Piante crucifere (Targioni-Tozzetti, Cenni)

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Piante Umbellate
Targioni-Tozzetti, Antonio, Cenni storici, 1853
Piante cucurbitacee

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§. VII. Delle piante crucifere.


Fra le piante ortensi, non si possono trascurare i cavoli, appartenenti alla famiglia delle cruciferc. Il cavolo comune, detto Brassica oleracea da Linneo, crambe dai Greci antichi, nasce spontaneo nelle rupi marittime della Grecia, della Francia, dell'Inghilterra (1). Il Pallas (2) lo trovò salvatico in Russia, sulla riva sabbiosa del fiume Soura nel distretto di Pensa. In Italia è comune in molli luoghi (3), ed in Toscana abbiamo dal Mattioli (4), che il cavolo^ salvatico nasce copiosamente nelle Maremme di Siena, intorno al Monte Argentario, ed in altri luoghi, si del mar Tirreno, come Adriatico, e nella costa di Terracina andandosi verso Napoli. Oltre a questo sappiamo che trovasi spontaneo alla Corchia nelle Alpi Apuane (5). Da ciò ne viene che nonè maraviglia, se cominciato a coltivarsi fin da tempo immemorabile, se ne sia migliorata la razza, e se ne siano ottenute a poco a poco le tante varietàche oggigiorno ne abbiamo : species a vetustissimi temporibus eulta, et ideo polymorpha, dice il Decandolle (6), il quale in una sua memoria concernente tal soggetto, ne annovera le tante varietàe sotlovarietàche adesso si conoscono (7).

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(1) V. Decandolle !Mem. sur les difforent. especes et varietés de choux, et de raiforts cullivés en Europc. Paris 1822 8." pag. 7.

(2) Voyag. dans plusieurs provinc, de l'Empire de Russie, T. 1, pag. 140.

(3) Berloioni. Fior. Ila). T. 7, pag. 146.

(4) Discorsi in Discor. T. 1, pag. 498.

(5) V. Sinai Fior. Alpium Versiliensium eic. pag. 146.

(6) Syst. regni vegelab. eic. T. 2, pag. 583.

(7) Memoir. sur les differ. espec. et variet. de choux eic. citala di sopra ; e Syst. regn. veget. eie.


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Gli antichi Greci ne avevano e ne coltivavano diverse, fra le quali il cavoi nero cresputo, e quello a palla, ricordati da Teofrasto, da Nicandro, da Ateneo ec. ma tuttavia non tenuti in quella stima, che queste ed altre varietàgodevano presso i Romani, a testimonianza di Plinio, il quale dice olus caulesque quibus nunc principatus hortorum, apud Graecos in honore fuisse non reperio (1). Seguita poi a ricordare quelli a suo tempo coltivati, molti dei quali sono gli stessi dei nostri ; come a modo d'esempio la brassica, laculurrisè il cavolo cappuccio bianco per i più, ma non per il Fèc. Di questo cavoI cappuccio ne parla ancora Avicenna col nome di Canabit (2). Annovera pur anche lo stesso Plinio la brassica cumana o cavoi cappuccio rosso ; la brassica sabellica o cavolverzotto per alcuni ed il frangialo per il Fée ; la brassica pompeiana o cavoI fiore primaticcio ; la brassica cypria o cavol fiore tardivo ; la brassica apiana, che Ateneo chiama selinusia, o cavol verzotto crespo, ed altri (3). Cosicchè nel Lazio conoscevansi tutte le principali varietàche si coltivano anche attualmente, e perciò la loro introduzione fra noi di tutte queste medesime varietÀ, risale ad un epoca che si perde nella lontananza dei tempi.

Il cavol rapa soltanto o torzuto, detto anche ravacoio (brassica oleracea gongylodes, o brassica oleracea caulorapa di Decandolle) tanto bianco che pavonazzo, il fusto del quale ingrossando si mangia, perchè tenero e carnoso, pare non fosse conosciuto tanto anticamente,

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(1) Hist. nat. L. 19. c. 8.

(2) V Arabicor. nomin. inlcrpret. T. 2, pag. 8, in Avicenna Canones eie.

(3) Per la sinonimia dei cavoli presso gli antichi scrittori, paragonata a quella dei nostri più moderni, vedasi Dodoneo Hist. slirpium. pag. 620 — /(). Bauhin. Hist. plant. T. 3, pag. 821. E fra i più recenti il Fée, noie a Plinio, L. 9, c. 8, al Tom. 12, pag. 361 della traduz. francese di Pankouke.


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giacchè il Soderini (1) ed il Mattioli (2) dicono non averne trovato fatta menzione in Plinio, nè in altri scrittori antichi ; per quanto il Fée voglia che fosse la brassica lacuturris detta di sopra, dal che parrebbe piuttosto che fosse stato questo cavolo introdotto sul principiare del secolo XVI. Ma si osservi che Benedetto Rinio nel suo Liber de simpUcibus, MSS. del 1415, esistente nella Biblioteca di S. Marco a Venezia, dàun'ottima figura di questo cavolo alla tav. 62 ; cosicchè doveva giàa quel tempo essere noto nell'agricoltura veneta, per lo meno. Oltre a che si avverte che il Soderini dice dei cavoli fiori nonè memoria appo gli antichi, mentreè certo che la brassica pompeiana e la cijpria di Plinio sono il nostro vero e legittimo cavoi fiorc. Similmente il Mattioli dice anche che il cavolo intagliato molto nelle foglie, fatto familiare a tempo suo negli orti, nonè descritto da alcuno ; ed invece questo cavoloè la brassica apiana, o la selinoides dello stesso Plinio. Perciò non possiamo stare all'asserzione negativa dei due detti autori. Il P. Agostino Del Riccio (3) finalmente trattando dei cavoli, avverte che i cavoli rossi vennero come nuovi a Firenze dopo la metàdel XVI secolo.

Delle rape ignoriamo il vero paese originario, per quanto la maggior parte dei botanici le dicano piante spontanee dell'Europa, perchè trovansi in molti campi ; ma può dubitarsi col Decandolle che vi siano rinate e naturalizzate per antica antecedente coltivazionc. Taluno pensa che siano provenienti, come vuole il Fée (4) dalla brassica Napus, ma è più verosimile che siano varietà prodotte colla coltivazione dalla vera brassica rapa

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(1) Collivaz. degli orti e giardini, pag. 87.

(2) Discorsi in Dioscor. T. 1, pag. 407.

(3) Agric. Sperimenl. MSS., T. 2, car. 369.

(4) Nola 199. al lib. 18 di Plinio T. 1), pag. 404, Iraduz. francese ediz. di Pankouke.


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salvatica, noo spontanea deir Italia, ma che Ateneo (1) sulla fede di Possidonio dice trovarsi eziandio fuori degli orti della Dalmazia ; luogo nel quale non la indica spontanea il Prof. Visiani nel suo Specimen stirpium Dalmalicarum stampato in Pavia l'anno 1826.

Gli antichi Romani facevano molto caso delle rape per la nutrizione degli animali e degli uomini, come si rileva da Plinio (2) che ne descrive tre varietÀ, e da Columella (3) ancora ; e giàfurono ricordate da Teofrasto e da Nicandro (4), dal che ne consegue che le medesime erano di un uso antico. Laonde nonè possibile il rintracciare l'epoca della loro introduzione, o quella delle loro varietànella nostra agricoltura, nella quale se ne incontra una numerosa serie, come lo dimostrò l'esposizione d'orticoltura e giardinaggio fatta in Firenze nel Settembre 1852.

Lo stesso può dirsi del navone, o colzat, o ravizzone (brassica Napus)^ dai Greci conosciuto col nome di bunias, e da Columella (5), e da Marziale (6) con quello di rapa. Sono i navoni o ravizzoni, come sopra ho detto, originar] di varie provincie d’Italia (7), e coltivati per ottenerne l'olio dai semi, ma spesso confusi colla brassica rapa oleifera, varietà delle rape comuni. Anche la radice o ramolaccio o ravanello, nomi che servono a distinguere le diverse varietàin grossezze e figura, proviene dal Raphanus sativus originario della China, del Giappone, e dell'Asia occidentale, ma conosciuto dai Greci e dai Romani, col nome di raphanus.

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(1) Deipnosoph. L. 9, c. 2. pag. 360.

(2) Hist. nat. L. 18, c. 12.

(3) De re rasi. L. il, c. iO.

(4) Georg. In lhen. Deipnosoph. L. 4, c. 3, e L. 9, c. 2.

(5) De re rust. L.2, i.iO.De callur. hortor. il. 3.

(6) L.13, eplgr.20.

(7) BerlolonI, FI. Hai. T. 7, p.l5i.


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Le sue varietà consistono nell'avere le radiche grosse o piccole, rotonde o bislunghe, bianche o rosee, o rosse, o violette, o nere di buccia. Fra queste, le rosse esteriormente, sono ricordate dal Redi (1), il quale le dice d'Affrica, e di averle ricevute nel 1686 dal Cestoni, ed in altra lettera, ne offre al Valletta di Napoli i semi. Per lo che parrebbe che fossero slate introdotte verso quella epoca. Questi rafani erano giàusati dai Greci e dai Romani, i quali gli dividevano, come si rileva da Plinio (2), in Algidense lungo e diafano, ed in Siriaco o rotondo, ossia in ciò che noi ora diciamo radici e ramolacci ; per lo che neè remotissima la loro importazione dalla China, ed impossibile ritrovarsene l'epoca.

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(1) Lettere, ediz. di Firenze T.i, p.324 e T.S, p. 143.

(2) Hist. nat. L. l9, c. 5.