanti, alcune piante che vivevano e vegetavano da 9 anni in addietro.
(4) Discor.in Dioscor.T 2, pag. 11 19.
(5) Fior. Ita!. T. 2, pag. (il 0.
(6) De plantis I..8, c. 4i, pag. 345.
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peregina apud nos, cioè in Toscana. Veroè che spesso trovasi nata nei boschi montuosi, nei ripiani detti carbonaie, sui quali si bruciano le legne per farne carbone, ma ciò dipende o dall’esservi stata seminata in frode della legge, o dall’esservi rinata da seme cadutovi spontaneamente da piante statevi coltivatc. Questa qualitàsi vuole che serva a preparare il tabacco turco, detto anche di Siria (1), e che Gualtero Raleig preferisse di fumare questa medesima specie (2), quando per cortigianeria, come superiormente ho detto, il fumare divenne alla moda in Londra.
Senna
Sotto il nome di sena si conosce una droga medicinale, che consiste nelle foglie di varie specie di Cassia, appartenenti alla famiglia delle leguminose, tribù delle Cassiee, e della qual sena diverse qualitàse ne ritrovano (3). Ma io ora voglio unicamente ricordare quella specie annua, che il Colladon (4) ha distinto col nome di Cassia obovata, da altre colle quali era confusa, e che sebbene originaria soltanto dell'Alto Egitto, dell'Arabia e dell'Indie orientali, ricevè il nome di sena italica, perchè molto coltivata in Italia, e principalmente in Toscana nei secoli XVI e XVil (5). Questa pianta ha le foglie paripinnale, di sette coppie di foglioline, obovate, rotondate, con il che facilmente riconoscesi dalle altre specie, le di cui foglioline sono più o meno acutc. Àˆ annua, lo che la rende più fa-
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(1) V. Forbes Royle illuslr.of the plants of Hymalaia ec., p.283. Lindley Medicai. flora pag. Sl3.
(2) V.Pereira, Elem.of the mal.raed.and. Iherap. T.2, p. 1248.
(3) V.II mio Corso di botan.e mal. raed.pag. 396 eseg. Molte sono le cassie che danno la sena naedic^inaie, le quali prendono per lo più in comnaercio il soprannome delle localitàdove nascono, e da dove provengono.
(4) Hist.nat.et medicale des Casses ec. Montpelier, 1816.
(5) La cassia obovata fu delta anche sen» di Barberia, della Tebaide, del Senegal, d'Aleppo, di Spagna ec.
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cile a vivere nel nostro clima delle altre, le quali esseodo perenni non potrebbero superare il rigore dei nostri inverni ; oltre di che ha la proprietàdi rinascere facilmente da per sè dai semi caduti, come in altro tempo ho fatto rilevare (Ij.
Che poi la sena fosse nelle epoche sopravverlite coltivata comunemente in Toscana,è cosa certissima, poichè il Mattioli (2) dice, che la senaè un'erba che si semina nei campi, come posso io insieme con tutti gli speziali sanesi e fiorentini far testimonianza, e si raccoglie ogni anno in Toscana. Il Gesalpino (3) avverte che la sena è frequente nel Pistojese, e cheè seminata parimente nella campagna attorno a Firenze, Gabbriel Falloppio (4) asserisce che molta sena si coltivava nel Pratese e nell'agro Fiorentino ; ed il Padre Vitale Magazzini (5) ne parla come sempre coltivata a suo tempo. Lo che fece credere al Ronconi (6), che questa pianta nasca spontanea attorno alla nostra città ; e per essere egualmente coltivata in altre provincie dell’Italia, come nella Liguria, nell'Agro Romano ed in Puglia (7), fu creduto dal Rozier (8), che fosse spontanea dell’Italia. Ma poichè veruno dei Greci ne fa menzione (9), e che neppure i Latini la ricordano, siamo certi che essa non
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(1) V. la mia meraor. Sulla coltivazione della Sena nella Maremma ec. AHI dei Georgoflii, T. 23, pag. 17.
(2) Disc, in Dioscor.T.2, p.823.
(3) De plantis. L.6, B.c. 36.
(4) De raedicam. purgant. siraplicibus. pag. 409.
(5) Collivaz. Toscana pag.lt.
(6) Dizion. d'Agric. T.4.pag. 76.
(7) V. Bauhin. hisl. plant. T. 1, pag. 377.
(8) Cours d'Agric. ou Diclionn. d'Agric. T. 9, pag. 178.
(9) Il primo autore greco, raa peraltro dei tempi barbari, pare che fosse Niccolò Myrepsico, ctie visse nel XIII secolo, il quale scrisse sulla Sena, secondo ciò che ne dice lo Sprengel, Hist. rei herb. Ti, pag. 260.
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fu da loro conosciuta. Infatti noi ne dobbiamo la notizia agli Arabi, poichè per i primi ne parlarono Se rapione e Mesue ; ma tuttavia non apparisce clie la coltivazione in Italia di questa pianta vi fosse introdotta molto avanti al secolo XVI. Intorno ai vantaggi che potrebbero ottenersene dal coltivare la sena italica di nuovo in Toscana, non già nelle campagne fiorentine e pistojesi, dove ai giorni nostriè necessario e più utile seguitare altri generi di cultura, ma nelle maremme, fu giàda me esposto altrove (1), sicchè qui per lo scopo cuiè destinato questo discorso, basteràl'aver ricordato da dove fu la sena importata nella passata nostra industria agraria, non senza valutabile profitto, atteso che dopo il servire ai bisogni del paese, molta se ne esportava all'estero (2).
Il ricino, abbenchè non coltivato che in piccola quantitàed in pochi luoghi, pur tuttavia poichè ne fu da taluno raccomandata la di lui sementa, come proficuo prodotto (3), e perchè potrebbe riescire un utile ramo di agricoltura, in certe localitàdella maremma, dove forse diverrebbe perenne ed arborescente nelle esposizioni piii calde, cosi credo di non doverlo passare in silenzio. Alla qual cosa tanto più mi risolvo, in quantochè di presente sono stati fatti nuovi tentativi nella campagna livornese per una più estesa coltivazione ; tentativi che sembrano essere riusciti di una qualche utilitÀ, da che il sig. Gustavo Corridi eresse in quella cittàuna fabbrica di olio, estratto dai semi di questo vegetabile ; quale olio si versa in commercio di
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(1) V. la mia Memoria qui sopra citala negli Alli del Georgoflii, T. 23, pag. 17.
(2) V. Falloppio, loc.cil. Giovanni Targioni-TozzeUl, Viaggi per la Toscana ec. T. 5, pag. 87.
(3) Barlalini, Memoria sulla pianta del ricino ec. Alti dell'Acdemla del Fisiocrilici di Siena, T.7, pag. 272.
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una eccelleote qualità per uso dei farmacisti, e ad un prezzo assai modico.
Ricinus
Il ricino, che è anche dello Palma Christi, e dai botanici Ricinus communis, appartiene alla famiglia delle Euforbiacec. Essoè nativo dell’Europa meridionale, ed in Sicilia ve neè buona quantità ; nasce pure nelTAffrica, sulle coste di Barberia e nell'Egitto, ed anche alle Indieorientali. 1 Greci conobbero questa pianta col nome di croton (xpoTuv) ed i Latini con quello di ricinus, perchè in tal modo chiamavano le respettive nazioni quegli insetti infesti ai cani, ai bovi, alle pecore, e ad altri animali, e che noi diciamo zecche (Ixodes ricinus), e ciò per una certa somiglianza che hanno coi detti insetti, i semi della pianta in questione (1). II ricinoè conosciuto dalla più remota antichitàperchè questoè il chichion della Bibbia (2), che la volgata traduce per ellera, sotto la quale Giona stava all'ombra ; ma la versione nonè giusta, per quanto S. Girolamo sostenesse questa opinione nelle dispute avute con Sant'Agostino, il quale appoggiandosi alla versione dei 70, ed ad altre che la dicono colocynthis, fu di parere che quella pianta fosse una qualche specie di zucca. Su di che questa disputa andò tant'oltre fra i due SS. Padri, che S. Agostino accusò a Roma d'eresia S. Girolamo (3).
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(1) Omero non chiamò la zecca oolon, ma Invece KWQppaiarrn cioè uccisore dei cani.
(2) Jona, c.4.v.fi, 7, 8.
(3) V. S. Augusl. Opera, T.2, pag.161 e i74.S.Hyeron.Opera, T. 1, pag.748. Sclieuchzer phys. sacr.T.7, pag. 467. Molte furono le opinioni sulla natura della pianta sotto la cu! ombra slava Giona, come può vedersi nel prefalo Sctieuclizero. Varie parimente furono le lezioni di questo chichion che molti volgarizzatori della Bibbia indicarono, e che si possono vedere nelle opere di S. Girolamo, il quale difendendosi dalle accuse dategli da S. Agostino, descrive la pianta di Giona : dicendo esl genus virgulti, lata habens folta in modum pampini, lo che bene si addice al ricino ; ed avverte di più di averli dato il
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Ora peròè certo fra i botanici, che la pianta che serviva a ricovrar sotto la sua ombra il profeta, e che rosa da un verme si seccò, altro non era che una pianta di ricino (1). Infatti per tale traduce sempre la voce ebraica chichion, il celebre orientalista Santi Pagnini, che trasportò in Ialino il testo ebraico della Bibbia (2), e lo stesso fecero molti altri citati dallo Scheuczero. Nè ciò deve far meraviglia, se si considera che nei paesi caldi la pianta non viè annua e piccola come fra noi, o in altri climi più freddi, ma grande e quasi arborea (3). In prova di che Dioscoride (4) dice che il ricinoè pianta arborescente, e della grandezza di un piccolo fico ; ed anche il Bellonio (5), assicura che in Greta vi cresce all'altezza di albero. Il Glusio (6) racconta averne vedute sulle coste marittime dell'Andalusia, delle alle per tre uomini ; ed in Sicilia si fa perenne e fruticosa, come lo avvertono il Rajo (7) ed il Gussoue (8). Il Lamark (9) assicura che alle Indie ed in Affrica cresce in albero abbastanza grande, e presso a poco come un melo, e che delle piante cosi fatte ne trovò in Barberia e vicino a
nome di ellera, per non sapere meglio chiamarla, Iraducendone la voce ebraica.
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(1) Scheuchz.phys. Sacr.T.7, pag.467, il quale si estende mollo sopra lai questionc. V. Canvan's disserl. on the oleum of palma Chrlsti ed. 2. London 1769. Sprengel, Hist. rei herb. T. 1, pag. 17.
(2) Ciò può vedersi nella Bibbia stampala da Pietro della Rovere nel 1619 f.°
(3) II Miller. Dici, du Jardin. edil. di Bruxelles 1788, T. 6, pag. 283, dice male che il ricinoè pianta annua e sempre erbacea.
(4) Mat. med. L. 4, c. 164.
(5) Observ.L. 1, c. 18, pag. 23, in Clus. exotic. Anche lo Slapel nei coram. a Teofraslo lo asserisce arboreo, pag. 339, 920, e 1089.
(6) Adnol. in Monard. simpl. raedicam.hisloria, cap. 4, pag.99, in Clus.exolic.
(7) Hist. plant. L.4, c. 4, T. 1, pag. 166.
(8) Synopsis Flor.siculae, T.2, P.2, pag. 617.
(9) Encyclop. botan.T.6, pag. 201.
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Bona. H Lasleyrie (1) racconta aver veduto a Cadice una pianta di ricino molto vecchia, alta circa 10 braccia, e col fusto grosso quanto la testa di un uomo. Alle Indie orientali riferisce il Roxbourg (2), che il ricino, tanto coltivato che spontaneo, cresce all'altezza di un albero, e vive molti anni ; e Analmente a Villafranca, presso Nizza nel Piemonte, ne furono viste nel 1818 da Achille Richard delle piante arborescenti, alle da 30 e 35 piedi (3). Dal che si può credere l'aver potuto servire una pianta di ricino a difendere colla sua ombra il profeta Giona dai cuocenti raggi del sole.
Gli Egiziani chiamavano questa pianta dei, nome adottato anche dai Greci, come si vede in Dioscoride (4), in Strabooe (5), in Erodoto (6), il quale lo ha pure sotto il nome di Sillicyprion fotUixuTrpiov), ed in Plinio: e quei popoli ne facevano abbondanti semente lungo le rive dei fiumi e dei laghi, e ne estraevano dai semi Tolio per ardere, come i predetti autori ne fanno testimonianza ; cosicchè esso era presso gli Egiziani molto valutato. Infatti il Caillard ne trovò i semi in alcuni sarcofagi antichi, che si suppone potessero contare da circa 4000 anni (7). Ippocrate propone la radice del ricino per medicamento una sola volta, sotto il nome di croton (8), e Galeno (9) avverte, cheè la cosa stessa del cici degli Egiziani ; ma tanto Dioscoride che Plinio,
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(1) Del Cotoniere e sua coltivazione, tradotto da Luigi Targionl. IVapoIi 1808, pag. 63.
(2) Fior. Indica, T.3, pag. 689.
(3) Dlctionn. class. dHist. natur.jT. 14, pag. 61.^.
(4) Mat. med. toc. cit.
(5) Geograpti. L.17.
(6) Hist. L. 2, c. 94, pag. 146.
(7) V. Merat e Lens. Dizion. di mat. med. trad. in Hai. T. 2, pag 827. Pereira. Elem. of mat. med. and. Iherapeut. T. 2, pag. 1121.
(8) De nat. mulleb. T. 1, pag. 573, edit. cura Foes.
(9) De simplic. medicam. facultat. L.7, pag. 81.
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non parlano dell'olio di ricino come usato per condire, ma sollanto per ardere nelle lucerne, cibis ineptum ac foedum, sed alias lucernis et emplaslris utilc. Oggi per il contrario il suo esteso consumoè fra noi unicamente per medicamento purgativo ; ed è per questa cagione che, atteso il gran consumo che se ne fa, meriterebbe che si considerasse quanto veramente potesse esser utile coltivarlo, più specialmente nella maremma, come sopra ho avvertito.