Piante leguminose o baccelline (Targioni-Tozzetti, Cenni)

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Piante graminacee o culmifere
Targioni-Tozzetti, Antonio, Cenni storici, 1853
Piante Solanacee


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§. II. Delle piante leguminose o baccelline.

Dalle piante graminacee scendendo ora a quelle leguminose, che formano un'abbondante messe nei nostri campi, e che si conoscono nella nostra agricoltura col nome di civaie e di piante baccelline, dobbiamo confessare che a riserva di certune spontanee nel suolo italiano, adottate e migliorate nella nostra coltivazione, l'introduzione di alcune altre fra esse è sconosciuta, e deve rimontare ad epoca remotissima, poichè di queste ne fanno menzione tutti gli scrittori georgici greci e latini, come di cose volgarissime nell’uso e ben conosciute. In tali condizioni sarebbero colle loro varietà, i piselli (Pisum sativum), erebinthos di Omero (1) e di Ippocrate (2), pisos di Teofrasto (3), che taluni hanno creduto nativi d’Italia, e fra questi il Pollini (4), ma che non lo sono, come non lo sono neppure d'Europa per Linneo, rimanendo ignota la patria loro anche al Decandolle. Lo sbaglio di aver creduto questa pianta nostrale, è nato dall’aver confusa tale specie con altra simile, dai botanici moderni bensi distinta come affatto diversa, e che è il rubiglio pisum arvense (5). I fagioli

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(1) Iliad. 13, V. 589.

(2) De vict. rationc. L. 2, p. 360, edit. cum Foesio.

(3) Hist. plant. L. 8, c. 3, ed erebintos orobiatos L. 8, c. 5.

(4) Flor. Veron. T. 2, p.482.

(5) Intorno ai piselli o rubigli, vedi ciò che ho detto di sopra parlando del riso, riguardo a Pier Crescenzio.


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bianchi (Phaseolus vulgaris, e Phaseolus romanus, Savi), sono ben noti, ed originarj specialmente delle Indie orientali, e dei paesi equinoziali del vecchio e nuovo mondo, secondo il Savi (1). Fra il qual genere di fagioli, merita che qui si ricordi il Caracollo (2), (Phaseolus Caracalla, L.) per quanto non spettante alla agricoltura, ma al giardinaggio ; il quale nativo egualmente delle Indie orientali, fu portato in Italia dai Portoghesi, ed il primo ad averlo fu il Granduca Ferdinando II de’Medici poco dopo il 1660, come lo sappiamo dal Triumfetti (3) e dal Savi di sopra citato (4). Altre leguminose sono il fagiolo dall'occhio (Dolichos melanophtalmus, Savi) nativo delle Indie orientali, e le Fave (Vicia Faba, L.) rammentate nella Bibbia (5) fra i doni fatti a David dagli Ammoniti e Galaditi, e citate fin da Omero (6). Sono esse originarie dell'Egitto, secondo Linneo, o delle vicinanze del mar Caspio, sui confini della Persia secondo il Lerche, citato dal Wildenow. Il Dodoneo (7) pensa che le fave coltivate fra noi, almeno quelle chiamate vernine, non fossero conosciute in Italia anticamente ; lo che si riscontra non esser vero, avendone parlato di tali fave Virgilio e Columella, poichè esse sono quelle che si seminano in primavera e delle quali ne fa pur menzione, come cosa ben conosciuta al suo

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(1) Memoria 3.° sopra i generi phaseolus e dolichos. Nuov. giorn. de’letterali di Pisa T. 10, p. 33.

(2) Caracol, quod cochleam sonat, a florum forma desumpto. Triumfetti, De ortu et vegetal. plantarum p. 96.

(3) Obs. de ortu et vegetatione plant. p. 76.

(4) Mem. 3.° citata di sopra.

(5) Reg. L. 2, c. 17, v.28. - Ezech. 4. 9.

(6) Iliad. l3, v. 589. - In arabo sono dette bakilla, dal che l'italiano baccello, col quale si chiamano i legumi o frutti delle fave. V. Muratori, Antich. ital. T. 2. p. 17. Diss. 33.

(7) Hist. Stirp. pemptap. p. 513, ed Hist. frumentor. legumin. p. 1569, p.88.


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tempo Pier Crescenzio (1). Anche Plinio (2) trattando delle fave, dice che nascono spontanee in molti luoghi, particolarmente nelle isole dell'Oceano settentrionale ; dove bensi lo Stapel avverte che non sono state finora osservate dai nostri botanici (3). Una varietà particolare di fave, che oggidi si vede coltivata, è quella a semi rossi, la quale Agostino del Riccio (4) dice essere stata portata in Toscana a suo tempo, ignorandone bensi la provenienza. Tutte le altre civaie, essendo spontanee dell'Asia, si sono migliorate colla cultura nei nostri campi ; e queste sono : i Lupini (Lupinus albus, L.), che il Decandolle dice d'Oriente, ma che trovansi indigeni in Italia, come lo assicurano il Gussone ed il Bertoloni ; i Rubigli (Pisum arvens, L.), siali confusi con i veri piselli, nel modo che sopra ho fatto avvertire (5) : i Mochi (Lathyrus cicera, L.), ricordati da Columella e da Galeno, ma non da Plinio ; le Cicerchie (Lathyrus sativus, L.) cicerculae di Plinio e di Columella ; i Leri o Zirli (Vida Ervilia, W.) Orobus dei Greci ; la Veccia (Vicia sativa, L.) Aphaca e Bicion dei Greci, Ketsach delia sacra scrittura (6) tradotto dai settanta per gith o nigella, ma nella versione svizzera e nella volgata, si dice più giustamente veccia (7) ; il Cece (Cicer arietinum, L.),

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(1) Opus rustic. commod. L.3, c. 8.

(2) Hist. nat. L.18, c. 12.

(3) Adnot. in Theophrast. p 951.

(4) Agricoltura sperimentale, MS. ined. e presso di me, T. 2, carte 337.

(5) I rubigli erano noti ed in uso molto anticamente, poichè il monaco di Bobbio che circa l'anno 930 scriveva i miracoli di S. Colombano, dice legumen pisi quod rustici herbiliam vocant, dalla qual voce herbilia ne venne rubiglia e rubiglio. V. Murat., Antich. ital. T. 1. p. 347. Diss.24.

(6) Reg. L. 2, c. 17, v. 28. Isaia, c. 28, v. 25 e 28.

(7) San Girolamo al C. 4 sopra Ezechiele, dice : quam nobis viciam interpretati sumus, Septuaginta Theodosioque posuerunt ὀλῦραν (olyram), quam alii arenam alii sigalem putant. Aquilae autem prima


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di cui per altro poco conio facevano i Latini, ed al quale secondo il Bochard (1) si deve riferire il chirionim della Bibbia, tradotto invece generalmente per sterco di colombo (2). Questa versione,è con naolta razionalitàrefutata dallo Scheuchzero (3), non essendo mangiabile la colombina, ma però avverte che quella voce chirionim aveva il doppio significato, di cece cioè, e di sterco di colombo ; ed il Bochard or ricordato, opina, che per sterco colombino, si dovesse anche intendere un cibo vile e cattivo, ed altrove (4) suppone che fosse un musco o una terra grassa della figura di un cecc. Giuseppe Ebreo (5) non meno che il Theodoreto (6) lo credono sale ; ed i Rabbini dicono che fosse il grano beccato dai colombi nei campi e raccolto nel loro gozzo. Lo Sprengel (7) per altro non ammette queste opinioni, e referisce al chirionim quella pianta bulbifera fra noi volgarissima, detta latte di gallina, Ornithogalum umbellalum dei botanici, la di cui cipolla egli dice mangiabilc. Comunque però sia, i ceci erano conosciuti ed usati dagli Ebrei, poichè secondo S. Girolamo (8) quel Kali, che trovasi ricordato nella Bibbia (9) fra i doni recati a David, erano i ceci fritti o tostati, comeè stato tradotto, e nella volgata Ialina, e nella versione italiana del Martini (10). Le Lenti [Ervum Lem, L.), cibo favo-

ediiio ci Symmacus ri%i sive rdas (leas et teias) inlerprelali sunt, quam nos vel far spellamquc dicimus.

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(1) Hieroz. P.2, L.l, c. 7.

(2) Reg. L 4, C.6, V.25. (3) Physiq.sacr.T. S, p. 140.

(4) De Animai. Sacr. Script., P.2, L.l, c.7.

(5) Antiq.judaic, L.9, c. 2.

(6) Quaest. 21. in Reg.

(7) Comment. in Dioscor, T.2, p.471.

(8) V.Bochart. Hieroz. T. 3, p.'iO.

(9) Reg. L.2, c. 17, V. 28

(10) La voce ebraica fcafÀ³ secondo il Calmel (Dici, lubl.) significa in generale una cosa fritta, come appunto I ceci, l'orzo e simili.

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rito da Zenone e dagli Stoici greci, pressu i quali si conoscevano col nome di phace e rammentale nella Bibbia (1) col nome ebraico Naghada&ciin, erano comunissime fra gli Egiziani, ricordando più tardi le lenti niliache e di Pelusio, Ateneo, Ovidio, Virgilio, Marziale, Ausonio, Plinio, ec. Che anzi S. Agostino (2) nel dire che abbondantemente crescevano in Egitto, e che servivano di cibo, stimandosi molto quelle di Alessandria, si maraviglia come esse venissero di làfino in Italia, quasi che fra noi non nascessero. Per altro al dire di S. Girolamo (3) non si coltivavano nel basso Egitto, ma venivano portate dalla Tebaide e dall'alto Egitto. Ora le lenti si trovano spontanee in varie parti d’Italia (4) ; ma il Bertoloni emette il dubbio che in origine vi siano slate portate dall'Egitto. Lo Slapel (5) intorno a questa civaia avverte che secondo Plinio, le lenti erano di due qualitÀ, una cioè volgare, che sarebbe la nostrale un poco più grossa, l'altra egiziaca, la quale sembra che fosse più apprezzala perchè migliore, abbenchè più piccola di semc. Tutte queste ricordate civaie, colle loro numerose varietÀ, prodotte da ibridismi, dal clima, e dal terreno dei varj paesi d’Europa, dove si coltivano, sono ben note, e di non poche altre ridette varietàne abbiamo avute come nuove ai nostri tempi, ma che variando condizioni di cielo e di terreno, sono ben presto imbastardite e ritornate alle specie comuni.

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(1) Genes.C.25, v.34, Reg.L.2, c. 17, v. 19.

(2) V. opera omnia, ediz. Valgris. Venetiis, 1570, 4.° Enarrai, il) Psalm.4S, T.8, p.i42.

(3) In Ezechiel. L.9,c.30.

(4) V.Scopoli Flor.Carniol.Edit.2, T.2,p.67 ; — Tenore fior. Neapolil.4, in sylloge p. 104 ; el T.S. p. 121, et sylloge p. 136. N.o 1 ; Coraolli flor.Comens.T. 5, p.3S3 ; Moricand, Fior Venel. T.l, p.302. — Colla, Herb. Federa. T. 2, p.209. — Berlolonl. FI<.r.Ual.T.7. p.S40.

(5) Adnotin Theophr.p.92S. 5


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Alle piante bacceliioe, dalle quali gli agricollorr ottengono gran profltto come foraggio di ottima riuscita, facendone praterie estese, appartiene 1’erba medica, (Medicago sativa, L.), la qualeè originaria della Media. Fu essa trasportata in Grecia dai Medj nelle guerre dei Persiani fatte da Dario, come lo attesta Plinio (1), ossia 470 anni poco più all’incirca, prima dell'era cristiana ; e giàStrabene (2) aveva indicato questa di lei provenienza il primo di tutti. Ebbe questa erba fra i Greci grandissimo credito, come eccellente alimento per i bestiami, e perciò ricordala da Teofrasto (3), descritta accuratamente da Dioscoride (4), citata da Aristotele (5), il quale peraltro la vuole un foraggio non nutritivo, ma anzi emacianle, contro ciò che se ne pensa in generalc. Fra i Latini molto la lodarono Varrone (6), Columella (7), Virgilio (8), Palladio (9) ec ; cosicchè la di l€i coltivazione da remota epoca fu estesissima, e fino ai giorni nostri mantenuta, non solamente in Toscana, ma in tutta l'Italia. E qui credo dovere avvertire che questa erba medica,è stata parimente conosciuta in Francia col nome di Luzerne, e coltivata abbondantemente, ma spesso, ed in varie provincie confusa sotto nome di Sain foin con altra pianta baccellina (Hedy" mrum onobrychis ^ o Onobrychis saliva), la qualeè la nostra lupinella, errore commesso anche dall'Olivier de Serres, come lo rileva il Gilibert (10). Sulla qual lupinella

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(1) Hlst.Nal.L. 18, c. 16.

(2) Geograpti. L. 12, p.660.

(3) Hist. plant. L.8, e, 8. De caussis. L.2, c. 20.

(4) Mal.raed. L.2, c.l77.

(5) Opere, T.4, 1.2, e, penallimo de aolni.

(6) De re rustica, L S, c. 42.

(7) De re rustica, L.2, e 14.

(8) Georgic.L.l, c.2i8.

(9) De re rustica. L.3, IU.6.

(10) Traile des praities arlificieltes, pagr 58.


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tanti agronomi hanno scritto per propagarne la coltivazione nel secolo decorso, e che oggigiornoè resa estesissima in una gran quantitàdi colline della Toscana. Ma questa lupinellaè spontanea del nostro paese, come spontaneaè ben anche la sulla o lupinellone (Hedysarum coronarium, L.), coltivata ora del pari in molti luoghi, ed in una certa abbondanza per foraggio, nelle praterie artificiali di collina (1). Lo stesso dicasi del trifoglio rosso, o trafogliolo, come corrottamenteè chiamato, che si coltiva nei campi per foraggio, e cheè il Trifolium incarnatum, spontaneo esso pure dell'Italia. Sicchè di queste tre ultime piante nostrali, la lupinella, cioè, la sulla e il trifoglio, non l'introduzione, ma la propagazione loro nella coltivazione si dovrebbe ricercare ; lo che rimonta ad un'epoca non molto remota.

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(1) V. Cultura della Sulla o lupinellonc. Giorn. dell'Assoc. Agrar. di Grosse II». T.3, p. 170