Piante Solanacee (Targioni-Tozzetti, Cenni)

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Piante leguminose o baccelline
Targioni-Tozzetti, Antonio, Cenni storici, 1853
Piante convolvulacee

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§. III. Delle piante Solanacee.

Oltre le piante baccelline fin qui dette, molle altre di famiglie differenti si coltivano estesamente presso di noi, perchè vantaggiose nella rotazione agraria, o perchè il loro abbondante fruttato riesce di gran benefizio ai bisogni degli uomini e degli animali. Neil’esporre ora qualcosa relativamente alla loro intrcduzioue nella nostra agricoltura, mi piace cominciare dalle patate (Solanum tuberosum) appartenenti alla famiglia delle solanacee, dai Francesi e dai Lombardi dette pomi di terra, comecchè piante di un’utilitàmassima, e da tutti riconosciute per tali.

Le patate adunque non erano note prima della scoperta dell'America, poichè esse sono originarie del

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(1) V. Cultura della Sulla o lupinellone. Giorn. dell'Assoc. Agrar. di Grosse II». T.3, p. 170


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Perù. Nè sussiste quiMio che il Gluslo (1) suppone, cioè che fossero state indicate da Teofrasto (2) sotto il nome di Arachidna, poichè lo Sprengel (3) confuta giustamente come ridicola questa opinione, e riferisce V Arachidna al Lathyrus amphicarpos L., piuttosto che al Lathyrus tuberosus L., come vorrebbe il Colonna (4). Neppure sussiste r altra opinione del Gortuso, citato dai due fratelli Bauhini (3), che cioè le palate siano il pycnocomon di Dioscoride (6), mentre ciò si rileva non sussistere dall'Anguillara (7), da Fabio Colonna (8) e dallo Sprengel (9), il quale ultimo lo crede il Leonurus marubiastrum. Quindi non fa maraviglia se presso gli antichi, delle patate non se ne fa menzione alcuna, avanti al secolo XVI. Il Baldini (10) pretende che il primo il quale ne abbia data notizia in Italia sia stato Girolamo Cardano, verso il 1380, il quale lasciò scritto (11), in Colla aulem regione Perù, papas est tuberis genus, quo prò pane uluniur. Si osservi peraltro che il Pigafetta Italiano, aveva trovato al Brasile, dove approdò l'anno 1319, le batate, le quali come lo pensa e lo avverte Carlo Amoretti (12) sarebbero per lui le patatc. Ma potrebbe esser

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(1) Hist. Rarior. piantar. L. 4, pag. 80.

(2) Hist. plant. L. 1, c. 11.

(3) Hist. Ilei herb. T. l, pag. 98.

(4) Ecfrasis. c. 13(5, pag 304.

(5) io. Bauh. Hist. pi. T. 3, p. 626. el Casp. Bauh. Theatr. pag. 167.

(6) Mat. med. L. 4, c. 176.

(7) De Semplici, p. 298. f8) Phylobasanon. p. 33.

(9) Hist. Rei herb. T. 1. p. 180, e Conaraent. in Dioscor. T. 2. pag. 610.

(10) Riigionamenti sui pomi di terra ec., Napoli 1787, riportati nella Collezione di quanto siè scritto intorno alla coltivazione ed osi delle palalc. Napoli 1803, p. 174.

(11) De rerutn varietale, L. 1, c. 3.

(12) Della coltivazione delle palale ec, nella collezione di quanto siè scritto intorno alla coltivazione ed usi delle palale ec. Napo-


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lecito di dubitare, che piuttosto avesse quel viaggiatore voluto intendere delle cosi dette batate, o radici del convolvolus balatas, di cui parlerò più sotto. Infatti il Pigafetta (1) scrive avervi trovato le Batales, che nel mangiare si assomigliano al sapor delle castagne, e sono lunghe come i navoni, dal che si rileva che non erano le patate o pomi di terra, ma le batatc. Bensi abbiamo con più certezza che il Fiaschi, mercante Fiorentino, altra volta ricordato in proposito del formentone, nella stessa sua lettera giàcitata, del 24 Gennaio 1534, scritta dall'America meridionale, al suo fratello Tommaso, racconta che oltre al Mays, a Valenzuela seminano certa cosa che la domandano Patalta che fa una barba molto grossa, e la detta barba si cuoce sotto la cenere (2). Di queste patate dette a Quito ed al Perù papas, ne fece menzione Pietro Cieca Spagnolo, nella sua Cronaca del Perù (3) stampata nel 1S53 ; quindi il padre Giuseppe Acosta gesuita, che le vidde al Brasile e al Perù, chiamandole papa (4). Come pure Francesco Carletti mercante Fiorentino, che viaggiò nell'America meridionale sul finire del XVI secolo, e di giàaltra volta ricordato superiormente, dice nel suo quarto ragionamento (5), di aver trovato le papate (come egli le chiama, e che descrive chiaramente), nello sbarcare che fece al porto di Santa, nel Perù. Ma fin qui non si

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li 1803, pag. 1!>3. Ed anche Amoretti e Dandolo, Istruzione delia coltiv. delle palale ec. Firenze I8l7. Ed i Viaggi allorno al inondo del Pigafetta, pubblicati da Carlo Amorelli.

(1) Ved. in Rarausio. Della navigazione e viaggi, T. 1, pag. 333, la relazione del primo viaggio attorno al mondo del cav. Pigafella Vicentino ec.

(2) Ved.Giov. Targioni Tozzetti. Viiggi per la Toscana, edizione seconda, T. 5, p. 460.

(3) Pari. I, Cap. 40.

(4) Hist. nalur. e raora|. delle Indie ec.. Venezia 1896.

(5) Ragionam. ec, p. 62.


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avevano che semplici notizie della loro esistenza nella America, e non si trovavano questi tuberi presso di noi in natura. Il primo che gli facesse conoscere alla Europa si fu il famoso e disgrazialo Gualtiero Raleigh (1) il quale sotto il regno di Elisabetta, e precisamente nel 1584 scopri la Virginia, e poco dopo, cioè nel 1586 (2), mandò le patate in Inghilterra, da dove si propagarono in tulle le altre parti dell'Europa. 11 Giù sio (3) ci rende noto aver esso avuto a Vienna d'Austria, due di questi tuberi sul principiare del 1588, da Filippo De Sivry prefello di Mons nel Belgio, il qual gli aveva avuti da un familiare del Nunzio Pontificio nei Paesi Bassi, con il nome di tarlulfoli ; e nonè perciò improbabile che lo stesso Nunzio ne avesse inviale verso quel medesimo tempo anche in Italia. Ma la notizia più certa della loro coltivazione nella Toscana, si ricava dal padre Magazzini Vallombrosano, il quale nel suo libro DeW agricoltura toscana, stampato nel 1623, dopo la di lui morte, attribuisce 1’introduzione delle patate in Toscana dalla Spagna e dal Portogallo, ai Garraelitani scalzi, parlando della maniera di coltivarle, in modo da far supporre che da qualche tempo fossero piantate e coltivate a Vallombrosa. Laondeè insussistente quanto ne dice lo Zanon (4) ed il Baldini (5), cioè che in Toscana furono esse introdotte a’tempi del Granduca Ferdinando II dei Medici, fondandosi ambedue sopra una

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(1) V. Rozier. Coarsd'Agricult. ec ou Diclion. univers. d'Agr. T. 8, p. J84.

(2) V. Pereira, Elemenis <>f mal. med. and Therap. Tom. 2, pag. 1261.

(3) Hi<l. Rar. plant. L 4, pag. 80.

(4) Dell'agricoli, arti e commercio, Lellero ec, Venezia 1767, T. 7, p. 1 86

(5) Ragionam. sui pomi di terra ec., Napoli 1787. nella Collezione di quanto siè scritto intorno alla collivazinnee osi delle palalc. Niipoli 1809, p. 174.


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lettera scritta dal iledi (1) a Pietro Nati, io data del 23 Gennaio 1667, nella quale parla delle Patatas, che successivamente dice essere il topinambur, cioè i tuberi dell'Helianthus tuberosus L., di cui qualcosa dirò in seguito. Quindiè che da quanto siè dello resulta, che le patate fra noi, erano giànote e coltivate al principio del secolo XVII. Al medesimo genere e famiglia delle palale, o pomi di terra, appartengono allre due piante coltivate per uso cibario, più negli orti che nei campi, vale a dire i pomidoro ed i petonciani o melanzanc. 1 pomidoro Solarium Lycopersicon^ sono originari della Cochincina, e dell'isola d'Amboina, egualmente che del Perù. II Rumphio (2) dice, che in Amboina servono di cibo, non solamente i frutti, ma che anche le foglie sono adoperale come condimento del pescc. Per quanto gli antichi avessero comunicazione colle Indie Orientali, e che perciò potessero averne, come di tanti altri vegetabili, o la semplice notizia, o la pianta in natura, tuttavia non apparisce che ne abbiano avuto conoscenza. Galeno (3)è vero che cita una pianta fetente, e da esso creduta velenosa, col nome di licopersico, la quale all'Anguillara (4) sembrò il pomodoro, ma lo Sprengel (5) lo nega, senza potere bensi schiarire, che pianta si potesse essere quella cosi fuggiascamente citata dallo stesso Galeno. Laonde può dirsi che l’introduzione del pomodoro nei nostri orti, non sia stata tanto remota, non trovandosene fatta neppure menzione negli scritti dr Pier Crescenzio. II Mattioli (6) di fatti, dice che furono

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(1) V. Redi, Opere, ediz. di Firenze del 1727, T. 8, p. 44.

(2) Herb. Amboin. T. 5, pag. 416.

(3) De siraplic. Iaculi. L. 4, c. 18.

(4) Dei Semplici p. 217.

(5) Comraent. io Discor. T. 2, p. 603.

(6) Discors. in Discor. T. 2, p. 1136.

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i pomidoro portati a noi al tempo suo, vale a dire sul principiare del secolo XVI. 11 Cesalpino (1) scrisse di questi sotto il nome di mala insana e mala aurea, dicendo però, che per quanto mangiati, erano al suo tempo coltivali piuttosto per bellezza. Quasi contemporaneamente il Sederini (2), che bene li distingue, colla breve descrizione che ne fa, dice che vengono di sementa d'India, ne parla come di cosa ben conosciuta a suo tempo, e li chiama egualmente pomidoro e melanzane ; qual ultimo nome spetta ad altra pianta, come meglio ora vedremo, e come poi anche lo stesso Soderini rettificò altrove.

Le melanzane pertanto o petonciani (Solanum esculentum, Dun. (3)) sono stati conosciuti prima assai dei pomidoro, e sono originari essi pure dell'Asia, dell'Affrica e dell'America, a testimonianza di Linneo. 11 Rumphio (4) infatti, ne parla come cosa comune in Amboina ; ed il Loureiro (5) come volgarissima nella China e nella Gochincina. Il Pisene (6) sotto il nome di Belingela,ue descrive la pianta per nativa del Brasilc. Si pretende che sotto il nome di Chedek o Scedek siano i petonciani ricordati nelle sacre carte (7), e che il vegetabile da

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(1) De plantis L. 4, c. i6, p. 2lt.

(2) Della coltura dej?li orti e giardini ed. di Firenze 1814, p. i67,

(3) Linneo distingue come specie differenti due varietà diverse fondandosi sul carattere di avere, o non avere (espine ; ad ana assegna il nome di solanum melongena all'altra quello di solanum insanum. Ora il Dunal IHist. nat. et medie, des solanum p. 208) le Ila riunite sotto il nome di solanum esculenlum.

(4) Herb. Amboin. T. 5, p. 238

(5) Flora Cochinchin. T. 1, p. 161.

(6) Hist. nalur. et raed. Indiae occidenl. L. 4, c. 43, p. 210.

(7) Proverb. c.18, v.l9. Profel. Michaeae, c. 7.4. V. Sprengel. hl8l. rei. herb. T. 1, p. 10.— Maè tradotto quel Scedek nella volgata per spiri!! di siepe, cosicchèè mollo incerto se si debba intendere per il petonciano spinoso o per altra pianta egualmente spinosa.


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Teofrasto (t) indicato col nome di Strycnon, tradotto con quello di Vescicaria dal Gaza, e che dice mangiarsi crudo e cotto, sia questo solanum esculentum. Taleè l'opinione del Gesalpino (2), e dello Sprengel (3). Olire di ciò il vegetabile che Avicenna (4) indica col nome arabo di Bedangian, secondo il detto Sprengel (5) altro none che il petonciano ; avvertendo altrove (6) che questa piantaè slata sempre dagli Arabi cosi chiamata ; dal che può supporsi essere nata la voce petonciano, o melanzana in Italia.

S. Ildegarda, badessa di Bingen, che mori nel 1180, nella sua opera postuma, pubblicata soltanto nel 1544, sotto il titolo di Pliysica, nella quale tratta di moltissime piante utili, ricorda la megilana, che lo Sprengel dice essere la melanzana (7). Hermolao Barbaro ricorda pure i petonciani ; ed il Soderini (8), sebbene prima confonda i nomi di melanzana e di pomidoro, come sopra ho detto, dopo parla delle melanzane o petonciani distintamente e chiaramente, e come cosa conosciutissima e coltivata a suo tempo per mangiarne i frutti. Da ciò si vede che l'introduzione presso di noi e la coltivazione per uso di cibo di queste due solanacee,è di un’epoca non remotissima. Ma quando ancora gli scrittori antichi greci ne avessero fatto menzione, ciòè stato come di un vegetabile poco noto e non per uso di vitto, abbenchè potessero averne le piante dall'Asia e dall'Affrica. A noi pertanto sono pervenute dopo la scoperta dell'America,

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(1) Hist. plant. L. 7, c. 7.

(2) De plantis. L. 2. c. 13, p. 210.

(3) Hist. Rei herb. T. 1, p. 82.

(4) Canones. L. 2, iracl. 2, c. 4 47, p. 144. (5) Hist. Rei herb. p. 230.

(6) Commenl. in Dioscor. T. 2, p. 604.

(7) Hist. Rei herb T. 1, p. 228.

(8) Della culi, degli orti e giardini, p. (86.


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o per lo meno, da quell'epoca io poi se ne è estesa la coltivazione.

Finalmente per terminare di dire delle solanacee occorre il ricordare i peperoni (Capsicum annuum, L.), i quali sono chiamati anche coi nomi di pepe/rosso, pepe indiano, pepe di Guinea ec, e che non sappiamo bene se gli antichi Romani li conoscessero, e se ci siano stali trasferiti dalle Indie Orientali, o dall'America, essendo assai varie su tal proposilo le opinioni.

Per ciò che concerne l'escere stati conosciuti dagli antichi, se si dovesse prestar fede al Cesalpino (1), Dioscoride solo fra i greci ne avrebbe tenuto discorso sotto il nome di circea (xipxotia) (2), nel che molti scrittori non concordano, attribuendo la circea a piante differenti ; e lo Sprengel (3) soprattutto meglio degli altri suoi antecessori, riportandola al Cynanchum nigrum ^.Br. Cosicchè, esclusone Dioscoride, non vi sarebbero altri autori Greci che ne avessero parlato, e presso questi antichi popoli il peperone non sarebbe stalo conosciuto. Solamente rimarrebbe incerto se la pianta che Plinio (4) ricorda coi nomi di Piperitis e di Siliquastrum, fosse il peperone, come lo pensa il Rumphio (5) ed il Fuchsio (6), il quale ultimo descrive alcune varietàdi questi vegetabili, sotto il nome Pliniano Siliquastrum. Lo Sprengel (7) poi asseveranlemente dice che il piperitis o siliquastrum di Plinio,è il peperonc. Oltre di che siè pur creduto che fosse anche rammentato da Avi-

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(1) De plantis L. o, e 22, p. 2lS.

(2) Diosc. mal. med. L. 3, c. t34.

(3) Hist. Rei heb. T. i, p. 163. Commenl. in Dioscor. T. pag. 847.

(4) Hist. nat. L. 19, c. 62, e L. 20, c. 17.

(8) Herbar. Amboin. T. S, p. 247.

(6) Hist. Slirpiuin cc. p. 732.

(7) Hist. Rei herb. T. 1, p. 201.


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cenna, col nome di pepe o zenzero canino, lo che nonè ammesso dal Ruraphio (1) e vuoisi pure che l'Attuario io indicasse con quello di capsicum (xot^/ucòv), nome per la prima volta messo in campo da questo autore, e del quale poi Linneo se neè servito, per stabilire il genere capsicum, cui tulli i peperoni appartengono. La questione sull'essere stato conosciuto da Plinio e dagli altri Arabi, potrebbe essere dilucidata, se si conoscesse la vera provenienza, ma le opinioni contrarie su tal proposilo non lasciano schiarir bene queste dubitazioni.

Noi sappiamo per certo che nel XVI secolo, i peperoni erano fra noi conosciuti, con non poche loro varietà(2). Infatti il Mattioli (3) chiamandoli pepe indiano e siliquastro, dice che a suo tempo erano fatti comuni da per tutto, indicandone Ire varietà. Il Soderini (4) parimente ne parla come cosa volgarc. Con tutto questo era in dubbio da dove fossero importati in Europa, giacchè il Cesalpino (5) disse esser venuti dall'America meridionale, ed il Clusio (6) raccontando averne veduti coltivati in molli paesi in grande abbondanza, rilevò doversi chiamare piuttosto pepe americano per la sua provenienza anzichè indiano.

Il Wildenow, il Roemer e Schultes, ed altri botanici gli danno per patria l'America ; ed il Pereira (7) partecipa del dubbio emesso dal lioxbourg (8) e dal

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(1) Herb. Amboin. T. S, p. 248.

(2) Per queste varietà vedasi, BarlDl. Arabrosinius capstcorum varietates cum iconibus, brevis historia. Bonon. 1630, 8vo con una tavola rappresentante 30 varietà di frutti. — Hortus Ey-^teltensis Icon. plant. Aulumn. Ordo 1. fol. 7, e se^g.

(3) Discors. in Dioscor. T. 1, pag. 608.

(4} Cultura degli orti e giardini, p. 201.

(5) De plantis L. 3, c. 22, p. 2lS.

(6) In Monard. siraplic. medicamenl. Historia p, 341.

(7) The elements of mal-irned. and (herap. T. 2, p. i257.

(8) Fior, indica, T. 1, p. 373.


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Forbes Royle (1), che cioè non si trovi spontaneo in Asia. Al contrario il Lobel (2) assevera essere stalo portato in Europa al suo tempo, vale a dire prima della metàdel secolo XVI, da Goa e da Calcutta, cioè dalle Indie orientali, per supplire al pepe ; e lo Sweet (3) assegna l'epoca della sua importazione dalle Indie in Inghillerra, nell'anno 1548. 11 Lamark (4) fa il peperone nostro comune, nativo delle Indie orientali, da dove egli dice che fu trasportato in America e di qui in Europa ; e questo stesso passaggio lo aveva giàavvertito il Rumphio (5), il quale trovò alle Indie orientali, il peperone, come ve lo trovò pur anche il Rheede (6) ed il Loureiro (7) alla Gochincina. Dal che parmi che non sia inverosimile l'opinione della maggior parte, che cioè nativo egualmente delle due Indie, come ce lo dàil Lindley (8), da quelle orientali passasse nell'Arabia, e forse di li anche in Italia a tempo dei Latini, ma senza che se ne estendesse la coltivazione ; e che poi per opera dei Portoghesi e degli Spagnoli, fosse anche dall'America trasferito in Europa, e che in Toscana venisse coltivato, poco dopo il cominciare del secolo XVI, come sopra ho rilevato ; giacchè non ho trovato autori anteriori a quest'epoca che ne facciano menzione presso di noi. La specie di frutto molto grosso, rosso o giallastro, detta dolce, che dai botanici si chiama capsicum grossum,è delle Indie orientali, edè di più moderna introduzione, poichè nell'Inghilterra vi fu portato nel 1759, con tre varietàdiverse, secondo che ce ne fa avvvertiti lo

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(1) Illustrat. of the plant, of Hmalaia. pag. 279.

(2) Nov. Stirp. adversar., p 134.

(3) Hort. brilann. edizione terza, p. SOI.

(4) Enciclop. Bot. T. 3, p. 324.

(5) Herb. Amboin. T. n, p. 247.

(6) Hnrt. Mahibar. T. 2, (ab. 33.

(7) Fior. Cncliinciti. T. 1, p. itiT.

(8) Medicai flora, p. 309.


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Sweet (1). In Toscanaè raro, e viè coltivato più come una bizzarria per la grossezza e per il colore dei frutti: al contrario di Napoli, oveè conaunissimo ed abbondantissimo, servendo cosi crudo, di frequente cibo nell'estate alla bassa gentc. La di lui introduzione in questa parte inferiore d'Italia, parrebbe che potesse essere avvenuta sotto il dominio spagnolo, essendo cheè pianta di una comune coltura in Spagna.

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(1) Hortus briliinn. edizione terza, p. 301.