Alberi da ornamento (Targioni-Tozzetti, Cenni)

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Agrumi
Targioni-Tozzetti, Antonio, Cenni storici, 1853
Piante da fiori d'ornamento

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XIV. Degli alberi da ornamento.

Varj alberi destinati quasi esclusivamente all’ornamento dei parchi e giardini, e non originari d'Italia, ci sono stati importati dall'estero a varie epoche più o meno remote, ed ora vi si sono cosi ben naturalizzati da crederli spontanei del nostro suolo. Fra questi viè da ricordare in primo luogo il platano [platanus orientalis) della famiglia delle amentacee o plantanee, giacchè come disse il Mattioli (1) l'Italia per sè stessa non produce i platani (2). Sono infatti questi alberi nativi del Levante e di molti luoghi dell'Asia, e fin da antico tempo vennero ricercati dai Romani, come lo racconta Plinio, per la loro grata ombra (3), ed a questo fine condotti dall'Asia per il mare ionio all'isola Diomedea o di Diomede per circondare il sepolcro che vi era del ridetto Diomede ; isola ora detta Pelagosa e celebre per esservi stata relegata Giulia figlia minore di Augusto, ed una delle moderne isole dei Tremiti nel Golfo Adriatico, presso la costa di Napoli. Successivamente furono

vari mostri ec. pag. 207, tav. Il, riporta un abizzarrla di limone e cedralo analoga al limone calloso detlo di sopra.

(1) Discorsi in Dioscor.T. 1, pag. 148.

(2) Il platano orienlale ha le foglie ampie, intagliate a lobi profondamente dentati, e quasi palmati,è albero grandissimo che si estende mollo in largo coi suoi rami, e perciò dello platano, dal greco plalos, largo, ampio. Plalanus a lalUudine foliorum die la, vel quod ipsa arbor palula sii et ampia. Meursi, Arborei Sacruin, Lugdbal. 1642, pag. 64.

(3) Hist. nat. L. 12, c. 1. Il pregio in cui era tenuta l'ombra dei platani presso i Romani, si rileva da Cicerone, che sotto di essa riuni a dispulare sugli offici dell'oratore, Crasso, Colla, Antonio e Sulpizio: da Virgilio (Georg. L. 4, v.246), da Orazio, (Carm.L. 2, ord. 11 e 13), da Ovidio [De rem. amoris, L. i. v. 141), da Marziale (L.9, epigr.Gi). Anche Platone fece disputare Seneca sotto l'ombra di questo albero.

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trasferiti i plataDi io Sicilia, da dove Dionisio primo tiranno di detta isola gli portò a Reggio di Calabria, per adornarvi un suo giardino, e di qui si estesero nel resto dell'Italia. A Roma e nei contorni, vi furono introdotti, secondo la testimonianza dello stesso Plinio, da un liberto di Marcello Esermino, a tempo dell'Imperatore Claudio. Del pregio grande in cui allora tenevasi l'albero del platano, seguita Plinio a renderne conto, coll'annoverarne i più maestosi per grossezza, o per esser divenuti celebri in conseguenza di certe memorie istoriche annessevi (1). Nè minore era l'ammirazione per questi alberi, anche appresso diversi popoli orientali, in epoche pili remote, poichè in varj luoghi della Scrittura (2) spesso si cita col nome di Armon e Ngharmon, che in ebraicoè il platano, come esempio di cosa grande e magnifica ; ed Erodoto (3) ed Eliano (4) raccontano, come Serse si innamorasse di un platano grandissimo da lui trovato nella Lidia. Vuoisi pure che delle tre verghe di Giacobbe una fosse di Armoni che alcuni male tradussero per castagno, ma che la volgata disse di platano (5), come lo crede che fossero anche l'Heidegger (6).

Da tuttociòè facile il rilevare come fosse molto conosciuto dall'antichitàla più remota il platano orientale, e come pure ne sia assai lontana l'epoca della sua intro-

(1) V. Mattioli Discor. in Diosc. T. 1, pag. 149. Dizlon. d'ist. nat. trad. di Firenze ediz. del Baleiii, T. 18, pag. 28. Orazio Valeriani (Ann. d'Agric. del Regno d'Italia di Filippo Re,T.l9, p. 155), cita nel 1813 un platano esistenle in Ascoli, che secondo delle memorie autentiche aveva allora 5 secoli. Altri platani sterminati e vecchissimi si citano dal Castagna veduti da lui stesso in Oriente, (Bibl. univers. de Genev. 1836, T. 6, pag. 193).

(2) Genes. c. 30, v. 37. Ecclesiastici Liber. c. 24, v. 19. lizc chiel. c. 31, V. 8, ec.

(3) Histor. L. 7, Polyrania c. 30.

(4) Var. histor.L.9, c. 39.

(5) Genes. cap. 30, v. 37.

(6) Exercil. de Jacob peregrin. Mesopol. T. 4, pag. 19.

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duzione in Italia, dove fu sparso da per tutto ; e certamente fa maraviglia come sia stato tanto a diffondersi nel resto di Europa. In Francia di fatti non vi fu conosciuto avanti che il Buffon ne piantasse per il primo nel giardino del Re un individuo ; dopo di che non molto, cioè nel 1754, Luigi XV ne fece venire altre piante dall'Inghilterra. Nella quale isola, soltanto nel 1548 vi fu importato da Niccolò Bacone, padre del famoso cancelliere, e coltivato nel suo giardino a Verulamio. Finalmente nel 1756, il Glusio ne ebbe una pianta da Costantinopoli, che piantò per la prima nel giardino di Vienna (1).

Un'altra specie congenere più grande della precedente ed ora comunissima in Italia ed in altre località dell'Europa, si è il platano occidentale (platanus occidentalis) di foglie più grandi, i lobi delle quali sono meno profondamente incisi. E questo albero essendo nativo della Carolina, della Pensilvania e della Virginia in America, non potè per tal motivo esser conosciuto dagli antichi. Esso è stato introdotto in Europa e prima in Inghilterra circa il 1640, da Gio. Tradescant (2), e di più nel tratto di tempo successivo anche fra noi, dove oggi giornoè preferito per adornarne le strade ed i viali, all'altro più antico.

Non meno famoso del platano è per gli antichi Latini un albero, detto volgarmente Diospiro, Guaiacana, e Falso loto [Diospyros lotus) (3), della famiglia

(1) Rarior. piantar, hisloria, L. 1, c. 6. pag. 9. Nel nuovo Dohamel ediz. 2.» T. 2, pag..3. Si dice che in Francia ci fu inlrodollo questo pialano dai Romani a’lempi di Plinio, io che sarebbe in codtradizione con quanto i Francesi stessi dicono di Budon e di Luigi XV, e qui sopra citali.

(2) Aiton, Hort. Kcwens. ed. 2.° T. 5, pag. 303.

(3) Il vero loto arboreo degli antichi è il zizyphus loius, (V. Spreng Anliq. botan c. 4, §. 72, pag. 62), ma spesso confuso col Diospiro, il quale perciò fu detto falso loto. Siè creduto che col legno di que-

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delle Guaiacane, il quale benchè esotico,è da remotissimo tempo coltivato in Italia. Il Mattioli (1), il Lamark (2), lo Sprengel (3), ed altri, lo fanno nativo dell'Affrica settentrionale ; ed il Decandolle (4) lo dice spontaneo della China boreale e del Caucaso. Altri lo danno per originario dell'Italia, altri lo dicono anche nativo della Francia meridionalc. Ma a questo proposito bisogna osservare che il Desfontaines ed il Poiret non lo incontrarono nei loro viaggi per la Barberia. In Francia il Decandolle (5) lo credette spontaneo, ma poi si disdisse, e lo riguardò come introdotto da antico tempo ; la qual cosa fu confermata dal Loiseleur-deLongschamp nella sua Flora gallica (6), col dirci di questa pianta ex Oriente olim aliata, nunc quasi in Provincia et Occitania crescit. In quanto poi all'Italia, sebbene l'Allioni (7) lo abbia trovato salvatico nelle selve dei monti Turinesi, il Pollini (8) in quelle del Veronese e del Vicentino, il Mauri (9) in alcuni boschi dei contorni di Roma, contuttociò l'opinione dello stesso Mauri e del Savi (10) è più razionale, volendo essi che il Diospiro o guaiacana sia stato introdotto antichissimamente in Italia dall'Oriente, ed in particolar modo dalle coste del Mar Nero. Infattiè indigeno di quei contorni, come

sto albero fosse falla la croce per il martirio di S. Andrea, dal che fu dello legno santo, da non confondersi col vero legno santo o gualaco (Guaiacum officinale), V. Mallioli, Disc, in Diosc. T. 1, p. 277. Cupani, Epitome, pag. 156.

(1) Disc, in Diosc. Loc. eli.

(2) Encyclop.botan. T. S, pag. 428.

(3) System, vegelab. T. 2, pag. 203.

(4) Prodrom. Syst. natur. T, 8, pag. 228.

(5) Flore fran^aise, T. 3, pag. 673.

(6) Edil. 2.» T. 1, pag. 274.

(7) Fior. Pedemonl. T. 1, pag. 133.

(8) Flora Veronens. T. 3, pag. 232.

(9) Flora Romana, p. 338.

(10) Trattai, degli Alb. ed. 2.* T.2, pag. 73.

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lo afferma il Belonio (1), il quale cita questo albero col nome di Trapesuntina arbor cerasifera ; e col nome poi di dalleri di Trapesonda, Augerio de Busbeck ambasciatore dell’Imperator Ferdinaodo primo presso la Porta, ne mandò una pianta al Mallioli (2). Quest'albero fu confuso da Teofrasto col loto degli antichi lotofagi, che è lo ziziyhus lotus, lo che egualmente fu fatto da Plinio (3), il quale per di più io sbaglia anche con altro albero, il giracolo, Celtis australis, che pure era uno dei loti arborei degli antichi. Gli alberi grandissimiè longevi, che col nome di loti, Plinio (4) or ricordato racconta esserne a Roma uno sulla piazza del tempio di Lucina, ed un altro coetaneo, presso il tempio di Vulcano, come pure alcuni intorno alla casa di Lucio Crasso, celebri tutti per l'estensione dei loro rami, e per la molta ombra che facevano, si può ritenere che fossero non dell'altro loto o Cellis auslralis, come lo vorrebbero il Mattioli (5), lo Sprengel (6) ed il Fée (7), ma piuttosto di questo diospyros lotus, il quale per la sua bellezza, il suo portamento e per l'estensione dei suoi rami, meritava di esser apprezzato e coltivato più che il Cellis, come l'osserva anche il Savi (8). Da tuttociò si

(1) Observal. L. 1, c. 44, in Clus, exot. pag. 44

(2) Disc, in Dioscor. T. 1, pag. 278.

(3) Hist. nat. L. 13, c. 17.

(4) Hist. nat. L. 16, c. 44, e L. 17, c. 1

(5) Disc, in Diosc. T. 1, pag. 276.

(6) Anliquil. botan. pag. 49.

(7) Nola 130 al Lib. 17 di Piin.trad. in Francese, ediz. di Panlioulie, T.9, pag. 136.

(8) Tran, degli Alberi, ed. 2 » T. 2, pag. 73, e Giornale Agrario Toscano, T. 4, pag. 263. Veroè che il ccUis auslralisè albero che cresce lui pure moltissinao, poichè il Castagna ( Bibl. univ. de Genev. 1836, T. S, pag. 195), parla di alcuni alberi di cellis esistenti vicino a Costantinopoli, che hanno un tronco della circonferenza dai 12 ai 18 piedi ; ed uno parimente grossissimoè a Galata nell'orto del Domenicani, ma le foglie del giracolo sono di un verde meno gaio di quelle del diospiro.

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vede come il diospiro fosse noto e portalo in Italia fin da remoto tempo, e come essendovi bene allignato, sia ora quasi che divenuto indigeno di molti luoghi della Penisola. La qual cosa dipende dal rinascere facilmente dai semi caduti dai suoi frutti, che sono polposi, dolciastri e mangiabili, ma da non farne desiderare la coltivazione per questo scopo, mentre più si apprezza come albero di ornamento.

Un'altra guaiacana della Virginia (diospyros virginiana) di frutti più grossi, era già coltivata in Inghilterra secondo l'Aiton (1) nel 1629, e fu introdotta in Toscana verso il 1793 (2), e poichè è pianta americana, cosi non potè essere conosciuta dagli antichi.

Uno degli alberi, più celebri, fin dalla remota antichitÀ, è il cedro del Libano (Pinus cedrus L. o Abies cedrus Poir.), appartenente alla famiglia delle coniferc. Fu detto del Libano perchè in addietro credevasi che fosse originario soltanto di questa localitÀ, ma in tempi a noi più vicini, ne sono stati veduti spontanei sulla catena del monte Tauro ed in quella dei monti Urali nell'Asia (3) ed anche al Monte Atlante in Affrica. Le antiche popolazioni orientali tennero in grande stima il cedro del Libano, non solamente per il suo maestoso e gigantesco portamento, e per la sua longevitÀ, ma ben ancora per la soliditàed incorruttibilitàdel suo legno. Laonde nella Bibbia trovasi spesso ricordato sotto il nome di Erez ed anche di Sethim, Siltim ec. tradotto per cedro (4), es-

(1) Hort. Eewens. edil. 2*^ T. S, pag. 478.

(2) Savi, nel Giornale Agrario Toscano, T. 4, pag. 267. Non trovasi di fallo nel Catalogo del giardino botanico del I. e R. Museo del 1782.

(3) V. Beion. Obsermt. L. 1, c. 44, In Clus. exol. pag. 43. Pallas Voyag. T. 2 e T. 3 in più luoghi.

(4) Exod. cap. 26, 37 e 38. Levi», c. 14, v. 4. Ezechiel c. 17, V. 3, c. 27 e 31. Canile, c. 3, v. 9, c. 4, v. 14, c. S, v. 13. Ecclesiastici, c. 24, v. 17. Psalm. 91, V. 13 e Psaira. 103, v. 16. Isaia,

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sendo stato ben anche preferito da Salomone nella costruzione del tenopio e del palazzo reale colle tante colonne di cedro, notato nella Scrittura col nome di domus saltus Libani (1). Questi alberi erano ai tenapi biblici abbondantissimi sul monte Libano, e vi formavano una foresta, dalla quale Hiram re di Tiro, concesse a Salomone tutto il legno che gli abbisognò per i due or citati grandiosi edifici che fece costruirc. A poco a poco, sono andati a diminuire e ridursi quasi a nulla (2). Per quanto

c. 2, V. 13, c. 9, V. 10, Amos. c. 2. v. 9. Regum. L. 3, c. 6, v. 10, IS, 18. L'Ursini arborel.bibl. pag.Ti, fa osservare che col nome di erez e di cedro sono siale comprese molle piante conifere o resinose diverse, e di più noia alla pag. 123, che Erez presso gli ebrei erano i cedri maggior! fra i quali principalmenlè quello del Libano, e thirza i cedri minori riferibili alle varie specie di ginepro. Il Siltim, per aicaniè il legno del cedro del Libano scello, ma i 70 lo tradussero per legno impuirescibile in genere ; allri lo credono il laricc. V. Ursini, I. c. pag. 317.

(1) Regum. L. 3, c. 6, v.7.

(2) Il Belonio (De arbor. conifer., pag. 4), dice averne Irovatl fra il 1546 e il i549 sul monle Libano solamente circa a 28. Il Rauyfo\( (Descripl. iiiner. P. 2. c. 12, pag. 280), ne rinvenne 26. Il Thevenot nel 16.d8. (Relat. d'un voyag. en Levanl. pag. 443), non più di 23. La Roque (Vcyag. de Syrie el da moni. Liban. lom. 1), nel 1688, soltanto 20. Il Maundrel (Journey from. Aleppo lo Jerusal.) nel 1696, in numero di 16. Il Labillardiere (Icones plant. Siriac. decas.) dice avervene veduti 7 dei più grossi. Il Burkard nel 1800, ve ne coniò da 11 a 12, e quasi allretlanli ve ne riscontrò l'egregio giovine conte Tancredi Mosti di Ferrara nel 1830, che ebbe la gentilezza di comunicarmi le sue osservazioni, dicendomi che questi cedri da lui veduti erano immensi, non per altezza, ma per la grossezza del pedale e per l'espansione de’rami ; che la loro bassa vegetazione era bella e vigorosa ; che presso a poco erano di un'eguale grossezza nei loro slerminiiti tronchi. Uno di questi più grossi aveva all'altezza da terra di un uomo, la circonferenza di 12 metri e 70 centimetri (braccia toscane 2| e 13 soldi), e cosi sottosopra si potevano dire l'uno per l'altro dalle 20 alle 22 braccia toscane di circonferenza. Questi sono alberi vecchissimi, e per tradizione riguardandoli come un avanzo di quelli servili a Salomone ger la costruzione dei due ricordati grandiosi cdinzi, sono tenuti in una certa venerazione, dicendovi sotto di loro la messa nel giorno della Trasfigurazione, I preti Maronili, Greci

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molto apprezzato dalla più lontana antichitàil legname cedro, pur nonostante non fu cercato d’importare nelle contrade occidentali dell’Europa la coltivazione di questi alberi per lungo spazio di secoli. Di fatti Teofrasto e Dioscoride fra i Greci, Virgilio e Plinio fra i Latini, fanno menzione in più luoghi di cedri arborei grandi o piccoli, da alcuno dei quali ne sgorgava una resina odorosa, delta cedria. Ma questi scrittori hanno inteso dire piuttosto di alcune specie di ginepri (1) e non del cedro del Libano, o almeno nella confusione che hanno portata in queste loro indicazioni, non si può conoscere l'albero del Libano, nè i commentatori antichi o moderni dei ridetti autori, hanno dato schiarimenti sodisfacenti su tal proposito. Forse il cedro di cui Teofrasto dice che cresce mirabilmente nella Siria (2)è il vero cedro del Libano ; come anche quello che Plinio ha detto chiamarsi cedrus ed anche cedrelate (3) ; il quale era usato per farne le navi in mancanza di abeto, dai re d’Egitto e della Siria, e formare le travi delle grandi fabbriche, come del tempio di Diana Efesia, non che quelle del tempio d'Apollo iu Utica, che aveva-

ed Armeni. QaesU Immensi alberi calcolati sulla loro grossezza non possono avere meno di 1800 a 2000 anni (V. Duhamel, Nouv. ed. 2, T. 5, pag. 302).

(1) Questi sarebbero V luniperus oxycedrus, l'I.communis, Vl.phoenicia l'I.lycia ed altre conifere ancora, tali che la l'huya arliculata cheè II thyon di Omero. In antico furono molto stimate presso i Romani le tavole cedrine fatte col legno di cedro del Libano, e forse anche di alcuno degli altri cosi detti cedri resinosi, e non già col legno di cedro o cedrato. Queste (avole cedrine erano un oggetto di gran lusso, ed erano pagate a prezza esorbitantc. Vedasi su di ciò Cicerone In Verrem. Plinio, Hist. nat. L. 13. e 15. Brasavola, exam.simpl. medicam. in episl. nuncupaloria. Matani, Memoria sopra i cedri, nel Giornale d'Italia del Grisellini, T. 2, pag. 268. Curii, Hortor. L. 30, pag. 402. GalJesio, Trail.du cilrus, pag. 232 in nota.

(2) Hist. pian. L. S, c. 9.

(3) Hi$l.mt.L.i3, c. S, L. 24, c. 6.

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no 1188 anni quando Plinio scriveva la sua opera (1). Ma nondimeno resta un poco incerto se fossero questi alberi il vero Pinus cedrus, dubitandosi da taluno che fossero piuttosto riferibili al larice, Pinus larix (2), il quale bensi pare che non fosse noto a Teofrasto, giacchè non ne parla nella sua Storia delle piantc. Comunque si sia, fa molta maraviglia che slimandosi tanto il cedro del Libano, molti secoli si siano lasciati passare, come ho giàdetto, prima di tentarne la coltivazione in Grecia ed in Italia, dove avrebbe potuto benissimo allignare, come ai giorni nostri siè sperimentato. 11 primo paese d'Europa, nei quale, ma in epoca a noi assai vicina, s'introdusse quest'albero, fu l'Inghilterra, dove nel giardino di Cheslea ne furono piantali quattro nell'anno 1683 (3). Peraltro il Lambert (4) non dàper certo il tempo in cui accadde questa introduzione, e riporta altre epoche più modernc. Ma comunque si sia, dall'Inghilterra nel 1734 il Jussieu ne trasferi un individuo al giardino delle piante di Parigi, e questo fu il primo introdotto in Francia (5). Dall’Inghilterra parimente, nel 1787 ne fu fatta venire una pianta per il giardino botanico di Pisa, dove ora mae

(1) Hist.nat. L. 16, c. 40. Sesoslri fece fare di cedro il naviglio, che foderalo d'oro al di fuori e di argento al di dentro, offri al Dio de'Tebani ( Diod.sicul.L.i, g. 2). La grandissima Galea di Demetrio era di Cedro (Theophr.Hist.pl L.S, c. 9. PHn. Hist.nat.L.i6, c. 40). II vascello liburnico di Caligola, era pur di cedro (Svelon. in Calig. c. 37).

(2) V.Stapel, Cowiwiene.tn Jfteophr.pag. 198. Plinio al L.16,c.40 ricorda come una maraviglia perla sua grandezza, una trave di larice fatta portare da Tiberio per costruire il ponte dei giuoctii navali a Roma.

(3) Miller, Dici, dujardin. Bruxelles, 1788. T. 4, pag. 311. Ailon, Bori. Kewens. ed. 2, T.5. pag. 321.

(4) Descript, of the genus Pinus ec. London. 1832, 8.° P. 2, pag. 91.

(5) Nouv. Duhamel, ed. 2, T.5, pag. 302.

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stosamente vegeta, e salia quale molli ragguagli ne ha <iali il Savi (1), e dai semi della quale moltissimi altri iodividui sono stati sparsi per la Toscana, e per il resto dell’Italia, da dirlo albero ormai naturalizzato fra noi.

Sono i cipressi divenuti comunissimi in Toscana, ed in molti luoghi se ne vedevano nel tempo passato, più che adesso, degli smisurati nei viali delle ville signorili, dove tuttavia ne sussistono ancora in qualche localitàdei molto vecchi e grandi. Appartengono questi alberi alla famiglia delle conifere, ed una qualitàha i rami distesi, detta dal volgo cipresso femmina, e da mio padre distinta come specie a sè, col nome di cupressus Hortzzontalis. Un'altra qualitÀè con i rami eretti ed addossali gli uni sopra gli altri, da darli una figura conico-piramidale, e questa da mio padre fu distinta col nome cupressus pyramidalis (2) ; il popolo lo dice cipresso maschio. Plinio (3) aveva riconosciuto queste diversitÀ, dicendo dei cipressi duo genera earum meta in fastigium convoluta, quae et foemina appellatur. Mas spargit extra se ramos, colla sola differenza di chiamarle maschia e femmina, inversamente a ciò che ora si costuma dai nostri contadini. Gonlutlociò Linneo ed alcuni altri autori, hanno consideralo l'una e l'altra di queste due qualitÀ, come varietàdella stessa specie, sotto il nome di cupressus sempervirens.

I cipressi sono esotici per noi, cupressus advena disse Plinio, e di falli son riconosciuti da tutti per

(1) Trall.degli Alb.ed.2.* T.2, pag.136. /d.Sul cedro del Libano, nella Conlinovazione degli AHI dei Georgoflli, T. 1, pag. 432. /d. Discorso lenulo sotlo il gran cedro del Libano dei giardino botanico di Pisa. Nuovo Giornale dei lellerati di Pisa 1839, T.39, p. 90.

(2) OUavianoTargioni-Tozzelli, Decad. plani, negli Ann.del Iklus. Fiorenl. T.2, pag. 73.

(3) Hist. nat. L. 16, c. 33. 30

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originari dell’isola di Creta o Candia, e di altre isole dell'Arcipelago, come anche della Siria, dell'Asia minore, e dei luoghi vicini al Mar Nero. Fino da remotissimo tempo furono considerati per il loro durevole e compatto legname, che si impiegò in molti usi atteso la sua incorruttibilità. Virgilio (1) ed Orazio (2), lo citano per questa proprietÀ, e giàsappiamo da Plinio (3) che la statua di Giove, si manteneva incorrotta fino da 531 anni, all'epoca in cui esso scriveva, e che le porte del tempio di Diana in Efeso, parimente di cipresso, durarono 400 anni (4). Anche le porte di legno di cipresso a S. Pietro di Roma, fatte da Papa Adriano IV, si mantennero per quasi 300 anni, fin che sotto Eugenio IV Pontefice, non ebbero bisogno di restauro, secondo che lo assicura Leonbalista Alberti (5) ; il quale parimente racconta, che avendo fatto estrarre il Vascello Trajano dal lago della Riccia, ove era sommerso da 1300 anni, trovò che le di lui assi di pino e di cipresso, si erano conservate egregiamente (6). Per la medesima ragione, dell'incorruttibilitàdel cipresso, Platone voleva che le leggi e gli statuti pubblici fossero scritti sopra tavole di questo stesso legnamc. Non fa perciò meraviglia, se gli antichi Romani furono solleciti a trasferire i cipressi in Italia, come alberi pregevoli, e se Catone (7) e Plinio (8), insegnarono le diligenze per seminarli. Atteso l'essere il legno cosi durevole, sappiamo da Tucidide (9) che gli

(1) Georg. L. 2, v. 443.

(2) Art.poel.v. 332.

(3) Hist.nat.L.lG, c. 40.

(4) Tbeophr. liisl plimt.L.8, 6. S

(5) Trallalo d'archileUura, L.2, c. 6.

(6) Op. cil., L. 5, c. 12.

(7) De re rustica, Gap. 38 e 48.

(8) Histor. nat. L. 17, c. 10.

(9) Historiar. L. 2, g. 34, p. 117, ed. Araslelod. 1731, f.»

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Ateniesi se ne servivano a farne le casse pei cadaveri delle persone di qualclie riguardo, e che la pianta era considerata funebre ; perciò fu introdotto anticamente anche il costume di piantarne presso i sepolcreti, e cosi divenne il simbolo della mortc. Questa usanza, cui appellano Virgilio (1), Orazio (2), Ovidio (3), Lucano (4), ed altri,è dagli antichi arrivata fino a noi, che del pari usiamo piantare i cipressi nei cimiteri, associandoci l'idea della tristezza. Ma da un altro lato, annettendo pur anche alla longevitàe grandezza di questi alberi, il simbolo del maestoso (5), sono stali adoprati per alberi di ornamento, contornandone i viali delle grandiose ville come sopra ho detto, o per ogni altro genere di abbellimento campestre.

Àˆ dunque il cipresso, albero stalo importato dall'oriente in tempo molto antico, ed anteriormente a Catone, che nacque 232 anni prima dell'era volgare.

Il Castagno d'India o ippocastano ( Aesculus hippocastanum, appartenente alla famiglia delle Ippocastanee,è un bell'albero, che da non troppo remoto tempoè stato conosciuto in Europa. I Greci, gli Arabi, e neppure i Latini ebbero notizia di questa pianta, poichè nessuno scrittore di quelle nazioni ne ha tenuto

(1) Aeneid. L. 3, v. 64, L. 6. v. 216

(2) Epodon. Od. 5, v. 18.

(3) Tristium. L. 3, eleg. 13, v. 30.

(4) Pharsal. L. 3, v. 442 ; vedasi su questo proposilo II Langguth Anliquit. Piantar, feralium apud Graecos et Romanos eic. Lipsiae 1738, 4.= Plinio (Hklor. nat. L. 16, c. 33), dice che era sacro a Dite, e narra che se ne attaccava un ramo alle case ove alcuno era morto, come segno funebre.

(3) Anche nella Bibbia (Ecclesiaslici c. 24. v. 17), viè ricordalo il cipresso sotto questo medesimo aspetto, quasi cedrus exallata sum in monle Libano, et quasi cupressus in monte Sion. L’Ursini (Arborei, bibl. pag. 76 e 128),è di parere che il cipresso fosse il ihirza degli Ebrei, piuttosto che i cedri minori, e che il berolh della Cantica l, v. 17, fosse, pure il cipresso come lo traduce la volgala.

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discorso, come lo nota anche il Mattioli (l). Àˆ originario delle Indie boreali, e di altre parti dell'Asia settentrionale, da dove fu introdotto a Gonstantinopoli nel 1540. Guglielmo Qualcebeno, che vi era medico dell'ambasciatore d'Alemagna, ne mandò nel 1557 al Mattioli un ramo colle foglie e fruiti, sul quale questo botanico ne formò la descrizione, che ne ha lasciata nelle sue opere (2), e per tal modo si venne a conoscere in Europa per la prima volta l'esistenza di questo vegetabilc. Maè molto probabile che poco dopo fosse introdotto e coltivato in Firenze, prima che altrove, poichè verso il 1569 Giovanni Baubino(3), dice averne veduta una pianta giàmolto grande, quasi quanto un moro, a Firenze, nel giardino del Granduca (che allora era Cosimo 1), ed averne avuto un frutto. Quasi contemporaneamente lo Zuinger, a testimonianza dello stesso Bauhino e dell’lonston (4), ne vedde fra Padova e Verona, e nel 1576 il Clusio(5) ne piantò uno nel giardino di Vienna. Il padre Francesco Malocchi fiorentino, Minore osservante, che da Ferdinando I nel 1598 fu messo alla direzione del Giardino botanico di Pisa, fece poco dopo venire da Costantinopoli due piante di Castagno d'India e le pose all'ingresso di detto giardino (6), dove io le ho vedute grandissime, prima che nel 1806 una fosse troncata da un turbine, in modo da doverla tagliare affatto ; ma l'altra sussiste semprc. In Francia vi fu introdotto il Castagno d'India dal Bachelier che lo

(1) Disc, in Disc. T. 1, p. 228.

(2) Discor. in Dioscor. loc. cil. ed Epislolae medicinale s, p. 300 e 361.

(3) Hist. plant. T. 1, P. 2, pag. 128.

(4) De Arboribus, pag. 119.

(5) Hiilor. piantar. L. 1, pag. 7.

(6) Vigna animadversion. in Theophrasl. pag. 76. Savi Notizie per servire alla stor. del giar. botan. di Pisa, nel Giorn. de’Letterati di Pisa, T. 14, pag. 21.

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portò da Constantinopoli nel 1615(1). Dai frutti di questi ippocastani, se ne sono in seguito moltiplicate le piante, che servono ora di ornamento in quasi tutti i paesi dell'Europa, dove vivono egregiamente, poco curando anche il clima alquanto rigido, e crescendo ad altezze considerabili.

Da Trebisonda sulle coste del Mar Nero, fu importato a Costantinopoli il lauroceraso, o lauro regio (Prumus laurocerasus L., o cerasus laurocerasus Lois,) albero sempre verde e di bello aspetto, divenuto oggigiorno comune in tutti i giardini d'Italia, ove il climaè un poco temperato. Esso appartiene alla famiglia delle rosacee, tribù araiddalee, e da non confondersi col lauro nobile, volgarmente detto alloro (Lawrws nobilis L.) della famiglia delle Laurinee, e del quale (e non del lauroceraso) gli antichi Romani si servivano per coronare gl'imperatori ed i poeti. Essi Romani, come ben anche i Greci, non conoscevano il lauro regio, per quanto il Dalecampio (2) abbia credulo che il loto secondo di Teofrasto (3) fosse questo lauroceraso, opinione giustamente rifiutata dal Clusio (i). Perciò l'introduzione fra noi di, questa pianta nonè antica.sapendosi invece che a Costantinopoli vi pervenne nel 1640 incirca, e che da questa cittàl'ambasciatore dell'imperatore d'Alemagna David Ugnard, ivi residente, ne mandò a Vienna una pianta al Clusio nell'anno 1576. Dai semi o dalle talee di questa, essendone stati moltiplicati gli individui, fu sparsa la specie in varj altri luoghi d'Europa. Ed in quanto all'Italia sembra che fosse introdotto il lauro regio nel giardino Doria, a Genova, prima che altrove, poichè di qui il Gesalpino fu sollecito

(1) Duhamel. Trait. des Arbr. ed. 2.» T. 2, pag. 55.

(2) Hist. general, piantar. P. I, pag. 349.

(3) Hist. plant. L.i, c. 4.

(4) ffisi.pfan(. pag. 5.

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a importarne la pianta al Giardino di Pisa, nel quale fu professore dal 1555 al 1591 (1), ed avendola moltiplicata lui pure, potè, nel 1585 regalarne due piccole piante al Belonio, secondo che da questo stesso botanico possiamo ricavare tali notizie (2).

Il salcio piangente (Salix babilonica L.) che è volgarmente conosciuto anche con altri nomi (3),è della famiglia delle amentacee salicinee ; nasce spontaneo lungo i fiumi dell'Asia meridionale, nell'Oriente e nella Barberia, edè ben anche uno degli alberi i più anticamente conosciuti da quei popoli. Infatti si vuole che (Ji (ali salci, che erano sulle rive dell'Eufrate, abbia voluto intendere David, sui quali dice che i cantori Ebrei avevano appeso i loro istromenti musicali (4). Tale opinioneè quella dell'Hunter nelle note all'Evelyn (5), e del Savi (6). Ciò non pertanto non si trova ricordato in veruno degli antichi scrittori greci o latini, lalmentechè potrebbe credersi che non avessero avuto premura di coltivarlo presso di loro, forse per non essere i suoi lunghi e sottili rami buoni a verun uso nell'agricoltura o nei bisogni domestici, e ciò attesa la loro gran fragilità. Ma se gli antichi nostri non si curarono di quest'albero, al contrario i moderni lo apprezzarono come un bell'ornamento dei boschetti e dei giardini. Per lo che da vari anni, è divenuto comunissimo in tutta

(3) V. Giov. Targioni-Tozzelli, Notizie sulla storia delle Scienze Fisiche in Toscana 1832, pag. 197.

(4) De neglecla slirpium cultura, probi. XX, pag. 239, in Clusi exolic.

(5) Cioè di salcio di fiabiloaia, salcio Davidico, salcio orientale, salcio pendente o pendolino, salcio che piove.

(6) In salicibus in medio ejus suspeudimus organa nostra. Psalm. 136.

(7) Sylva or a discours of foresi tree etc. new edil. with notes hy Hunler 1786, pag. 242.

(8) Trallalo degli alberi, ed. 2. T. 2. pag. 173.

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Italia ed altrove, abbenchè questa sua introduzione non rimonti a niollo tempo in addietro. In riprova di ciò abbiamo che il Mattioli e molli altri suoi contemporanei non ne fanno menzione alcuna. Si dice introdotto dal Levante nel giardino Reale di Hamplon in Inghilterra, secondo l'Ailon (1) nell'anno 1692, edè da credersi che in Italia, e fra noi iii Ti^scana non si cominciasse a conoscerlo che sul principiare del secolo XVIII. Infatti non era nell'orto botanico Pisano quando il Tilli ne fece nel 1723 il catalogo, che poi stampò, ed invece nel catalogo dell'orto botanico fiorentino fatto dal Micheli nel 1735, e pubblicato poi nel 1748, ci si trova notato questo salcio orientale, colla frase del Tourneforl. Parrebbe dunque che pochi anni prima del tempo nel quale il Micheli fece il detto catalogo, fosse stato piantato in Firenze il salcio piangente, giacchè non ho potuto trovare memorie anteriori alla suddetta epoca, che ce ne indichino una più antica introduzione.

L'Azederac [Melia Azederach) della famiglia delle meliacee,è un bell'albero per ornamento del giardini ; il quale è originario del Geyian, della Persia, dell'Egitto ec, edè stato conosciuto col nome di Azederach da Rasis (2) e da Avicenna (3) come pianta medicinale, ed anche di foglie e di frutti venefici (4).

In Italia ha ricevuto vari nomi secondo i diversi paesi (5) ; ma non apparisce che tal pianta ci fosse nota

(1) Hort. Eewens. eil. 2, T. 5, pag.356.

(2) Opera medica, pag. 78.

(3) Fen. VI, traci. I, c. 25, p. 493.

(4) L'azione venefica dei dell! trulli è rammentala dal Mallioli, dal Dodoneo e da altri ; ma soprattutto fra i raodornl si può vedere quanto ne riferisce in propo.>^ito, anche coir appoggio di altri autori, il Rocques nella sua Phylographie medicale, T. 3, pag. 60.

(5) Cioè di pateriioslri di S. Domenico ; albero della pazienza ; ozarabac ; fico d'Egitto ; sicomoro falso ; meliac ; perlaro, Zaccheo ; lacrime di Glob.

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prima del XVI secolo, nel qual tempo per allro era sparsa in molti luoghi, li Mattioli dice che a suo tempo l'azederac si trovava per lo più nei conventi dei frali, dei cui frutti fanno le corone dei paternostri (1), anche Andrea Bellunense nelle interpretazioni delle voci arabe di Avicenna dice che questo albero detto dei paternostri si trova nei chiostri dei monasteri a Venezia ed a Padova, ed il Bellonio (2) che viaggiò per l'Italia dopo il 1550, dice di averne vedute molte piante a Roma, a Ferrara, a Bergamo, a Verona ed a Venezia. Pier Antonio Michiel patrizio Veneto (3), amatore di piante del secolo XVI, in un suo manoscritto inedito, parlando di quest'albero, emette l'opinione che fosse portato in Italia dal Levante per opera dei frati zoccolanti per farne corone come siè detto ; poichè il nocciolo di sei costole rilevale e quasi forato naturalmente, si presta a questo uso ; e dice di pili che a suo tempo si cominciava a piantare per le campagne del Veneto, all'oggetto di sostenere le vili. La prima volta che in Toscana si trovi fatta menzione dell'Azederac siè nel catalogo dell'orto botanico pisano fatto dal Veglia nel 1635 ; talmentechè si potrebbe credere che ci fosse stato importato poco prima di quel tempo (4). Giovanni Tradescant coltivava questa pianta in

(1) Disc, in Diosc. T. I, pag. 308.

(2) De neglccla slirp. cultura in Gius, exotlc. pag. 229.

(3) Pier Antonio Miciiiel o Michieli, nacque nel tolO, e lasciò ciiiquu VDiumi MSS. aulografl. ora esislenli nella biblioteca di S. Marco a Venezia, col titolo di Erbario o storia delle piante, ed al voi. 3, carte 30, parla dell'Azederac sotto il nome di sicomoro fralisco o albero di lacrimi di S. Agioppo (S.Giob). In questo MSS.descrive in lingua italiana veneta da circ i mille piante, e ne dàdelle rozze figure a colori, ma fra queste piante ne descrive diverse non ricordate da altri, prima di lui. Non bisogna confondere per la somiglianza del nomi questo Pier Anlonh) MicJiiel, con l'altro botanico fiorentino più distinto del secolo decorso Pier Antonio Micheli, che molte volte ho avuto occasione di citare.

(4) Savi, sulla mdia àzederach nai Qiorn. Agrar. Toscano, T. 7, pag. 347.

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Inghilterra nel 1656 (1). Taluni lo hanno confuso col sicomoro, ma giàquesto erroreè stato avvertito dal Mattioli, dal Lobel, dal Dodoneo e da altri. In quanto all'utilitàdella coltivazione di quest'albero, può vedersi quanto ne disse il Savi (2).

Nel 1749 il Cavalier Filippo degli Albizzi Fiorentino, nel ritorno dalla spedizione marittima delle Carovane dei Cavalieri di S. Stefano, portò da Costantinopoli i semi di un bell'albero detto Julibrissin (3) ; che seminò nella sua villa a Montefalcone, ed avendone dati anche ad altri suoi amici, le piante che ne nacquero da questi semi crebbero ben presto, principalmente negli orti delle famiglie fiorentine Mormorai, e Pagnini, nella villa Bracci a Rovczzano, nel giardino Frugoni a Pisa, ed in alcuni luoghi del Volterrano (4). Il Dott. Antonio Durazzini nel 1772 fu il primo che scrisse intorno a questa pianta una memoria, la quale esso lesse all'Accademia dei Georgofili, e nella quale descrisse i di lei caratteri botanici, assegnandole il nome di Albizia Julibrissin, in onore del di lei introduttore presso di noi. Questaè pianta originaria dell'Oriente e delle parti meridionali dell'Asia e della China, ed appartiene alla famiglia delle mimosee.

Per un tempo fu confusa colla acacia arborea di Linneo (5), ma poi fu ben distinta dallo Scopoli (6), che la nominò mimosa Julibrissin ; quindi il Wildenow (7) la

(1) Ailon, Bori. Kew. ed.2, T.3, pag. 39.

(2) Giora. A.grar. Tosc. loc. cit.

(3) Questo nome proviene dalla voce persiana ghul-ibrichim che i\\ dire del Fiscer, sigaiflca fiore di seta. V. Decand. Prodr.sysl.nat. veget. T.2,pag. 469.

(4) V.Magazzino Toscano ec, T. 12, pag. 11, OUav. Targioni Tozzelli, Decades. observ.botanicar.negU Ann. del Museo Fiorentino, T. l.pag. 41.

(5) Spec.piant.T.2, pag. 1303.

(6) Deliciae fior, et faun. lumbric. T.i, pag. 18.

(7) Spec. plant. T. 4, P. 2, pag. 1065.

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chiamò Acacia Julibrissin, nome cheè prevalso fra i botanici, a motivo dei caratteri del genere acacia, cui più decisamente appartienc. Lo Sweet fa introdotta questa pianta in Inghilterra nel 1745 (1), dicendoci di più l'Aiton (2) che ve la portò Riccardo Bateman, e nel nuovo Duhamel (3) si legge, che fu nello stesso anno introdotta in Europa, dove ora questa piantaè divenuta comune, ed apprezzata come un bell'ornamento.

La querce di ghiande dolci ( Quercus ballota) i di cui frutti sono mangiabili, e del sapore quasi della castagna, sono dette anche ghiande di Spagna, perchè coltivate abbondantemente in quel regno. Appartengono alla famiglia delle cupulifere, e sono originarie delle coste della Barberia, da dove probabilmente i Saraceni le portarono in Spagna. In Inghilterra vi furono introdotte nel 1718 secondo lo Sweet (4), ma in Toscana si conobbero fino dal 1667, poichè il Redi (5) in una lettera del 23 Gennajo di detto anno, indiritta a Pietro Nati, gli dice esser questa ghianda venuta da Fessa in Affrica, ed essere chiamata dagli Arabi Scia-balut, cioè ghianda dolce, dal che vellotas o ballotas furono dette dagli Spagnoli, cosicchè Linneo conservò all'albero il nome di ballota aggiunto a quello generico di quercus. Pare per altro che al tempo del Redi, le dette ghiande dolci soltanto fossero conosciute e non le piante, poichè non si trovano registrale nel catalogo del giardino di Pisa fatto dal Tilli, nè in quello di Firenze fatto dal Micheli. Più tardi bensi, ma tuttavia da varj anni addietro, si introdussero nel giardino dei Semplici, dove ne sono delle piante adulte nate dallo ghiande venute di Spagna a mio padre.

(1) Bori. Britan. ed. 3, pag. 200.

(2) Hort. KfW.ed. 2. T. 5, pag. 466.

(3) Trait des.\rbr. ed 2, T. 2, pag. 93

(4) norl.lBrilaned. £3, p. 612.

(5) Opere, ediz. di Venezia, T..5, pag 4s.

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La Colreuteria (Koelreuteria paniculata) delia famiglia delle Sapindacee,è originaria della China e del Nord dell'Asia, edè un albero di mediocre grandezza, e di beirornamento nei giardini. 11 Laxmann professore a Pietroburgo avendo avuto questa pianta, la fece conoscere nel 1771, e la descrisse negli Atti dell'Accademia di quella città. Il Conte Giorgio da Coventry nel 1763, la importò in Inghilterra (1), ed in Francia vi pervenne nel 1789(2) ; ma anteriormente a questa ultima epoca, e nei 1785, viveva giànei Giardino del Conte de Freylin, a Buttigliera presso Marengo, come resulta dal catalogo di detto giardino, pubblicato a Torino in quel medesimo anno ; sicchè in Italia fu la colreuteria coltivata prima che in Francia. A Firenze nel 1801è registrata fra le piante esistenti nel giardino del R. Museo di fisica e storia naturale, nè credo avanti altri l'abbia coltivata in Toscana, o almeno non ho trovato memorie che lo provino. Sicchè per noi si può fissare la sua introduzione presso a poco intorno all'epoca del 1800.

Col nome di siringa e di lilac, si conoscono due arboscelli^della famiglia delle Siringee, coltivati ora in quasi tutti i giardini, ed ambedue originari della Persia, distinguibili principalmente per la forma delle loro foglic. Uno di questi che cresce più dell'altro, ha le foglie intere e fatte a cuore, e fa dei tirsi di fiori bianchi o violacei chiari, e talora di colore più cupo. Questa specieè detta dai botanici Syringa vulgaris. Il Clarici (3) narra che Augerio Busbek ambasciatore presso la sublime Porta per l'Imperatore Ferdinando I, ne portò una pianta a Vienna, citando il Mattioli come fonte di tal notizia. Per altro il prefato Mattioli (4) non dice che il

(1) Aiton, Hort. Km. ed. 2, T.2, pag 331.

(2) Duhamel, Trait. des Arbr. ed. 2, T. 1, pa^. 163.

(3) Storia e coltura delle piante, p. 343. f-i) Discors. in Dioscor. T.2, pag. 1297.

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Busbek portasse a Vienna la pianta, ma Vimmagine mollo ben dipinta, che fu la medesima la quale riprodusse a stampa, ed invece narra di averne avuto dal Cortuso un ramo fresco e fiorito, nello stesso anno nel quale riordinò ed accrebbe la sua opera su Dioscoride, che cosi corretta dopo la di lui morte, accaduta nel 1577, servi al Valgrisi per fare l'edizione in folio che pubblicò nel 1585 ; io chesijjnifica che questa pianta era molto prima del 1577 giàin buona vegetazione nell'orto botanico di Padova, di cui era direttore il Cortuso. Quindi in Europa era stata introdotta la siringa prima del 1597, anno nel quale si vuole che ciò accadesse dai redattori del nuovo Duhamel (1), e perciò si potrebbe delta epoca del 1597 rifeiire alla di lei introduzione in Francia. In Firenze rilevasi dal P. Agostino del Riccio (2) che giàavanti al 1595 si trovava nei giardini di Firenze, nei quali dice che era pianta nuovamente venuta. In Inghilterra, per ciò che si legge nell'Aiton (3), fu importata da Giovanni Gerard nel 1597.

L'altra siringa o lilac d'apparenza più fruticosa, piii piccola e colle foglie lanceolate, ma più spesso anche intagliate e pennatofesse, coi tirsi di fiori più minuti, variabili egualmente che l'altra per i colori, si distingue dai botanici col nome di Syrinya persica. Questa pure è stata conosciuta in Europa da molto tempo, ed anche prima dell'altra, poichè l'Aiton (4) ne assegna l'epoca della di lei introduzione in Inghilterra per opera di Gio. Tradescaut al 1640. Il Mattioli per altro parla della prima e non di questa, e cosi il Bauhino (5). Il Clerici

(1) Duhamel, Trail des Arhr. ed. 2, T. 2, pag. 206.

(2) Agric. teorica MSS. carte 128, Agric. Sperira. MSS.vol.2 irte 703.

(3) Hort.Kew.ed. 2, T. 1, pag. 24.

(4) lIi)rLEew.e(i.2,\oc.cil. (U) Hist. piantar. T.i,P. 2, pag. 204.

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la descrive nelle sue opere, e nel 1780 era coltivata nel Giardino botanico dello Spedale di S. M. Nuova.

La Chetmia o Ketmia (Hybiscus syrimus), della famiglia delle malvacee,è un grazioso frutice per i suoi fiori variabili dal bianco, al rosso, al violaceo, al variegato, e per essere scempi o doppi. Àˆ originario questo fruticetto della Siria, secondo Linneo ; e per di più, al dire dello Scopoli, del Wildenow, e del Decandolle, anche della Carniolia ; ma forse polrebbesi dubitare, da quello che ne riferisce a questo proposito lo Scopoli stesso (1) che fosse reso spontaneo per antecedente coltivazionc. Alla quale opinione potrebbe essere d'appoggio ciò che il Pollini parimente ne dice (2), vale a dire che coltivato per siepi nelle campagne Veronesi e del Friuli, vi rinasce da sè qua e lÀ, ed apparisce spontaneo. E questa opinioneè convalidata dalle osservazioni fatte a questo proposito dal chiarissimo Bertoloni (3). L'Aiton ci infor-r ma che questa pianta era coltivata dal Gerard in Inghilterra nel 1596(4). A Firenze peraltro vi doveva essere coltivata contemporaneamente e forse anche prima, poichè il Padre Agostino del Riccio, che scrisse in quel medesimo anno la sua opera (5), ci racconta che questa pianta da lui chiamata bamia o altea arborea, era giàcoltivata a suo tempo in Firenze nei giardini del Cav. Niccolò Gaddi da S. M. Novella, di Alessandro Acciajuoli dalla Porta al Prato, del Granduca alle stalle, ora giardino dei Semplici nel Maglio, e fuori della cittàa Colorabaja nella villa del Somraaja. Dimodocbè essendo allora la chetmia tanto sparsa, ed essendovene una nel

(1) Flor.CnrnioUca.T.2, pag.45.

(2) Fior. Feroncns. T. 2, pag. 436.

(3) F/or. /(i/T. 7, pag. 288.

(4) ffort. ffm. ed. 2,T. 4, pag. 227.

(5) Agricoli. Spetim. MSS. voi. 1, carte 168, e Agricoli, teorica MSS, cario 2i.

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giardino del Granduca alta più di un uomo, come il medesimo del Riccio assicura averla veduta, ci autorizzerebbe a ritenere che fosse stata tal pianta introdotta nei giardini di Firenze, qualche anno avanti all'epoca citala del lo96, e per conseguenza anche prima che in Inghilterra.

Dacchè fu scoperta l'America, e che fu trovata la strada per le Indie orientali, superando il capo di Buona Speranza, la navigazione per queste parti divenne sempre più attiva, si aumentarono le perlustrazioni dei viaggiatori nelle due Indie, e si vennero a conoscere molte nuove ricchezze anche in fatto di vegetabili. L'America settentrionale ci somministrò molte piante sue proprie, che per la rassomiglianza del clima si son potute trasportare ed allignare nell'Europa più meridionale, di modo che tanti alberi incogniti a noi per lo addietro, sono oggimai accomunati nelle nostre campagnc. Questa importazione per altro non cominciò che nel secolo XVI, crescendo sempre più nei secoli successivi, tantochè ora, non solamente da tutta l'America settentrionale e meridionale, ma da tutte le provincie delle Indie orientali, e dalle varie parti dell'Australia, ci pervengono nuovi vegetabili in tanta copia, da non poter tener dietro alla storia della loro introduzione.

Ed in quanto ad alberi, l'America settentrionale siè quella che più ci ha arricchiti ; e di questi principali ora ne darò un breve cenno.

Sotto Enrico IV re di Francia nel 1600 Giovanni Robin ebbe dal Canada i semi della acacia falsa gaggia, detta dopo in onore di tal botanico Robinia pseudoAcacia, e gli seminò a Parigi. Quasi contemporaneamente altri ne pervennero dalla Virginia nell’Inghilterra, e da questi, seminati nei due ricordati paesi, se ne produssero molle piante, colle quali fu facile il propagare la specie da per tutto il resto dell'Europa. La

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Robinia o Acacia è un albero che appartiene alla famiglia delle| Leguminose, edè originario della Nuova York, della Pensiivania, del Maryland, della Carolina, della Virginia ec. nell'America settentrionalc. Il Clarici (1) è il primo in Italia a parlarne, ed a descriverla nella sua opera pubblicata a Venezia nel 1726, dopo la sua mortc. Maria Teresa nel 1750, procurò introdurne le piante in Germania (2). Posteriormente nel 1796 l'Imperatore Francesco d'Austria ne incoraggiò la cultura in lutti i suoi slati (3). Mio padre nel 1780 avea veduto nell'orto botanico di Padova ed anche a Monselice questa pianta, e ricevutine poi di lài semi nel 1788, gli seminò nell'orto botanico dell'Arcispedale di S. Maria Nuova a Firenze, dove una pianta rilevata nell'albereta vi crebbe a maraviglia, tanto che nel 1795, all'occasione della soppressione del detto giardino, fu trapiantata in quello dei Semplici, dove crebbe semprepiù, abbenchè stroncata dal vento e riannestata con fasciature appositc. Questa pianta pertanto si deve ritenere come il secondo se non il primo individuo di questa specie introdotto in Toscana (4), Posteriormente nel 1796 il Granduca Ferdinando Ili, fece venire direttamente d'America dei semi di questa Robinia, che distribui ai giardini del Poggio a Cajano e di Roboli, ed al Canonico Zucchini, il quale nel 1800 pubblicò una sua lezione sulla cultura e usi dell'Acacia o Robinia, che male a proposito annun-

(1) Islor.e colliv.delle piante ec.p.S63.

(2) Zucchini, Sulla cultura dell'Acacia ec. 1800, pag.8.

(3) Porla, Istruzione perla semlnaz. e Irapianlazione dell'albero acacia ec. Trieste J802, pag. 5.

(4) Oltav.Targioni-Tozzelti, Lezioni d'Agric.T.4, pag.76./d. Islituzioni Botan. l.'‘ediz. pag. 110, e 3.^ edlz.T.3. pag. 99. Pare a vero dire che nel 1782 ne esistesse una pianta nel Giardino Botanico del Museo di Firenze, trovandosi nolald nel catalogo delle piante di detto giardino per quel medesimo anno. Per altro la propagazione di tale albero, si deve ai semi avuti da quello seminato da mio padre.

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zio come albero di nuovissima introduzione, senza ricordarsi di quello giàadulto che aveva nel giardino dei Semplici sotto la sua direzione, e del quale ho qui sopra parlato. Dalle surriferite epoche pertanto, nelle quali si procurò di moltiplicare la Robinia, essaè semprepiù divenuta comune, e si può dire naturalizzata in Italia, con molto utile dei di lei coltivatori.

Il Tulipifero (Liriodendron tulipifera) è della famiglia delle Magnoliacee, edè nativo del Canada, della Virginia, e di altre parli dell'America settentrionale, dal capo della Florida fino alla Nuova Inghilterra. Àˆ albero di bell'aspetto e che cresce molto, citandosene dal Cubieres (1) di venti piedi, e dal Catesby (2) di trenta piedi di circonferenza ; ed oltre a ciò presso il Miller (3) si trovano ricordati molti grandiosi tulipiferi in varie parti dell'Inghilterra.

Noi dobbiamo l'introduzione di questo albero in Europa agli Inglesi, i quali secondo lo Sveet (4) ve lo portarono nel 1663, E difatti si rileva da Paolo Hermann che in detto anno ne era nata una pianta nel giardino di Lord Norfoick vicino a Londra, dove esso Hermann ve la vedde abbastanza grande nel 1683. Di più questo medesimo botanico ci dice che nel 1684 ne ebbe dei semi dalla Virgina, che bensi non nacquero, ma contultociò nel catalogo che egli fece nel 1686 dell'orto botanico di Leida, vi registrò quest'albero allora dell'altezza di un uomo, da supporre che almeno fosse nato da due o tre anni avanti (5). In Francia vi fu introdotto il tulipifero molto più tardi, perchè solamente nel 1732

(1) Mem. sur le Tulipier ec. Versailles 1803 In 8vo.

(2) The naturai liisl. of Carolina ec. T. 1, pag. 48.

(3) Dict.des Jardin.T.7, pag 427.

(4) Bori. Bril. ed. 3. pag. 16 ; ed Ailon. Bori. Kew. ed. 2, T.3, pag. 329.

(5) Hort. Lugdunobalav. pag. 614.

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l'ammiraglio GalissonDiere, che dall'America settentrionale trasferi molli altri alberi, portò dei semi del Liriodendro, i quali furono seminati in un giardino del Re a S. Gerraaine en Layc. Tre sole piante ne nacquero, le quali furono collocate in diversi giardini, ma di queste una sola sopravvisse in quello presso Versailles, spettante al Sig. Cubieres, superiormente citato, dai semi del quale in seguito se ne poterono moltiplicare le piante (1).

In Italia non erano ancora i Tulipiferi al tempo del Clarici, cioè avanti del 1725, anno in cui cessò di vivere questo scrittore ; poichè nella sua opera postuma (2), dopo aver descritto questa pianta, sopra le relazioni di altri, considerando che vive bene in Inghilterra paese più freddo del nostro, mostra desiderio che venga introdotta fra noi come albero di bella forma. Quindiè che in Italia bisogna ritenere essere stato il Tulipifero importato dopo l'epoca della morte del ridetto Clarici, nè miè riuscito trovare in qual parte della nostra Penisola, nè in qual tempo vi fosse primitivamente importato. In Firenze so per certo che la prima volta fu fatto venire al giardino botanico dei Semplici da mio padre nel 1802, e credo che questo sia stato il primo introdotto in Toscana, dai semi del quale in seguito se ne sono ottenute delle altre piante, che sono slate poi via via sparse in altri giardini. Dopo 50 anni precisi questo albero divenuto grandissimo,è slato necessario abbatterlo, benchè vegeto e vigoroso, per dar luogo alla vegetazione di altre piantc. Fra gli alberi più belli che siano stati iulrodotti in Europa nel secolo decorso, non può tacersi la Magnolia [Magnolia grandiflora) f della famiglia delle Magnoliacee,

(1) V. Cubieres, Meni, sur le Tulipler, citala.

(2) Islor. e coli, delle piante ec. pag. 312.

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la quale è originaria delle foreste della Florida e del Canada nell'America settentrionale.

Nel 1732 ne fu posta una pianta, portata dal Missisipi, a Millery presso Nantes in Francia, e quasi nello stesso tempo o poco dopo, se ne trovavano alcune piante al giardino di Trianon, che non florivano ancora (1). Due anni dopo, cioè nel 1734, fu la Magnolia introdotta da Giovanni Golliton in Inghilterra (2), e nel 1739 ci racconta il Miller (3), che ve ne erano in vari giardini delle piccole piante ; la maggior parte delle quali peri io codesto medesimo anno, per l'eccessivo freddo di quell'inverno. Frattanto moltiplicatesi le piante della magnolia per opera dei giardinieri inglesi, poterono essere sparse in altri paesi, e fra questi la Toscana ne ebbe una pianta per cura del Prof. Giorgio Santi, che la fece venire da Londra, e piantare nel 1787 nel giardino dell'Universitàdi Pisa (4). Quasi contemporaneamente il Conte Piero Bardi ne fece venire a Firenze altra pianta da Londra, che pose nel giardino del palazzo Guicciardini ; e tanto questa che quella di Pisa ebbero a soffrir molto nello straordinario freddo del 1789 ; ma ripreso poi vigore, quella di Pisa cominciò a fiorire nel 1798, l'altra un poco più tardi, ed ambedue ora sono diventate grandi e maestosi alberi, e sono i primi stati introdotti fra noi. Da essi successivamente o per semi o per margotti se ne sono fatte tante moltiplicazioni, da poterne diffondere per tutto le piante, le quali adornano maestosamente non pochi dei nostri parchi e giardini.

(1) DiziOD.diScienz.nat. trad. In Ital. pubbl. dal Balelli, T. 14, pag. 71.

(2) 4llon, Hort. Eewen. edlz. 2, T. 3, pag. 329, Sweet Hort. Brilan. ediz. 3, pag. 17.

(3) Dicl.des Jardin.T.4, pag. 507.

(4) V. Savi Fior. Hai. T. 2, pag. 7 ; Id. Sullo stablUmeoto di nuovi gen. di piante, pag. io.

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Nativo della Virginiaè il noce nero (Iuglans nigra) della famiglia delle luglandee, male a proposito da taluni creduto quello che dàil legno per mobilia detto noce d'India. Àˆ un albero grandissimo importato dall'America settentrionale in Inghilterra noi corso dell'anno 1629, e di làsparso nelle altre parli d'Europa. In Toscana sono molli anni che vi vegeta, senza poter dire in quale anno fosse introdotto, poichè non si trova indicato nel catalogo dell'Orto pisano del Tilli, nè in quello dell'orto Fiorentino del Micheli pubblicato nel 1748. Soltanto per la prima volta lo trovo figurare nel catalogo del giardino botanico del Museo di Firenze del 1782, e quindi in quello dello Spedale di S. Maria Nuova di Firenze nel !789. Oggigiorno è albero sparso in molli luoghi, vivendo bene nel nostro clima, e divenendo assai elevato, ma mette le foglie più tardi e le perde prima di ogni altro albero.

Egualmente della Virginiaè un bellissimo acero detto Negundo, ed Acer Negundo da Linneo, ora distinto in un genere a parte dal Decandolle sotto il nome di Negundo fraxinifolium, della famiglia delle Acerlnec. In Inghilterra vi pervenne dagli Stati Uniti, e nel 1688 vi era coltivato dal Vescovo di Compton (1). Àˆ albero grande che cresce presto, edè stato proposto per sostenere le viti nelle localitàdi pianura, essendo che ha i rami radi e poco vestiti di foglie, cosicchè non fa grande ombra. In Toscana fu introdotto la prima volta nel giardino botanico di Pisa nel 1793, e di làper via di margotti, piuttostochè di semi, fu propagato e reso comunc. Il Cipresso Gaggiaè del pari originario della Virginia, come anche della Carolina, della Florida, della Luigiana e del Messico. Appartiene alla famiglia delle

(1) Alton, Hort. Kewens. ed. 2, T. 3, pag. 449.

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Conifere, e fu detto Cupressus disticha e Schubartia » ed ora si conosce col nome di Taxodium dislickum datoli dal Richard. Àˆ albero che cresce mollo, cosicchè secondo il Caslesby se ne trovano nell'America Settentrionale degli individui di 30 piedi o circa 15 braccia di circonferenza nel loro tronco. Perde le foglie nell'inverno, ma tuttaviaè un bell'albero, che ama i luoghi palustri, e rendesi perciò utile per vestire i terreni di tal natura. In Inghilterra secondo lo Sweet (1) e l'Aiton (2), vi fu introdotto circa il 1640 da Giovanni Tradescant. In Francia il La-Galissonniere ne mandò d'America i semi nel 1748, che per altro non nacquero, non sapendosi aver essi bisogno di terreno umido ; ma Duhamel successivamente avendone avuti altri, ed avendoli custoditi convenientemente, potè ottenerne delle piante (3). Il Pelli Fabbroni (4) altrimenti ci espone queste epoche ; e riportandosi a quanto ne disse nel 1786 alla Societàd'Agricoltura di Parigi il Fougerox de Boudaroy, ci narra che fu questo albero introdotto in Europa nel 1697, spedito dall'America in Inghilterra da Enrico Gompton ad Ugo Commines, Quindi nel 1745 furono dalla Luigiana spedili i semi a Duhamel dal sopra ricordato Conte De La-Galissonniere, allora governatore del Canada. Da quelle epoche in poi, tanto nei contorni di Londra che di Parigi, se ne moltiplicarono assai le piante, da poterle fornire ad altri paesi. Nel 1796 questo albero fu introdotto a Pisa, e giànel giardino botanico dei Semplici di Firenze nel 1827, molte piante disponibili ve ne erano nate dai semi pervenuti direttamente dalla NuovaYorck. Ora si trova sparso in vari

(1) Hort. brii. ed. 3, p. 623.

(2) Hort. Kcwens. ed. 2, T. 3, p. 323.

(3) Duhamel, Trail. des arbr. 2 edil. T. 3, p. 9.

(4) Del cipresso gaggia. Memoria negli AHI dei Georgofill 1831 T. 9, p. 131.

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luoghi della Toscana, ma non con quella estensione che sarebbe desiderabile, considerati i suoi molli pregi (1).

Grande e maestoso albero siè parimente il tiglio argentino, il quale ricevè vari nomi come, di tilia rotundifoUa, tilia alba, e tilia argentea, AeW a famiglia delle Tiliacee, il quale si vuole originario dell'Ungheria, ed egualmente al dire dell'Aiton dell'America Settentrionalc. Oltre di che il Brouguiere e l'Olivier lo trovarono nelle campagne di Coslanlinopoli (2). Nonè molto cheè slato sparso per l'Europa, riscontrandosi che nell'Inghilterra vi fu importalo nel 1767 da Giacomo Gordon, e di qui dall'Ailon ne furono mandate alcune piante a Thouin, ed a Gels a Parigi verso il 1781 (3). In Toscana il primo che venne, fu al giardino botanico dei Semplici a Firenze nel 1804, essendo adesso uno degli alberi i più grandi e di bello aspetto per il cangiante del verde nel biancastro che fauno le sue foglie agitate dal vento, e formanti una bella chioma composla regolarmente.

Dalla Virginia, dalla Carolina, e dalla Luigiana, dove è spontaneo, venne in Europa un altro albero molto grande dello Gleditschia triacanthos, portato in Inghilterra nel 1700 al riferire del Aiton (4) dal Vescovo di Compton. Di questa Gledilschia ve neè una varietàsenza spine, mentre la specie primitiva le ha grosse, resistenti, e ramosc. La varietànon spinosa era conosciuta in Firenze da molto tempo, perchè il Micheli la registrò e descrisse nel suo catalogo dell'Orto botanico fiorentino fatto nel 1736, dove giàvi era da

(1) Intorno a ciò ved. Cubières nelle Mem. de l'Insiti, de France 1809 ; e Pelli Fabroni, I\Iem. sul cipresso gaggia di sopra dialo.

(2) Duhanoei, Tiail. des arbres ec. ed. 2, T. 1, p. 231.

(3) Lamark, Encyclop. botan. T. 7, p. 682.

(4) Hort. Kew, ed. 2, T. 3, p. 474.

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tre anni in addietro (1). Questa pare la prinaa pianta venuta, giacchè anche nel catalogo del giardino botanico di S. M. Nuova del 1780, trovo nominata questa, e l'altra varietàspinosa egualmentc. Il Tilli che nel 1723 compilò il catalogo dell'orto botanico di Pisa, non rammenta nè r una nè l'altra di queste varietÀ, e perciò si deve ritenere che la Gleditschia venisse per la prima volta al giardino dei Semplici in Firenze, all'epoca ricordata del 1736, e forse anche prima.

Il pero di fior doppio, o pero florido (Pyrus coronaria) della famiglia delle'.Rosacee pomacee, che caricandosi di molli fiori, fa bellissima mostra di sè per adornare i giardini, nasce spontaneo nella Virginia. Di làfu importato nel 1724 in Inghilterra da Roberto Furber (2), e fra noi per la prima volta pervenne dall’Inghilterra medesima nel 1787, al giardino botanico di Pisa, dove presto fruttificando, somministrò coi suoi semi gran quantitàdi pianticelle, che furono sparse da per tutto.

Venne pur anche dall'America in Inghilterra il ginepro della Virginia (Juniperus virginiana) nel 1664, o per lo meno in quell’anno vi era coltivato da Giovanni Evelyn (3), e ben presto si sparse in tutta Europa, essendo albero di facile propagazione, ed amanle di qualunque terreno sterile ed ingrato.

Ma non soltanto queste che ho fin qui ricordate, furono le piante che ci pervennero dall'America del Nord, giacchè nel corso del XVIII secolo e del presente, fu tanta la copia di piante fiorifere e di alberi da ornamento pei nostri giardini d’Europa, che non riesce star dietro alla esalta indicazione delle epoche nelle

(1) Miclieli, Calalog. plani, horti (lorenl. edil. ab lo. Targioni Tozzelli, pag. 2, sollo il nome di Acacia Americana non spinosa.

(2) Ailon, Hort. Kew. ed. 2, T, 3, p. 209.

(3) Alton. Hort.Kewens. ed. 2, T. 8, p. 414.

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quali ci pervennero (1). Oltre di che l'America meridionale ci ha dato ben anche altre piante, che per quanto io può tollerare il clima nostro, sono riuscite di vantaggiosa coltivazione nel nostro suolo.

Tale infatti è stata la gaggia odorosa (Acacia Farnesiana) della famiglia delle Leguminose mimosec. Molto apprezzataè fra noi in Toscana ed altrove questa gaggia, la quale era slata messa da Linneo nel genere mi’mosa. Essaè da gran tempo coltivata molto nelle campagne attorno Firenze per i suoi odorosissimi fiori, tenendone le piante in buone esposizioni. Nel 1611 nacquero varie piante di questa gaggia nel giardino del Cardinale Odoardo Farnese a Roma, dai semi per la prima volta portativi direttamente dall'Isola S. Domingo, di dove la gaggiaè indigena, e delle quali piante una ne fu donata al granduca di Toscana Ferdinando II nel 1622 (2). Successivamente dai semi ottenutine da questi individui a Roma ed a Firenze, si propagò la specie in tutto il rimanente dell'Europa, e nell'Inghilterra ci fu introdotta nel 1656 (3).

I1 Clusio (4) dice aver veduto nel giardino del sig. Brancton a Machlin alcune piante del cosi detto impropriamente albero del pepe, o molle (Schinus molle) albero nativo del Perù, spettante alla famiglia delle Terebinlinacee, e ciò accadde avanti al 1605, vale a dire

(1) L'Aiton e lo Sweel più volte citati, ci forniscono l'indicazione dell'anno in cui le varie nuove specie di piante furono importale nell'Inghilterra ; e poichè da questo regno furono più presto o più tardi diCfuse sul continente Europeo, cosi da quei dati si può congetturare approssimativamente anche l'introduzione di dette piante in Italia.

(2) Aldini, Descripl. var. plani, in hort. Farnesiano ec. Roraae 1625.

(3) Sweet, Hort. brit. ed. 3, p. 199,

(4) Not. ad Nicol. Monardes. Simpl. medicam. hist. cap. 24, in Exolicor. p. 323.

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appena finito 11 secolo XVI. E già dalla Spagna nel 1570 circa, lo sfesso Clusio no aveva avuto un ramo coi frutti, sul quale esemplare ne fece il disegno che pubblicò nella sua opera ; quindi nel 1596 ne ebbe altri rami della varietàdi foglie non seghettate nel contorno. Pare perciò che fosse dal Perù importato in Spagna, prima del 1570, avanti che altrove, essendochè nell'Inghilterra ci informa l'Aiton (1) e lo Sweet (2), che fu introdotto nel 1597. io alcune schede Mss. di monsignor da Sommala esistenti nella libreria Magliabechiana (3) vi si trova ricordato che lo Schinus o arbor molle fu mandato a Venezia a Niccolò Contareno nel 6 ottobre 1629, da dove probabilmente si diffuse in altre parti d'Italia. In quanto alla Toscana non si trova registrato nel catalogo del Giardino botanico di Pisa del 1723 fatto dal Tilli, nè in quello del giardino di Firenze del 1736 fatto dal Micheli, lo che fa supporre che fosse fra noi introdotto dopo quest'ultima epoca. Nel 1780 per altroè notato nel catalogo dell'Orto botanico dello spedale di S Maria Nuova, ma non trovo in qual’epoca vi fosse stato portato. A Livorno pochi anni addietro ne viddi alcune grosse e vecchie piante nel giardino della villa Foàa Monte-Rotondo, ma ignoro a qual’epoca vi fossero state piantalc. Avendo le foglie un forte odore e sapore di pepe, si credeva che fosse l'albero del pepe ; oraè poco coltivato, non essendo capace di resistere troppo ai freddi dei nostri inverni, meno che difeso in buone esposizioni. Gli antichi non hanno avuto cognizione di questa pianta, e col nome di Schinus hanno conosciuto il lentisco o sondro (Pistacia lentiscus),

(1) Rorl. Eew. ed. 2, T. 8, p. 401.

(2) Hort. brilann. ed. 3, p. 34-4.

(3) V. Gio. Targioni Tozzedi, Selva dJ notizie sull'orlg. e prog. delle scienze Osictie In Toscana, MSS. voi. 9, carie 156.

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del quale perciò intese parlare Daniele nelle sue profezie (1).

Di recente introduzione in Europa siè l'Araucaria, del qual nuovo genere stabilito da Jussieu, due specie ora sono ben note fra di noi, cioè l'araucaria imbricata nativa del Chili, e 1’araucaria brasiliensis del Brasilc. L'araucaria imbricata, la prima conosciuta, fu posta al genere Pinus dal Molina (2), il quale tuttavia era persuaso che dovesse essere separata dai pini. Più lardi fu posta nel genere Dombeya dal Lamarck, per onorare la memoria di Giuseppe Dombey botanico e viaggiatorc. Quindi fu collocata nel genere Columbea fatto dallo Smith, per memoria di Colombo scopritore dell'America ; ma contuttociò il nome araucariaè prevalso, desumendolo dal paese degli Araucani, dove abbonda questo albero. Cresce l’araucaria fino all’altezza di 260 piedi, ossia circa a 130 braccia, e viene anche proporzionatamente grossa, poichè il Molina che la descrisse, racconta di averne veduto uno di questi alberi, giunto appena al decimo della sua ordinaria grandezza, il quale aveva più di 12 piedi (circa sei braccia) di circonferenza nel suo tronco. Questo nuovo vegetabile per r Europa, fu importato in Inghilterra nel 1796 dal Menzies (3), ed in Firenze fu introdotto dal marchese Giuseppe Pucci nel giardino del suo palazzo in via dei Cresci, facendolo venire da Parigi, e ciò all’incirca verso il 1822, ed egualmente il marchese Cosimo Ridolfi poco dopo questa epoca, cioè nel 1825 ne fece venire da Sciambery altra pianta per il suo ricchissimo giardino di Bibbiani presso Capraja, la quale viè prosperissima, e dalla quale se ne sono propagate

(1) Gap. 13, V. 54. Nane ergo, si vidisli eam, die sub qua aròore videris eos colloquenles sibi. Qui ail: sub schino.

(2) Saggio sulla stor. natur. del Chili, ediz. 2, pag. 166.

(3) Aiton, Hor. Kew. ed. 3, T. 5, p. 4l2, 33

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molte altre piantc. Che anzi questo individuoè stato questione se possa essere specie distinta, tanto che per le osservazioni del prof, Pietro Savi, sembrerebbe dovere essere nuova, e perciò fu da lui intitolata Araucaria Ridolfiana (1).

Il Raddi essendo al Brasile nel 1818, osservò nelle stesse vicinanze di Rio laneiro, dove nei 1769 il Banks ve ne aveva raccolti degli esemplari, un'altra specie di araucaria, detta dai Portoghesi pinheiro brazilico, che riconobbe diversa da quella del Chili, e che perciò nominò Araucaria Brasiliensis, avendone al suo ritorno in Firenze portati dei semi, che per altro non nacquero, forse per aver sofferto nel lungo viaggio. Frattanto nel 1816 la pianta fu importata nell’Inghilterra (2), ed altri semi pervennero in Europa, i quali nacquero in vari giardini di coltivatori, e specialmente a Sciambery in Savoia, da dove ne furono sparse le piante, sebbene per molto tempo confuse coli’altra specie del Chili giàdetta, ossia l’imbricata. Il Raddi al suo ritorno dal Brasile ne portò gli amenti ed i frutti, sui quali il prof. Bertoloni dette una descrizione della pianta, chiamandola columbea angustifolia (3), e quindi il Raddi medesimo nel 1824 in una sua memoria letta all'Accademia dei Georgofili (4) ne parlò, descrivendola esso pure.

Contemporaneamente ai progressi che la botanica e l'agricoltura europea facevano, acquistando dalle Indie occidentali ricca suppellettile di vegetabili, anche le Indie orientali di giàrese più accessibili per la fa-

(l) Alti del 3.** Congresso degli sclenz. ilal. in Firenze 1851, p. 439 ; Ridolfl, Catalogo delle piante coltivale a Blbbiani, e cenni sa qualcuna delle nnedesimc. Firenze 1843, pag. 7.

(2) Sweet, Hort. bril. ed. 3, p. 623.

(3) Opusc. sclenlif. di Bologna, T. 3, p. 412.

(4) Contlnov. degli Atti del Georgof. T. 8, p. 183.

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cintata ed accresciuta navigazione degli Europei verso quelle parti, fornirono molle piante, che ora son divenute di un'utile coltivazione nel suolo nostro.

Cosi fin dai primordi della più diretta e libera comunicazione colle Indie orientali medesime, non mancarono viaggiatori d'ogni paese che secoloro portassero ritornando alla patria o vi mandassero, colàsoggiornando, nuovi vegetabili.

L'Eugenia, per esempio, della famiglia delle Mirtacee, fu una pianta portata da Goa secondo il Micheli, nel 1700 in Firenze sotto Cosimo III, per opera di Placido Maria Ramponi, che trasferiva la cassa di S. Francesco Saverio in detta isola. Ma al dire di altri, pare piuttosto la prendesse nel ritorno approdando alla Baja di S. Salvadore de todos los santos, metropoli del Brasile (1). 11 Micheli (2) la illustrò e descrisse col nome di Eugenia indica, myrtliifolio deciduo ec. intitolandola al principe Eugenio di Savoja. Non pare che Linneo abbia ben conosciuta questa pianta, come lo rileva anche il Lamark, poichè l'ha descritta sotto! nomi di Eugenia, di Myrlhus, di Plinia ec. Il Wildenow la registra nella sua opera (3) sotto il nome Eugenia uniflora, qualeè uno di quelli che giàgli aveva dato Linneo ; ed il Lamarck (4) la chiama Eugenia Micheli, rispettando ed onorando cosi questo nostro botanico fiorentino. Fu coltivala prima nel giardino del Granduca Cosimo III alla villa di Castello, poi passò nel 1779 anche nel giardino dei Semplici di Firenze, e quindi anche in quello di Pisa (5).

(1) Gio. Targioni Tozzettl, Selva di nolizie sull’orig. e progr, delle scienze fisiche in Toscana, MSS. voi, l, Schede di Cosimo III.

(2) Nov. gener. plani, p, 226 ; e Calai. Horti. fior. p. 36.

(3) Spec. plant. T. 2. P. 2, p. 962.

(4) Encyclop. boi. T. 3, p. 203, soUo il lilolo di Jambosier.

(5) V. Tilli. Calai, plant. Hort. Pisani, p. 117 ; Micheli Nov. gen. plani, p. 226.

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Filippo Sassetti mercante fiorentino, il quale fu alle Indie orientali per alcuni anni, fino al 1588, mandò in questo tempo a Firenze a Baccio Valori la pianta del Cinnamomo (1).

Il cipresso di Portogallo (Cupressus Lusitanica), belIrssimo albero originario di Goa, fu da molto tempo indietro di làtrasferito per opera dei Portoghesi a Bussaco, gran convento dei Carmelitani presso Coimbra, dove se ne formò una bella foresta (2), e di più se ne sparse la sua coltivazione in molti altri luoghi del Portogallo medesimo, dove può dirsi ora naturalizzato, e dove il suo legnameè ricercato ed imi»iegato in molti lavori. Dal Portogallo fu introdotto in Inghilterra nel 1685, al dire dello Sweet (3), ma secondo l'Aiton ciò fu nel 1640 per opera di Giovanni Tradescant (4), e da Londra fu mandato a Leida col nome di cedro di Goa. Il Link nel 1799 ne trasferi alcune piante a Mecklembourg, ed in Toscana ci pervenne fra il 1723 ed il 1736, perchè non si trova nel Catalogo del giardino botanico di Pisa del Tilli ; ma bensi in quello del giardino di Firenze fatto 13 anni dopo dal Micheli ; nel qual giardino detto dei Semplici, ve io introdusse il ridetto Pietro Antonio Micheli, che ne era allora il direttorc. Nonè per altro cosi estesa la di lui coltura come meriterebbe di esserlo, tanto per la bellezza del suo portamento, che per la bontàdel legname.

Nativo del Giappone, come egualmente della Carolina e del Mississipi,è un altro bell'albero, detto volgarmente Catalpa, e da Linneo Bignonia Catalpa della famiglia delle Bignoniacee, ma piii modernamente chia-

(1) Sasselli, Viaggi. p. 53 e 36.

(2) Link, Voyag. en Porlug. T. l,p.401 ; Lamark, Encycl bot. T. 2, p. 243, doveè indicalo col nome di cupressus glauca, perchè difaltl le foglie sono biancastre o glaucescenli.

(3) Bori, brilan. ed. 3, p. 622.

(4) Bori. Kewens. ed. 2, T. 3, p. 323.

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mato Catalpa bignonioides (1). 1! primo a far conoscere almeno un» varietà di questa pianta,è stalo il Kaempfer, che la descrisse e flgurò sotto il nome giapponese Kavara fisagi (2), ma in Europa non ne fu introdotta la specie prima del 1726, anno nel quale il Gatesby ne mandò i semi dalla Carolina in Inghilterra (3). Di làsuccessivamente se ne diffusero le piante ; ed in Toscana ci pervennero sul finire del decorso secolo, essendo notata giànei Catalogo per l'anno 1780, del nuovo giardino botanico fondato da mio padre ed ora soppresso, dell'Arcispedale di S. M. Nuova di Firenzc. Da quell'epoca in poi siè cotanto moltiplicato questo albero, cheè divenuto comunissimo non solamente in Toscana, ma per tutta l'Italia.

Il moro della China cosi detto, perchè spontaneo di quel paese, del pari che del Giappone e dell’isola di Otaiti,ed anche secondo il Miller (4) della Carolina settentrionale, da dove dice averne ricevuti i semi,è un albero, la di cui scorza, dai Chinesi convenientemente trattata, somministra loro la carta (5), dal che neè venuto che siè chiamato eziandio Papirifero questo albero. Il Kaempfer (6) ce lo fece conoscere colla descrizione e figura che ne delle nel 1712. Linneo lo considerò del genere dei mori, e lo disse morus papyrifera, ma un tempo fu mal conosciuto, atteso che non se ne avevano

(1) V. Decandolle, Prodr. sysl. nat. vegel. T. 9, p. 226.

(2) Amoen. ea ;ot. p. 841. La pianta descrilta dal Kaempferè varietà piuttosto fruticosa che arborea, poicliè egli stesso io dice arbor granati magniludine, edè dal Decandolle loc.cit. dubbianaenle ritenuta come la varietàp kaempferi, dubitando anche se sia specie Americana coltivata al Giappone, o specie a sè silvestre.

(3) Duhamel, Trait. des Arbr. ed. 2, T. 2, p. 14.

(4) Diclionn. des Jardiniers, T..S, p. SO.

(5) Sul modo di confezionare questa carta V. Lamark, Encycl. boi. T. 5, p. 4 ; Duhamel Trait. des arb. ed. 2, T. 2, p. 28 ; Savi, Tralt. degli alb. ed. 2, T. 2, p. 40.

(6) Amoen. exot. p. 471.

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che gli individui maschi. Per caso il Broussonet, distinto naturalista francese, viaggiando nella Scozia, vi trovò un albero sconosciuto, che da qualche anno vi si coltivava, e che esso sospettò potesse essere l’individuo femmina del Papirifero, perciò ne mandò a Parigi delle talee, che riuscirono bene, e fecero conoscere che il Broussonet non si era ingannato. Allora fu che si conobbe non appartenere esso al genere dei mori, ragione per la quale, il Lheritier ne formò un altro nuovo dello Broussonetia, dedicandolo allo scuopritore della pianta femmina. Con questo nome di Broussonetia papyrifera che ora conserva, fu per la prima volta tale albero descritto dal Ventenat (1), e posto quindi nella famiglia delle Artocarpec. Il Miller dice che ne furono rilevate di seme alcune piante in Inghilterra nel giardino del Ducadi Nortkumberland, lo che fu probabilmente nel 1751, anno nel quale lo Sweet (2) dice che fu introdotta in Inghilterra questa pianta. Àˆ probabile che da quest’isola fosse diffusa poi nel resto dell'Europa ; ed in quanto alla Toscana deve esservi pervenuta tardi, comparendomi soltanto nel 1780 registrata fra le piante del giardino botanico dello Spedale di S. M. Nuova di Firenze, e poi nel 1796 fra quelle del giardino botanico di Pisa. Oraè albero comune in tutta Italia, e serve a contornare dei viali.

L'Ailanto (Ailanthus glandulosa) della famiglia delle Terebintacee,è un albero assai grande, nativo delle parti settentrionali della China, e delle campagne attorno a Pechino. Il Ruinphio (3) descrisse fra le piante di Amboina, un albero congenere del presente, ma di specie diversa, col nome di Aylanto e di Caju longit, che vuol dire albero del cielo ; ed il Desfontaines da questo nome, formò il genere Ailanthus, nel descrivere l'albero di cui

(1) Tableau du regne veget. T. 3, p. S-i?

(2) Hort. Brilann. ed. 3, p. 607.

(3) Serbar Amboin. T..3. p. 207.

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ora parlo, il quale anche nel nostro volgare è detto albero del Paradiso. Il padre Incarville nel 1751, ne inviò dei semi dalla China alla Societàreale di Londra (1), che si dette cura di farli nascere e spargerne le novelle piante in altre parti dell'Europa. In Francia vi fu introdotto l'Ailanlo probabilmente coli’importarvi alcuna delle piante nate a Londra, e giànel 1786 nel giardino del sig. Mounier a Parigi, ve ne era un individuo abbastanza grande, da poter servire di esemplare alla descrizione, e stabilimento del genere botanico, che ne fece il Desfontaines superiormente citato (2). Fino a questa epoca non avendo ancora fiorito, erasi credulo che fosse un Rhus o Sommacco, e più particolarmente il Rhus succedanea, e non se ne era potuta bene stabilire la classazione e la nomenclatura ; infatti lo Zuccagni nel Catalogo del giardino botanico del Museo di storia naturale di Firenze, del 1784, distinguendolo dal Rhus succedanea, lo cita col nome di Rhus dentato glandulosum, e questaè la prima volta che si trova figurare fra le piante del ridetto giardino, non essendo registrato nell'antecedente catalogo del 1783. In Firenze adunque ne esisteva la pianta, prima del 1786, cioè prima che il Desfontaines stabilisse il genere e la specie botanica ora conosciuta. Oltre a ciò nel 1785 ne furono inviate al canonico Zucchini per il giardino dei Semplici due piante, le quali essendo restate trattenute in dogana per 36 giorni furono credute perite, e furono messe dal giardiniere in un monte di terra come cosa perduta. Una di queste peraltro nella sopravveniente primavera dette segno di vegetare, ed allora fu regolarmente piantata presso la stufa, dove crebbe smisuratamente, e dove l'ho veduta ridotta ad un albero di prima grandezza. Per molti anni

(1) Ellis in philos. Iraaiact. 1750.

(2) Memoire de làcad. des Selenc. 1786, p. 263.

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non eori, poi fiori ma non abboniva i semi, finalmente cominciò a farli fecondati, ed in gran copia, siccchè fu facile allora poterne avere numerose piante, le quali sparse per la Toscana vi sono ora divenute comunissime e quasi naturalizzatc. Molte anche di tali piante che via via nascevano dai semi furono inviate in altri luoghi d'Italia. Per tal motivo i delti semi fecondati, cominciarono a figurare sul catalogo del 1805. Questo grande albero che aveva più di un braccio di diametro nel suo pedale, bisognò atterrarlo nel 1819 per dar luogo ad un accrescimento della stufa, in troppa prossimitàdella quale, come ho detto, era stato piantalo.

Nel 1766 furono mandati alcuni semi di un bell'albero col nome di arbor excelsa ex China, all'abate Filippo Antonio Farsetti patrizio veneto, il quale avendoli fatti seminare nel suo giardino di Sala, ne ebbe delle piante, una delle quali donò all'orto botanico dell'universitàdi Padova. Ignoravasi a quale specie appartenesse questo nuovo vegetabile, finchè nel 1781 avendo fiorito nel ridetto giardino di Padova, potè il prof. Giovanni Marsili darne una descrizione completa. E per quanto riconoscesse in questa pianta una certa analogia con altre del genere Sterculia, tuttavia credè doverne fare un genere a parte, che intitolò Firmiana, in onore del Conte di Firmian, gran cancelliere in allora della Lombardia Austriaca (1). Nell'anno medesimo in che il prof. Padovano leggeva la sua memoria su questo soggetto, Linneo il figlio sopra un esemplare secco, che lo stesso Marsili gli aveva mandalo, ne fece la descrizione e la nominò Sterculia platanifoUa, nome che sempre ha conservato di poi a preferenza, fra tutti i botanici (2), restandogli

(1) V. AHI di Padova. T. t, p. 106 ;eGior. d'Agricoli. Arli ec di Firenze, 1781, p. 100.

(2) Linn. fll. Supplem plani p. 423.

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quello di Firmiana come il suo volgare, abbeochè si chiami anche Sterculia indistiolamenle dai giardinieri. Appartiene alla famiglia delle BItneriacee Sterculiee, edè un albero grande e di bella apparenza, nativo della China e del Giapponc. In Inghilterra vi fu introdotta la Sterculia nel 1757. La prima pianta che venne in Toscana fu collocata nel giardino botanico dello Spedale di S. Maria Nuova da mio padre nel 1787, trovandosi notata col nome di Firmiana sinensis nel catalogo di quello stesso giardino del 1788. Poco dopo ne fu rilevata di seme un’altra pianta da un signore inglese nel giardino della casa Ginori ora Rospigliosi sulla piazza del Carmine, dove esso dimorava, ma poi essendo passato ad abitare il palazzo Ximenes in Pinti, ora Panciatichi, vi trasportò seco e collocò nel mezzo del giardino la sua sterculia, dove vive sempre, ora cresciuta in maestoso albero. E poichè in questo frattempo peri quella del giardino di S. Maria Nuova, perciò si deve considerare questa che oraè nel giardino Panciatichi Ximenes, come la più antica sterculia che sia in Toscana.

Un'altra pianta delle Conifere è stata introdotta di recente fra noi, e questaè il pino i anceoi alo (Belis jaculifolia Salisb.) (1) albero nativo della China, e specialmente della provincia di Che-Kiang. Fu esso introdotto neir Inghilterra nel 1804 dai direttori della Compagnia delle Indie secondo l'Aiton (2), e da Giorgio Leonardo Staunton secondo il Lambert (3). In Firenze venne al giardino botanico dei Semplici nel 1830.

(1) Cunningamia sinensis, Pinus lanceolata, Abies lanceolala, lielis lanceolala, À€raucarli lanceolala, chiamala da altri. Ma nei nostri terreni viene assai raale, nè mai si vede giungere all'altezza di 40 a 30 piedi come dice che cresce il Perry, giacchè da noi si sfoga a dare dei rigetti dalle barbe, piudosio che elevarsi col suo fusto principale.

(2) Bori. Eew. ed 2, T. o, p. 32 1.

(3) Descript. of the gen. Pinus. London 1832, 8.» P. 2, p. 91.

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Il Gioco, grande albero del Giappone fu descritto la prima volta dal Kaempfer (1) nel 1712, sotto il titolo di Gingko. Il Gordon lo introdusse in Inghilterra nel 1754(2), enei 1771 ne comunicò un esemplare secco a Linneo, il quale lo descrisse sotto il titolo di Ginko biloba, nome che poi fu dallo Smith senza ragione, come rileva il Decandolle, cambiato in quello di Salisburia adiantifolia, in onore di Ant. Riccardo Salisbury, distinto botanico inglese (3), per averlo veduto fiorito a Kew nel 1795, ma il solo maschio. Fu diffusa questa specie molto lentamente a motivo della difficoltàdi moltiplicarla, mancando le piante femmine, ed anche per il suo caro prezzo ; cosa che gli fece avere in Francia il nome di albero dei 40 scudi (4). Il Decandolle nel 1814 trovò un individuo femmina a Bourdigny presso Ginevra, che aveva circa venticinque anni, essendovi stato piantato nel 1790, e fu descritto dal Gouan. Questo sembra il primo individuo che fosse piantato in Francia (5). In Toscana il primo ginco che ci comparve, ma l'individuo soltanto maschio, fu al giardino botanico di Pisa nel 1787, fattovi venire da Londra insieme colla magnolia e col cedro del Libano, ed ora divenuto un albero grandissimo.

Fra le piante che oggigiorno sono più alla moda nei nostri giardini abbiamo le camellie o camelie (Camellia japonica) della famiglia delle Caroelliee, i di cui fiori, tanto variabili perla forma, disposizione, colore e doppiezza dei petali, formano le delizie dei cultori di Flora. Il Kaempfer nel 1691 essendo andato al Giappone,

(1) Amoen. cxoi. pag. 811.

(2) Aiton, Bori. Kew. ed. 2, T. S, p. 304.

(3) Il Jussieu pone questa pianta nella famiglia delle àmenlacee, ed il Richard in quella delia Conifere taxinee.

(4) lacquin, Veber den Gingko, Wlen. 1819.

(5) Note botan. sur le Gingko biloba par Decandolle In Bibl. de Genève, 1818, T. 7, p. 1.30. lacqain Veber den Gingko, loc. cit.

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fu il primo a darci idea di questa pianta, descriveodola nella sua opera stampata nel 1712 (1), come da lui veduta coltivala io quel paese, di doveè originaria, egualmente che della Cocincina ; ma non fu importata dal suo paese nativo la pianta in Europa, altro che in Inghilterra, dove avanti al 1739 era coltivata nel giardino di Lord Petre (2). Fu nominata questa pianta da Linneo Camellia in onore del Padre Giorgio Giuseppe Kainel o Camelli Moravo, e speziale della casa dei Gesuiti a Manilla, ed iaponica per il luogo suo nativo. Nel Catalogo del giardino di Cambridge vi cominciò a figurare nel 1742, e frattanto il Thumberg nel 1784 la registrò fra le piante del Giappone di cui fece la flora (3), riportandone i nomi volgari che ha in quelle regioni delle Indie orientali, e dicendoci che cresce in albero assai grande, il qualeè tenuto in molto pregio dai Giapponesi per l'eleganza dei suoi fiori molto variabili, inquantochè sono essi scempi o doppi, coi petali diversamente conformali o disposti, ed ora bianchi, ora rosei, ora rossi, ora brizzolati ec. Reca perciò meraviglia come essendo in Inghilterra abbastanza bene conosciuta la camellia, il Miller nel suo Dizionario dei giardinieri pubblicato nel 1786, taccia affatto di questa pianta, quasi che non l'avesse conosciuta. Dopo l'Inghilterra pervenne la camellia in Italia, e la prima e più antica pianta ancora vivente, e di altezza considerevole ma a fiore scempio e rosso, siè quella nel giardino reale di Caserta presso Napoli, dove vi fu portata nel 1760. Dopo passò questa pianta anche in Francia al giardino delle piante nel 1783, e poscia in Germania. Finalmente in Firenze comparve la prima camelia nel giardino del conte Leopoldo Galli, l'anno 1794, e da

(1) Amoen. exot. pag. 830, lab. 8S1-832.

(2) Aiton, Hort. Kewens. ed. 2, T. 4, p.233 ; e Botan. register, T.i, tab.22.

(3) Fior, japon. p. 272.

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per tutto moltiplicatasi, produsse non poche varietÀ, le quali vennero successivamente ad aumentare per motivo dell'esserne state importate dalla China in Europa alcune altre principali in diverse epochc. Cosi nel 1792 vennero la varietàdoppia bianca, e la variegata di bianco e di rosso, portate dalla China dal capitano Gonner per il giardino dello Slater in Inghilterra (1). Nell'anno 1794 fu recata dalla China dal Preston quella di fior rosso doppio (2ÀŒ. Nel 1800 venne l’incarnata, nel 1808 la myrlifolia, nel 1809 la warata, nel 1810 la paeoniflora e la pomponia (3). Dalla fecondazione casualmente o anche artificialmente procurata, ed eziandio dal clima, dal terreno, o da altre circostanze, sene sono ora fatte, e sempre se ne fanno, nei nostri giardini tante e tante varietàe sottovarietÀ, che non viè quasi altra pianta che cosi abbondanti e svariate maniere di bella fioritura abbia come questa (4).


(1) Botan. reposilory, T. 1, tab. 23, e lab. 91.

(2) M, T. 3, tab. 199.

(3) V. Berlese Monograph. du genre Camellia. Paris, 1837, pag. 11.

(4) Per queste varielà si può vedere Beumano, Collcclion de Camclias cc. Beiwiller 1836. Berlese, Monograph. du Camclias ec. Paris 1837, e i'ed. 2.'‘1840, e più la sua Iconographie des Camelies in 2 voi. Colla, Camclliografia cc. Torino 1843, e tanti cataloghi di giardini particolari.