Agrumi (Targioni-Tozzetti, Cenni)

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Piante arboree fruttifere
Targioni-Tozzetti, Antonio, Cenni storici, 1853
Alberi da ornamento

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XIII. Degli agrumi, e piante appartenenti alla famiglia delle auranziacee.

Le piante comprese nella famiglia chiamata da Decandolle delle Auranziacee, dal Jussiea nominata delle Agruminee, e dal Ventenat delle Esperidee, offrono una quantitàdi specie e di varietàdi frutti ricercati, ed estesamente ora coltivati.

Dico il giallo limon\ gli aranci e i cedri (1),

i quali per contenere un sugo acido, conosciuto particolarmente dal volgo col nome di a^ro, sono perciò da tutti riuniti sotto il titolo generico di agrumi (2). Veruna delle

(1) Alamanni la coltivaz. L.5.

(2) Agrume io antico italiano era sinonimo di fortume, ed anche queste voci stavano ad Indicare complessivamente certi vegetabili di sapore forte, come le cipolle, i porri, i cedri, le arance ec. Infatti nel ^Vocabolario della Crusca, 4.* edizione, vi sono riferiti varj esempi che lo dimostrano, e nello Statuto di Force citalo dal professor Orazio Valeriani (v. Ann. d'agric. del regno Hai. di Filippo Re, T. 19, p. 69), vi si legge i caules herbilegium el acrumina » che il prelato Valeriani dice di non sapere spiegare, perchè cosi fossero chiamati certi ortaggi, giacchè i cedrali, gli aranci ed i limoni non potevano vegetare nell'alta e fredda montagna di Force nella Marca di Fermo. Da un certo tempo in poi si cominciò a dare il nome di agrumi ai soli cedri, arance, limoni, lumie e simili fruiti di sugo agro, come può vedersi nel ridetto Vocabolario: e questo uso trovo che cominciò nel XVI secolo, poichè sebbene il Mattioli non adopri questa voce, pure incontrasi frequentemente usala dal P. Agostino Del Riccio, quasi contemporaneo del Mattioli medesimo, il quale nel suo MSS. inedito intitolato, Agricoltura sperimentale, al cap. IS degli aranci, usa la detta voce agrume esclusivaniente per le arance, limoni, cedri ec. Il Tanara nel suo libro intitolato Il cittadino in villa, è il primo fra i libri a stampa che mi sia dato alle mani, nel quale abbia trovato usato agrume, per denotare complessivamenle i soli ridetti frutti di sugo acido o agro come più comunemente si dice, dal che

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specie varietà finora note,è originaria dell'Italia, ma dell'Asia, delia Media, dell'Assiria, della Persia, e delle Indie orientali. Di queste piante la prima e sola qualitàconosciuta dal più antico tempo, fu il cedro o cedrato (citrus medica), che da taluni siè preteso che fosse Vhadar della Bibbia. Ed in questa opinione si sono fondati, perchè gli Ebrei hanno avuto il costume di presentarsi alla festa dei tabernacoli con un fruito in mano, che siè detto di cedro ; avvalorandone questa opinione il ritrovamento di alcune medaglie antiche samaritane, esprimenti la festa dei tabernacoli (sxTivoTmrfa?)» nel rovescio delle quali erano dei cedrati, o come lo dice lo Scheuchzero (1), forse anche delle melagrane attaccate ad un ramo di palma (2). Ed anche Flavio Giuseppe (3), dice che dovevasi portare in quella festivitÀ, un ramo di palma, cui fossero attaccate mala persea, le quali per lui non erano le pesche, ma i cedrati, e, come in altro luogo meglio dichiara essere tali le mele di Persia (4). Lo che prova quanto sia antica questa usanza, per la quale prediligono gli Ebrei più moderni una varietàdi cedrato, che appunto per questa ragione si chiama cedro giudaico, o cedro degli ebrei, dal Gallesio distinto colla frase di citrus medica cedra, fruclu oblongo crasso. Ma quell'/iarfar citato disopra che nel suo stretto significato vuol dire in ebraico bello o decoroso,è stato interpretato

è nato agrumc. Ai giorni nostri nessuno direbbe fortume ad un arancia o limone, nè agrume ad una cipolla, aglio e simile, di cuiè sialo parlalo in addietro al g. 9, pag. 73.

(1) Physique sacr. T.l, pag. 99.

(2) V. Bauhino, hist. pi T.i. pag. 93. Gallesio, Trait. du citrus pag. 19.'). Lo Scheuchzero, Phys. sacr T. i, pag. 98, lab. 81 e T. 3, pag. 125, lab. 284, traila di queste medaglie o monete coniale, le quali non si cominciarono a coniare che all’epoca del secondo lempio l'anno quarto di Simone, ed appellano alla liberazione di Sion.

(3) Anliquil. Judaic.L.3, c. 10, §. 4.

(4) Anliquil. Judaic. L. 13, c. 13, §. 3.

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dai settanta, fructus arboris pulcherrimae in generale (1). Cosicchè qualche altro frutto di bella apparenza poteva essere atto a questa cerimonia sacra, eccettuatone sempre i cedri, che in cosi antico tempo non potevano essere stati conosciuti da quel popolo, come lo dimostra ad evidenza il Galiesio. Ed a rimanere di ciò persuasi basta il considerare, come lo avverte il padre Alcazar (2), che in allora, cioè al tempo di Salomone, se fosse stato il cedro nella Palestina (trasferitovi dopo, molto più tardi dagli Arabi) sarebbe stato certamente notato dall’autore dell’Ecclesiastico, posteriore a Salomone, fra gli altri alberi più pregevoli di quel paese, dei quali fece il novero al cap. 24. Furono a questi fruiti dati i nomi di melon medicon e melon persicon dagli antichi Greci, presso i quali si pretende dalla storia intricata colla favola, che ve li introducesse Ercole rubandoli dagli orti delle Esperidi, ed uccidendone il dragone posto alla loro custodia (3), e perciò si credono i pomi d'oro delle Esperidi ridette (4). Ma più consentaneo alla veritàsarebbe ciò che si rileva da un frammento di

(1) Sumetisque vobis de primo fruclus arboris pulcherrimae spalulasque palmarum ec. Levil. c. 23, v. 40. V. Ursini arborei, biblic. pag. 576,

(2) De malis medicis, Secl.2, et 3 in Apocal. vol.2., il quale vuole che fossero ulive invece che cedrali.

(3) V. Viirrone de re rustica, L.2, c. 1. Clarici, Histor. e coUur. delle piante ec., pag. S94. Il Servio nelle noie al L. 1, v. 484, delle Eneidi, dove Virgilio parla del Drago custode delle Esperidi, dice che Ercole non rubò dei pomi alle Esperidi, ma delle pecore di lana bionda o color d'oro, uccide ndonejl pastore che aveva nonae Drago. In greco le pecore sono delle mela ((irila), dal che l'equivoco.

(4) Vogliono altri piuttoslo che i pomi delle Esperidi non fossero I cedri ma le mele cotogne, su di che ved. lo Stapel (Coram. in Theophr. pag. 337). Altri poi credono essere le arancc. L'opinion» che i fruiti di quei favolosi giardini fossero di un qualche agrume, ha fallo dare il nome di Esperidi ai trattali su questi frutti acidi, come ha il Ferrari, il Yolkamer ec.

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commedia di Antifone, conservatoci da Ateneo (1), nel quale si dice che i semi di cedro furono a suo tempo mandati in dono ai Greci dal re di Persia, nuper semen hoc provenit magno persarum rege, e ciò verso l'Olimpiade 99, cioè avanti la nascita di Alessandro, di circa 38 anni, secondo l'opinione dei più. Ai tempi d'Omero per altro non erano conosciuti i cedri, sebbene sia stato creduto che questo greco poeta abbia voluto dire di essi colla voce aglaocarpon più volte ripetuta nei suoi versi ; ma tal voce sta ad indicare in generale un frutto bello qualunquc. Altri poi hanno ritenuto, e tra questiè il Vossio, che il Thyon (eùov) di detto poeta (2) fosse il cedro, confondendolo perciò colla Thuya articulala, che dàl'incenso, della famiglia delle conifere, e della quale intese parlare Omero suddetto (3).

Teofrasto (4) è il primo che descriva i veri cedri o cedrati, chiamandoli Melea medice, e Melea Persicc. Esso dice che tali frutti non si mangiavano, ma che erano unicamente apprezzati per l'odore, ed atti a cacciare le tignole dalle vesti di lana, fra le quali fossero messi. Oltre a ciò gli dice buoni contro i veleni ed a fare buon flato ; avverte che sono originari della Media e della Persia, e che i fiori sterili (ipvov) agonon cioè mancanti del pistillo, che esso dice elacate (i(>-axdz-n) stato tradotto per colum ^ o fuso, non abboniscono i frutti. Per la qual cosa dal complesso della descrizione che ne fa, non si può dubitare che abbia inteso parlare del cedro, giàintrodotto in Grecia ai suoi tempi, e coltivato in vasi come esso stesso ci dicc. Dopo Teo

(1) Deipnosoph. L. 3, pag. 84.

(2) Odissea, L. 5, 60.

(3) Gli antichi conobbero col nome di cedro, cedrus, varj alberi resinosi, come il cedro del Libano, alcuni ginepri ec, nel modo che diremo in seguito.

(4) nist.plant.L.i, c. 4.

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frasto, fra i più antichi abbiamo Nicandro, che al verso 533 dei suoi Alessifarmaci, indica fra i contravveleni questo frullo, col nome di Medon, e dopo non pochi altri aulori ne parlarono del pari (1). Virgilio è il primo in Italia a rammentare il cedro assai chiaramente, in quei versi delle Georgiche (2),

Media feri tristes succos lardumque saporem. Felicis mali ec.

che il Nocca (3) vuol provare essere il limone, lo che come vedremo non può stare.

Ma per altroè da osservarsi, che Virgilio ne deve aver trattato non per propria scienza, atteso che quando scrisse le Georgiche non era stato ancora in Grecia, dove soliamo avrebbe potuto conoscere di vista le piante dei cedrali, giacchè questi agrumi non erano conosciuti in Italia ai tempi di Augusto, di Tiberio e di Claudio (4), vale a dire intorno ai primordi dell'era Cristiana, potendosi ciò arguire anche dal non averne fatto parola nei suoi scritti d'agricoltura, Columella, che fiori nel primo secolo, all'epoca del ridetto ultimo imperatore ; e giàVirgilio era morto nove anni prima della nascita di G. C., appena ritornato dalla Grecia coir Imperatore Augusto.

Plinio (5) che parafrasa quasi Teofrasto, parlando del malus medica o malus Assyria, come egualmente lo chiama, dice che fu tentato di trasportarne le piante in Italia in vasi, ma senza effetto, perchè secondo lui

(1) Molti allri aulori posteriori ne hanno egualmente trattalo,, e questi si possono vedere registrali nella Disserl. epislol.de praecipuis hesperid. scriptorib. dei Reaschio, sul principio dell'opera del Volkamer Hesper. Norinaberg. ec.

(2) Lib.2, V.3S.

(3) Dissert.Se Virgilio lia veramente descriUo il Limone ec. Pavia 1819.

(4) V. Stapel, Comment. in rftcop/fr. pag. 321.

(5) Hist.nat.L.n. c. 3.

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tali piante non volevano nascere che nella Persia e nella Media. Lo che fa vedere che a tempo di questo naturalista, il quale mori nella seconda mela del primo secolo dell'era cristiana, non si trovavano allignate in Roma le piante dei cedri.

Palladio (1) pertanto si può dire il primo, che nel secolo V parli diffusamente, e con cognizione di causa, della propagazione dei cedrali in quattro modi, cioè semine, ramo, talea, claba (2). Oltre di che, descrive 1 caratteri delle piante, il modo di coltivarle e custodirle, ed asserisce di avere tutto ciò provato, pare con successo, nelle sue possessioni di Sardegna e di Napoli (3). Dimodochè si potrebbe ritenere, che a lui si dovesse il merito di aver propagato ed assicurato in Italia la coltivazione di tali piantc. Ma con tutto questo resta sempre il dubbio, se avanti a lui, fosse ad altri riuscito di allignarli in qualche parte più meridionale, e forse in Sicilia, poichè Plinio dice che fu tentata questa introduzione, portando in Italia le piante senza che riuscisse mantenerle, perchè o traslocate in luogo di clima non troppo temperato, o perchè non si sapevano custodire e coltivarc. Di più questo dubbioè avvalorato dall'autoritàdel Wildeuow (4), il quale dice che il cedro venit in Italiani post Virgilii et Plinii tempora, ante Palladii. Lo che più esplicitamente, afferma il Gallesio (5), il quale considerando che il ridetto Palladio, tratta cosi diffusamente della coltivazione

(1) De re rustica, L.4, til. 10, Marlius.

(2) Claba, clava, e clavulaè una mazza piegata ad arco, la quale si sotterra dalle sue estremitÀ, lasciando fuori di terra la sommitàdella curvatura, dalla quale poi germoglia. V. Analolius, in Geopon.Graec.edil. Necdham, L. 10, c.8, pag. 248.

(3) Quod ego in Sardinia el in lerrilorio Neapolilano comperi, quibtts solum el coelum lepidum est. Pallad. loc.cil.

(4) Spec. piantar. T. 3, P. 2, pag.1426,

(5) Traile du Cilrus, pag. 211.

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dei cedri, da far credere avere avuto bisogno di molli anni per portarla al punto in che la descrive, ritiene che i cedri fossero giàcoltivati almeno un secolo avanti a Palladio (1). Cosi ne fissa la loro introduzione in Italia fra il HI ed il IV secolo, opinandoli passali dalla Grecia in Sicilia ed in Sardegna. Dai quali luoghi in ogni modo, o prima o poi che vi fossero stali importali, se ne propagarono le piante, e si sparsero nel resto dell’Italia e fuori, e sotto l'influenza del diverso clima e coltura, se ne produssero a poco a poco le tante varietàdi cedrati, come anche di altri agrumi, che successivamente si sono conosciute ; ed intorno alle quali si può soprattutto vedere la storia e cultura delle piante del Glarici, ed il Traile du Citrus del Gallesio, e r Histoire des Orangers del Risso (2).

Il nome più antico di questi cedri, fu come si è detto malum medicum, Assyrium, Persicum, tanto fra i Greci che fra i Latini ; ma più tardi fu loro dato il nome di citromela da Dioscoride, di oxymala Persica da Aristofane, e da altri di malum citreum, malum aureum, citrum, cedrum, cilrus e di cedrus, coi quali due ultimi nomi, specialmente alcuni antichi scrittori, e Plinio soprattutti, confusero questi cedrati, con altre piante

(1) Sulla storia dei Cedri, V. ioli. Bauhin, Bisi. plant. T. i, pag.90.

(2) Nonè da trascurarsi qui il ricordare, come il Mictieli nel suo MSS. Rarior. plani abbia registrato ed in gran parte descrittole numerose qualitàdi cedri, limoni, arance e di ogni altra sorta di agrumi, coltivati principalmente nel Genovesato, sul lago di Garda, nello Slato Veneto, e tulli quelli che egualmente si coltivavano in Firenze e fuori, nei giardini delle famiglie Cerretani, Corsini, Giugni, Niccolini, Bertolini, Luzzi, Grossi, Ridolfi, Altoviti, Acciaioli, Torrigiani, e nel giardini pure anctie delle Convertile, dei Semplici, di Boboli, di Castello, del Poggio imperiale ec. Dal ctie si rileva quanto fosse estesa nel decorso secolo la coltivazione degli agrumi in Firenze, di cui copiosa collezione si serba sempre, nei giardini di Boboli ed in quello dei Semplici.

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resinose o della famiglia delle conifere, come Vahies cedrus ec. (1), o cedro del Libano, secondochè più estesamente può vedersi nel Dizionario delle Scienze naturali (2). In Italia si dissero cedri, cedrati, cedreni, cedronelle e cedroni, e furono coltivati come siè giàdetto da molto tempo, colle loro varietàin parecchi luoghi. Leone Ostiense (3) racconta che nel 1018 Guaimaro principe di Salerno, mandò in dono dei cedri (poma cedrina) con altre frutta, ai Normanni che lo avevano liberato dai Saracini, e questaè la più antica memoria che io conosca della coltivazione dei cedri in Sicilia. Anche Ugo Falcando (4) annovera tre qualitàdi cedri coltivati a Palermo nel 1260. Più tardi, e nel secolo XIV si rileva da Franco Sacchetti, nella seconda novella, come Federigo I d'Arragona re di quell'Isola, fosse regalato con cedri o cederni. Fra questi cedri, nei tempi decorsi coltivavasene unofatto a guisa di zucchetta bicorporea, di cui il Ferrari dàla flgura alla pag. 67 delle sue Hesperides ec, sotto il titolo di malum cilreum cucurbitiiium vw/yare, che anche l’lonston (5) ripete come varietàdel cedrato comunc. Di questi non ne ho mai veduti nei nostri giardini, ma in antico dovevano essere coltivali, poichè il Rlnio nel suo Mss. del 1415, ne dàla figura alla tav. 65, col nome semplice di ciirus. Il Glarici però avverte che nonè varietàstabilc. In Toscana la coltivazione dei cedri rimonta ad un'epoca alquanto remota, poichè sappiamo che ornavano i principali giardini dei ricchi mercanti Fiorentini,

(1) Fra altre conifere vi sono pure viirie specie di ginepri, che furono chiamali ceilrl come vcdrenao in seguilo.

(2) Traduz. Tirreni, pubbi. dal IJalelli, T.S. pag.S14.

(3) Chronicon. anliq. Sacr. monasler. Cassiti, ec, L.2, c. 37, pag. 233.

(4) Histr de reb.geslis in Siòiliae regno ec., pag. 13.

(5) De arboribus, pag. Il, lab. 6.

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fino da tempo di Repubblica : giardini che furono iodati dal Boccaccio e dal Sacchetti nelle loro novellc. Una memoria di questa antica conoscenza dei cedrati in Firenze, ciè riferita dal Manni, il quale illustra un siglilo coir impronta di tre cedri, spettante a Neri di Ridolfo Gedernelli fiorentino, il quale trovasi ricordato nel 1037. La famiglia Gedernelliè nominata ancora in un jstromento del 1345, ed un Enrico Gedernelle era giàslato rammentato in altro istromento del 1166 (1). Se la detta famiglia ha preso nome dai cedri, come sarebbe supponibile, noi abbiamo un'epoca assai remota per la coltura di questi agrumi in Firenzc. Ma per quanto succesivamente, come ho detto, molti se ne coltivassero sempre nei nostri giardini, nondimeno fu sotto Francesco \ de’Medici che tanto si accrebbero fra noi ie varietàdi essi, poichè questo principe fece venire da Napoli molti vasi di cedri diversi, che pose nel suo giardino del Casino (ora dogana) tenuto laudevolmente dal giardiniere Domenico Boschi, come ce lo asserisce il padre Agostino del Riccio (2) che ve li vidc. Tra i cedrati coltivati fin d'allora, merita particolar menzione quello detto di Firenze, che per il suo grato odoreè slimato superiore a tutti gli altri. Di esso ne parla il Ferrari alla pag. 265, sotto il nome di Limon citralus primae notac. Questa varietàpare siasi formata nelle campagne di Pielrasanta in Toscana, da dove fu trasferita nel giardino di Boboli sotto i Granduchi Medicei, come lo dicono il Ferrari, il Glarici, ed il Nati, il quale ultimo lo fa cominciato a conoscersi dal XVI secolo in poi (3). Di questo per i onseguenza, e di più mo-

(1) Manni, Osserv. e slor. de’Sigilli, T. 2, pag. 97. Sigillo 12 a p. 103.

(2) Agricoli. Sperimene MSS.Vol. I, carie 149.

(3) Florenl. phylolog observal. de malo limone cUiaioec. Fior. iùli. Di questa qualitàdi cedro se ne può vedere la figura nel Vol

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derna conoscenza, non ne fa parola il Del Riccio. Una nuova varietàdi cedrato, detta cedro di Scio, perchè làcoltivata ed apprezzata per il suo grossissimo frutto, la scorza del qualeè usata in Grecia per canditi e conserve di gratissinio odore e sapore,è stata introdotta in Toscana nel i847 dal Sig. Emanuelle Rodoconacchi stabilito in Livorno, edè sperabile che si distenderàin tutti i nostri giardini.

Le arance, ed i limoni furono portati in Italia, qualche secolo dopo dei cedrati, e varie furono le congetture degli antichi sull'origine e luogo nativo di quc. sii frutti ; i quali pur anche si vollero i pomi delle Esperidi, e di tale sentimento fu il Salmasio fra gli altri (1). Intorno a che strane ed erronee cose si dissero, e delle quali possiamo esserne estesamente informati dall'Aldrovandi (2) e dal Clarici (3). Quello che è certo siè, che questi due agrumi furono ignoti ai Romani, poichè essendo piante originarie di più remole regioni e del più interno dell'Asia, dove quei popoli non arrivarono colle loro conquiste, non ne poterono per conseguenza conoscere ed importarne le piante, secondo che anche lo ha dimostrato il Gallesio. Quindiè che più tardi dobbiamo agli Arabi l'introduzione nella Siria, nell'Egitto, nella Barberia ec., di questi preziosi vegetabili, insieme con altri, utili alla medicina ed alle arti. Dai quali luoghi poscia più facilmente furono sparsi in Europa, e ciò in virtù delie estese conquiste che fecero gli Arabi medesimi dalle regioni più meridionali dell'Asia, dove non penetrarono i Romani, fino ai Pirenei, ed anche in virtù del

kaemer, Hesper. Norimb.p,\g. |23, eJ allra figura colorila, nella naia Raccolta di fiori, frulli ed ag rumi. Fireme 1823. F.°

(1) Exercilal. Plinianac. Vedasi ciò che ho dello anlecedenlennenle su tal proposilo nella noia 1, pag. 1.^8 e noi. 4 pag.l95.

(2) Dendrologia ec., pag. 482 6 517.

(3) Sloria e coltura dei fiori, pag.Tlo.

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ristabilito commercio in tutte queste parti (1). Giacomo (le Vitry (2), asserisce che non erano note in Italia le arance ed i limoni nel secolo XI ; ed il Gallesio avverte che in questa stessa epoca non lo erano neppure nella Liguria nè in Provenza, riportandone la traslazione in questi luoghi, al tempo delle crociate ; poichè fin d'allora sappiamo che furono condotte nell’Europa moltissime qualitàdi buone frutta dalla Palestina e da altri luoghi dell'Orientc. E di fatti il citato Giacomo de Vitry, che nel secolo Xlll fu colle crociale nella Palestina, racconta avervi trovato i pomi d'Adamo, i limoni, le arance, ed altre qualitàdi agrumi, che dice alberi nuovi, e che poi nel secolo XIV, erano divenuti comuni in vari luoghi d'Italia, a testimonianza di Matteo Sylvatico che scrisse nel 1317 (3). Ma venendo a dire più particolarmente dell'arancio forte, bigaradier o bigarade dei Francesi, riferito con tutte le sue varietàche adesso se ne conoscono, al Cilrus auranlium di Linneo ed al Citrus vulgaris di Risso, noi abbiamo di positivo, che queste arance furono le prime conosciute, e dette narendi dagli Arabi, i quali trassero questa voce, molto probabilmente da quella bramana, naranga, secondo il Glarici. Posteriormente nei bassi tempi furono chiamate oranges, arangias, arangium, cilrangulum, neranlium, e quindi dagli Italiani a varie epoche, dette arangie, arance, melarance, melangolo, cedrangole ec. (4). Gli Arabi, come

(1) Secondo Abd-Allalif l'arancio forte fu seminalo nell'Oman, di li passò a Basra in Jrak ed in Siria, e divenne comune fra gli abilanli di Tarso e di altre ciUàsulla frontiera della Siria, nella Palestina, e neli'Egillo. V Risso, Bisl. de Orangers, pag. 9.

(2) V. Gallesio, Trail. da cilrus, pag. 233.

(3) Pandecl.med.\yAg. 123.

(4) Per altre denominazioni diverse dale loro in varj (empi, ed in vari paesi, e per le etimologie, ved. Slapel (Comm. in Theophr. pag. 337). Monardes (De cilris auranl. ec. epislol. in Clus. rarior. pag 50). Ermolao Barbaro, Corollari. Niccolò Myrepso d'Alessandria

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sopra è detto, furono i primi a farle conoscere, traendole dall'Asia, ed infatti sono gli Arabi Damasceno, nel suo antidotario (1), ed Avicenna nelle sue opere mediche (2) che parlano per i primi delle arance, sotto il giàcitato nome di narendi, come frutti utili nella composizione dei medicamenti ; mentre Mesue, pare arabo, ma anteriore ai predetti di più di un secolo, non fa menzione veruna di questa specie di agrumi, ricordando solamente i cedri o cedrali. Di modo che sembrerebbe, come lo dice il Massoudy (3), che gli aranci fossero stali trasferiti dalle Indie in Arabia sul finire del secolo IX, e che dopo fossero coltivati nella Sicilia, conquistata dagli Arabi stessi, come anche in Spagna. E ciò a testimonianza di Ugo Falcando, il quale scrivendo circa il 1260, narra che gli aranci abbellivano i giardini della Sicilia attorno Palermo (4), ed a testimonianza pure di Ebn-EI-Awan, da cui si sa che gli aranci forti erano coltivati in Siviglia fin dal XII secolo. Rilevasi dalla Storia della Sicilia di Niccolò Speziale (5), che il Duca di Calabria nel 1383, fece grandi devastazioni attorno Palermo, rovinandovi i vecchi acripomoriim arbores, quos vulgo arangias vocant, che erano nel palazzo reale di Gubba. Peraltro a quest'epoca del XIII secolo, erano coltivati gli aranci forti non solamente nella Sicilia, ma ben ancora in altre parli dell’Italia, poichè si vuole che S. Domenico

d'Egitto, il quale sembra aver fioriio circa li 1200, nel suo TraKato de Emplaslis pag. 190 chiama le arance con voce greco-barbara neranlzia (vspaVT^ea), che lo Slapel vuole che provenga dall'italiana nerancio : ex voce auranlia nata vox arancia, ex arancia nerancio, ex nerancio neranlzion. Maè più probabile che neranlzion ptovenga dall'arabo narendl. CI) V. MalI.Sylval.Pandecl. med. pag. 38.

(2) Llb. 5, Summa 1. traci. 6.

(3) V. Gallesio, Trait.du Citrus, pag. 232.

(4) Hist. de reb. grslis in Sicil. regno, Parlsiis ISSO, pag. 13.

(5) De Siculis rebus, L.7, c. 17, nel.Muratori, Rer. ilaltcar. Scripior.T.ii, pag. 1009.

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piantasse nel 1200 un arancio nei convento di S. Sabina a Roma (1), ohe S. Francesco facesse lo stesso nel convento dei Francescani della ridetta città(2) ; e finalmente rilevasi da Paolo Boccone (3), nel suo racconto del disastri fatti dal terremoto avvenuto in Sicilia nel 1693, che fra le diverse fabbriche che rovinarono in quella circostanza, nella cittàdi Lentini, precipitò il convento dei Minori conventuali, luogo antico abitalo da S. Antonino da Padova, che vi piantò un albero d'arancio. Tultociò starebbe dunque a provare, come siè detto, che gli aranci fossero noti nella nostra penisola fin dal principio del XllI secolo, e forse anche più indietro. Ma poiè certo che nel susseguente secolo XIV, erano giàcoltivati in moltissimi luoghi. Infatti Fra Tolomeo da Lucca vescovo di Torcello, racconta che nel 1306 per il gran freddo venuto nel mese di marzo omnia poma aromatica sicut citra, et arantia... quasi defecerunl eic. (4)’11 Delfino di Francia Omberto, ritornando da Napoli, nel passare per Nizza nel 1336, vi comprò venti piante d'aranci, per trasferirle seco (5).

Nello Statuto di Fermo del 1379, citato dal Valeriani (6), vi si trovano nominati gli aranci forti e i dolci, il cedra o, i pomi d'Adamo ed i! limonc. Il Rinio, nel suo più volte citato Mss. esistente nella Marciana a Venezia, alla tav. 64, dette la figura dell'arancia, sotto i nomi di pomus citrina, citrangulus, naranci.

(1) Ferrari, Hesperid. pag.372. Gallesio, Trail.du cilrus, p.273, Dizioii. d’Isl. rial. (radoUo in Firenze e iiubblieato dal Balelll, T. 8, pag. 409.

(2) Ferrari, loc. cil.

(3) Museo di Fisica e Slor.nat.pag. 28.

(4) Hist. eccitasi, in Muratori scriplor. rer. ilalic. T. 1 1, p.l226. Giov.Targioni-Tozzeili, Viaggi per la Toscana ec.T.3, pag. 361.

(5) Morel de Bourchenu, Hist.du Dauphinè ecT. 2,pag. 271. Gallesio, Trail.du cilrus pag. 277 e 282.

(6) Ann.d'AgrlcoU. de! regno Ila!, di Filippo Re, T. 19, pag. i9.

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Che poi gli aranci fossero coltivati in Toscana da antico lenfipo, si può rilevare dalla cronaca di Paolino di Piero (1), nella quale raccontando la congiura di Corso Donati del 1301, dice che gli sgherri di lui andarono alle case di ser Durante Pinzochero, vi naisero il fuoco e tagliarono il più bel giardino d'aranci e di cedri che insino allora in Toscana si fosse trovalo o veduto, che delle ramora si cuopri quasi tutto Firenze, che se colui che gli governava disse il vero, disse per conto erano fra grandi e piccoli 1388. Il numero delle piante saràesagerato, ma nondimeno dovevano essere adulte per la massima parte, e perciò piantate fln dal XIII secolo. Rilevasi pur anche che in Pisa nel 1329 vi erano gli aranci coltivati, trovandosi nominale le arance, i cedri e le lumie o limoni nel trattato di pace fra la lega Guelfa Toscana colla Repubblica di Pisa, nell'articolo de mercantiis deferendis, essendone proibita l'estrazione, insieme con altre vettovaglie, dal territorio di detta Repubblica. Come ancora nell’istromento fatto nel 1381 per la fabbrica del ponte di mezzo, si legge petium unum terrae cum domo... cum claustro, puteo, arancis, horto, pergula, et fruclibus. E questi sono documenti irrefragabili riferiti dal Tronci (2), che stabiliscono l'antichitàdella coltivazione in Toscana dei cedrati, e delle arance forti. In u'J istromento di vendita di terreni nel Pietrasantino, fatta allo spedale della Misericordia di Lucca nel 1406, dalla famiglia del Poggio di detta cittÀ, vi si trova notato unam petiam terrae campiae cum arboribus populeis et cum vilibus supra se, et cum arancis, avellanis ec. (3). Nel 1492 erano coltivali gli agrumi a

(1) MSS.in pergamena nella Biblioleca Magliabechiana, codice 2<jO della CI. V. a carie.82. Giov. Targioni-Tozzelti, Viaggi ec. T.C, pag. 418.

(2) Annali Pisani, pag. 362, 374, 373 e 453.

(3) V. Giov.Targioni-TozzeUi, Viaggi ec. T. i, p.i ;,'. il8.

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Fiesole, rilevandosi ciò dal padre Dod Malteo Rossi canonico regolare della Badia fiesolana, il quale dice che per il gran freddo, gli aranci, i cedri, ed i limoni si seccarono come bruciati dal fulmine (1). Ora da tulio questo si viene io chiaro, come fossero giàestesamente coltivate le arance ed altre sorta di agrumi in Toscana, che in allora si conoscevano, lo che più particolarmente doveva essere in Firenze e sue campagne adiacenti, dove la passione per Torticultura era grandissima, e dove al dire di Benedetto Varchi (2) verso la mela del XV secolo ci erano 138 fra orti e giardini. Il Del Riccio più di un secolo dopo, trattando delie arance, nel capitolo 15 della sua Agricoltura sperimenlale Mss., dice di volerle descrivere acciò, tutti sappiano le sorte degli aranci che abbiamo nella nobilissima cittàdi Firenze, mercè degli industriosi mercanti onorati nostri fiorentini, che quel che vedono di bello negli altri stali, con amor grande il conducono alla lor patria. E lanla era l'accuratezza nella coltivazione degli agrumi appresso i Fiorentini, che i! Ferrari in più luoghi della sua opera sugli agrumi (3). propone ad esempio quei metodi di coltivazione e di custodia per simili piante (4).

(1) Rossi, Opere varie edil. Jul. Arabrosini.piig. 283. Giov. Targioni-Tozzetli, Notizie sulla Storia delie scienze fisiche in Ti'sriina or. Firenze 1852, pag. i'MJ. Al tempo che Leandro Alberti viaggiava per l'Italia, cioè circa il 1325. erano nelia Badia di Fiesole diverse specie di Narenzi d» lui vedute, come dice, nella descrizione di lulta Italia, pag. 45. Venezia 1557.

(2) Islor. floreiit. Lib. 9.

(3) Besperides sive de malorum (turenrum cuUiva ec. Iloraae 16i6.

(4) Intorno ai varj giardini di Firenze ricchi di agrumi, vedasi la Memoria del professor Gaetano Savi sul c-lrus hislrix negli AHI dei Georgofili, T. 13, pag. 99. Anche Leandro Alberti Joccit. loda i giardini di Firenze.

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Questo geoio per gli agrumi, che sempre si mantenne in Firenze, dette occasione a raccogliere via via tutto le varietàdelle arance che si andavano conoscendo. Ed in quanto a quelle cosi dette arance forti, che furono introdotte nei nostri giardini, sappiamo da Agostino del Riccio (1), che le arance variegate o a liste gialle e verdi, chiamale vergate dal Ferrari (2), furono introdotte dal Granduca Francesco I, e coltivate nel suo giardino pensile che aveva fatto sopra la loggia dei Lanzi, dove egualmente ne era coltivata altra varietànuova a quei tempi, avente delle costole rilevate, la qualeè l'arancia stellata di alcuni, o scannellata di altri (3), e di cui un'altra pianta simile era conservata come raritànel giardino di Pier Vettorio St)derini, fuori la porta alla Crocc. Lo stesso Del Riccio nota alcune qualitàdi arance del giardino Gaddi di Firen/.e coinè nuove, ed a suo tempo introdotte, tna che non bene sono specificale, da potere riconoscere di che qua litàsiano ; e di altre arance fa pur menzione sotto il nome di arance asciutte, introdotte allora come nuove nella villa di Giovanni Bandini ai Paradiso fuori la porta a S. Niccolò, luogo che tuttora conserva il nome di Bamiino. Queste arance le dice di buccia grossa e scabra, buone per confettare, e di poco sugo agroamaro, e sembrano essere il cilrus aurantium cortice eduli del Linneo (4), non descritto dal Gommellino, nè dal Volkamer, nè dai Miller. Al tempo di Francesco I si deve riportare 1’introduzione nell'arancio nano della China a

(1) Agricoli. Sfierimetil.MSS V.il.l, carie 123 e 127.

(2) Hesperid. cc. pag. 329. V. Arancio variogalo luteo nella mia liaccoUa di fiori, frulli ed agrumi oc. Firenze 1823.

(3) Arancio scannellalo del Ferrari, Hesperid. pag. ÀŒ9T, ed ilGallesio, Trail.ilu cilrus pag. U 3. Vedasi il disegno a colori nella naia liaccoUa di fiori, frulli, ed agrumi ec., sollo il nome stesso di arancio scannellato ec. Ciirus bergnmia melwosa Risso.

(4) Spec. piantar, pan lOOl. Gallesio, Trail.du Cilrus, pag. 13(>.

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foglie di mirto, ciirus bigarradia myrthifolia Risso (1), come ce lo avverte ii Del Riccio (2) esprimendosi che questo arancio della China fa piante piccole come mortella spag nuota, li GAÀŒlesio (3) lo fa incognito air Europa fin verso la metàdel XVII secolo, forse attenendosi al Ferrari che ne pubblicò la descrizione nel 1646 (4) ; ma giàabbiamo detto come lo avesse conosciuto prima dell'anno 1596 il Del Riccio. L'arancio forte pavonazzo, o melangolo pavonazzo del Risso (5), varietàche si distingue per avere alcune foglie e fiori rossoviolacei, ed i frutti quando sono iramaturi violacei del pari, era a Parigi fino dall'anno 1738 circa. In Italia, al dire del Risso surriferito, non si principiò a conoscere che nel 1811, perchè il Gallesio ne portò delle piante, che coltivò a Finale nel Genovesato, e moltiplicò, e cosi le diffuse in molti altri luoghi. E qui vuoisi notare, come spettante alla serie di questi aranci, il Pompelmo o Pompa di Genova (citrus Decumana), originario della China e della Cocincina^ descrivendolo il Rumphio (6 ; col nome di limo decumanus pompelmoes, di grossissimo frutto quasi sferico, ma più per cariositàche per utilitàcoltivalo in alcuni giardini. Anche lo Sloane lo trovò nel 1687 coltivato alla Giammaica, e lo descrisse nei suoi Viaggi (7). Di questo parla il Clarici (8) dicendoci i Il Pompelmo i orientale, si crede trasportato in Europa, o dalla Viri gioia regno nel continente dell'America settentrionale,

(1) Hist. desOrang. p. 104, lab. 50.

(2) Agricoli, sperirn. MSS. Voi. 1. carie 12.3 e 124

(3) Trait. du ciirus. pag 134.

(4) ffespend.ec. pag.430.

(5) Hist. des orang. pag. 83, lab. 36 ; Duhamel, iNouv. ed. 2, Tom. 6, lab. 7, N." 34.

(6) Herb. Amboin. L. 2, c. 34, pag. 96, lab. 24, f. 2.

(7) A voyage lo Ihe Islands Barbadoes, T. 1, pag 41.

(8) Islor. e cullur. de Bori ec. pag. 730.

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i o dalle isole di lamaica e Barbade, doveè in copia i questo frullo, portatovi dalle Indie orientali da un uoi mo chiamalo Saddokj (Ghadock o Scaddeck secondo i altri), il nome del quale fu continualo in quel paese i a tale fruito (1). Da quale parte delle Indie orientali, i fosse trasportato in quelle d'occidente, nonè a noi i noto ». Il Rumphio che lo vedde coltivato in Aniboina lo credè trasportato ivi dalle parti più interne dell'Asia, ed il Loureiro lo dice nativo della China e della Cocincina, secondo che ho giàavvertilo. Ma verosimilmente, come lo suppone il Clarici, venne in Europa dall'America, dove vi era stato trasferito dai suoi luoghi originarj ; e io Swet (2) lo fa introdotto in Inghilterra nel 1724. Ma giàil Ferrari nel 1646 lo aveva de scritto e flgurato nelle sue Hesperides (3) col nome di aurantium maximum, avvertendo che si diceva essere stato mandato da Genova al giardino di Carlo Gardenas, presso Napoli. Il Tilli lo registra nelle piante del Catalogo dell'orto Pisano del 1723, ed il Micheli lo descrive nella sua opera Mss. inedita, che ha per titolo Rariorum plantarum ec. (4). Cosicchè abbiamo che in Italia, ed a Genova prima, e poi anche in Toscana, era questa specie d'arancio conosciuta avanti che lo fosse neir Inghilterra, ma non si sa nè quando nè come venutaci.

Una specie distinta di agrume, la qualeè riferita alla serie delle arance forti, siè il citrus hystrix del Decandolle (5), stato confuso col citrus limetta auraria

(1) Cosi asserisce il Pluchenn. Almagesl. boi. pag.230, ed altri ancora.

(2) Hort. Britmn. ed. 3, pag. 92.

(3) Pag. 437, lab. 439 e 441.

(4) Aurantium indicum maximum roiundum, cortice semiunciali pulpa acida dulci centro cavo. V. Ottaviano Targioni-TozzelU. Dizion. botan. T. i, pag. 120.

(5) Calai, plani Horti Monspel. pag. 97. Prodr. Syst.nat.veget. T.l, pag. 839.

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nel nuovo Duhamel, e dal Risso e Poifeau consideralo come una varietàdi questo. Decandolie lo ritiene come una specie a sè, e nel catalogo del giardino di Montpelier del 1813, ci informa di averne avuta una pianta nel 1808 dal Roland negoziante di Nirnes, al quale l'aveva portata dall'Isola di Francia un capitano di navc. Circa il 1825 fu questa pianta acquistata dal prof. Gaetano Savi per il giardino di Pisa, e quindi nel 1837, dopo che potè moltiplicarla ed averne anche i frutti, la descrisse meglio di ciò che era stato fatto da altri botanici antecedenti (1). Adesso questo agrume si trova nelle collezioni di tali piante in diversi giardini, maè più di curositàche di utilità. La buccia dei fruitiè tubercolosa, a solchi tortuosi,è d’odore acuto ; che non ha nulla degli altri agrumi, e 1’agro neè acidissimo, amaro, e partecipante dell'odore della buccia sua. Una altra specie nuova pur anche ne abbiamo, detta cUrus australis, la quale fu portata in Firenze dalla Germania nei 1838 dal Conte di Routurlin, per il suo giardino annesso al palazzo una volta Niccolini in via dei Servi in Firenze, della quale avutine dei nesti nel 1841 al giardino botanico dei Semplici, si potè moltiplicare per comunicarla ad altri giardini botanici, e tali sono quelli di Pisa, di Rologna, di Modena, e di Napoli.

Di altre qualitào varietàdi arance forti non faccio parola, perchè sebbene registrale da molti scrittori, si sa che esistevano nei nostri giardini fin dal XVI secolo in poi, ma non se ne trovano documenti o notizie positive, che ce ne facciano conoscere la loro provenienza ed introduzione in Toscana.

Le altre arance a sugo dolce, che costituiscono una specie distinta e diversa dalle forti, sotto il nome di

(1) Sul citrus histrix, Memoria ec, negli Alti dell'Accademiu dei Georgofiii, T.13, |)8g.93, con fig. litograt.

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citrus aurantium dulce del Linneo, e sodo quello semplicemente di cilrus aurantium del Risso, non si trovano rammentate altro che dal XVI secolo in poi, lo che prova essere di altra e più recente provenienza. Infatti gli aranci dolci sono originari della China, del Giappone, della Cocincina, e delle Isole del Mar paciflco ; e sulla loro introduzione in Europa abbiamo dati poco sicuri per stabilirne il quando, e per qual mezzo vi pervenissero. Taluni attribuiscono questo merito ad un portoghese, che da altri si vuole fosse Giovanni de Castro, il quale ritornalo dalla China nel 1520, ne portasse una pianta nel giardino del Conte S. Lorenzo in Lisbona, sotto Giovanni III re di Portogallo, la quale nel 1827 era sempre vivente e perciò aveva 307 anni (1).

Ma a tal proposito conviene riflettere, che giànel 1525 sussistevano a Siviglia molti aranci dolci assai grandi, e perciò piantativi molto tempo indietro, come racconta il Navagero Veneziano nel suo Viaggio in Spagna (2). Leandro Alberti, viaggiando nel 1523, parla nella sua Storia d'Italia (3) delle arance dolci trovate coltivate in vari luoghi, e particolarmente a S. Remo ed a Rapallo nella Liguria, a Sorrento, ad Amalfi, in vari luoghi della Calabria, della Puglia ec. Il Mattioli, nei suoi Discorsi su Dioscoride, parla degli aranci dolci, e lo stesso fa Agostino del Riccio, come piante non nuove, ma anzi da molto tempo indietro conosciute e coltivatc. Laonde da queste considerazioni si potrebbe arguire col Gallesio, il quale si appoggia ad altre ragioni ancora, che l'arancio dolce non venne in Italia all'epoca di Giovanni III per opera dei Portoghesi, ma

(1) V. Gallesio, TraiLclu Cilrus. pag. 297. Cibrario, Reiaz. di una missione in Portogallo presso il re Cario Alberto. Torino 1830.

(2) V. Gallesio, Trait.du cilrus, p ;\g.308.

(3) Descrizione di tutta Malia ec. Venezia 1587, pag.lO, 18, 174, 175, 191, 201, 215.

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ben molto prima, dovendosene allribuire questa importazione piuttosto al rinato commercio marittimo presso vari popoli Italiani coli’oriente, per opera delle prime crociate, e specialmente all'attivitàdei Genovesi, che divenuti potenli, commerciarono direttamente colle Indie orientali per la parte del Mar-Nero e del Golfo Persico. E difatti sappiamo essere stata questa la prima e più antica via, per la quale furono trasportate tante piante dalle slesse Indie, secondo che ce ne fa fede l'arabo Massoudy, essere avvenuto per l'arancio forte (1). Quindi non è improbabile che i Genovesi predetti, i quali già da remoto tempo facevano gran commercio dogli agrumi allora conosciuti, come rilevasi da vari documenti del XV secolo, estratti dall'Archivio di Savona e riferiti dallo stesso Gallesio, procurassero di condurre nel loro paese anche l'arancio dolce, che giàgli Arabi dovevano avere sparso nella Palestina, nella Siria, in Egitto ed in altri luoghi delle parti orientali. Questa introduzione delle arance dolci in Italia, il Gallesio perciò la fissa al XV secolo, attesochè nel secolo antecedente non erano conosciute in Europa, in molte Provincie della quale nel secolo posteriore, ne era giàeslesamente sparsa la coltivazione.

Per altro conviene rammentarsi che nello Statuto di Fermo del 1309 superiormente citato, si trovano notate colle arance forti, anche le dolci ed i limoni, lo che porterebbe alla conseguenza, che anche prima del secolo XV fossero state conosciute e coltivate in Italia. Polrebbersi per altro conciliare le diverse opinioni, col considerare che le arance di Portogallo, secondo il Clarici, appariscono di due varietàdistinte, delle quali una propriamente detta di Lisbona anche dal Ferrari, perchè di làvenuta in Italia, e questaè originaria della China

(1) V. Gallesio, (rail.du cilrus piig.Slo.

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da dove fu portata id Lisbona ; l'altra varietÀ,è propriamente detta di Portogallo dal Glarici, trasportataci dal Brasile, cosicchè queste potrebbero essere state trasferite direttamente in Portogallo, assai più tardi che l'altrv arancio dolce comune, venuto il primo dall'oriente, dopochè dalle Indie vi fu portato dagli Arabi, Ma devesi anche considerare che forse originariamente, o dalla China, o dalle Indie, comunque venute in Europa, o per la via dell'Oriente o di Ponente, possano essere variate per la loro qualitàapparente, e reale bontÀ, a seconda che si sono trovate coltivate in Portogallo, in Malfa, in Sicilia o in altre parti meno calde dell'Europa. In Toscana nel XVI secolo si avevano giàda qualche tempo le arance dolci comuni apprezzate e slimate, come lo attesta il del Riccio (1), il quale anche parla delle altre arance dolci di Portogallo, lodandole sull'asserto altrui, e dicendo che sarebbe laudevole cosa far venire due piante di questa sorte in vasi alla cittàdi Firenze, si potrebbe far venire dei suoi rami, anzi semi (2). Probabilmente questaè quella varietàdelta arancio fine della China, analogo a quello di Portogallo, ma di buccia più sottile e liscia. Il Micheli poi nel suo manoscritto Rarior. plani, ec. Voi. 9, dàmolte varietàdi arance dolci di Portogallo, coltivale in allora nei nostri giardini.

L'arancia di sugo rosso o sanguigno, non è rammentata dal suddetto Del Riccio, cosicchè non era allora conosciuta in Toscana. Il Padre Ferrari ne parla per il primo nelle sue Hesperides ec. stampate a Roma nel 1646, e successivamente il Tilii nel catalogo delle piante del Giardino di Pisa (3), ve la registrò, facendo avvertire

(1) Agricoli. speriraenl.JlSS. Voi. 1, carte 128,

(2) Agricoli. sperimenl.MSS. Voi t, carie 130.

(3) Calai, pimi. Ilo ili Pisani p.ig. 2l.

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che questo arancio di sugo rosso, fu fatto venire di Provenza, dove ne era una sola pianta, per ordine di Cosimo IH, e coltivalo nei giardini di Boboli, e dipinto in uno dei quattro quadri della R. Villa di Gareggi rappresentanti gli agrumi ; ed il Micheli io descrisse nella sua opera manoscritta inedita Rariorum plantarum ec. sotto il nome di Aurantium hyerocunticum, cortice teneriori, medulla dulci rubente (1).

Di una recente introduzioneè l'arancio Mandarino, venuto dalla China in Inghilterra pel 1805, di qui trasferito a Malta dagli stessi Inglesi, e poscia in Sicilia. Il Marchese Ruffo, verso il 1816, da Palermo ne fece trasportare la pianta a Napoli, nel Suo giardino di Capo di Monte, dove era una superba collezione di agrumi, e di li poi se ne moltiplicò, e se ne sparse la specie in molti altri giardini d'Italia. In Firenze venne a mio Padre per il Giardino botanico agrario dei Semplici, una pianta di questo nuovo agrume, dalle Isole Borroiiiee, col nome di Citrus Mandarinus, verso il 1824, e questo fu il primo in Toscana, dal quale per via di nesli fu propagato ad altri giardini. Verso il 1844 da Napoli direttamente ne venne una pianta al giardino del Conte della Gherardesca, dove presto fu moltiplicato, ed a quello del Museo di Fisica e Storia naturale vennero alcuni individui da Palermo direttamente, ora sono pochi anni, i quali sono perfettamente eguali a quelli del Giardino dei Semplici, ma i frutti di tutti questi indi-

(1) Il Gallesio (Trail. da c<L i> ;ig. 137), inclina a credere che il Rumphioed il Kaempher, i quali indicano alcuni agrumi cum medulla vinosa, abbiano forse compreso fra questi il presenle arancio di sugo rosso, di cui il Micheli ne dàdue varietà. Ma il Kaempher nelle sue amoen. ca ;'i<.pag.SOl, descrive un lin^iine del Giappone, e non un'arancia sotto il nome di Kdz, vulgo latz banna, malus limonia fruclu rolundo parvo, michan diclo medulla vinosi saporis. El il Kuraphio egualmente intende sempre del sapore vinoso, e non del colore, negli aranci che descrive.

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vidui non sono mai venuti ad una cosi perfetta maturazione come io Sicilia, per difetto del clima.

Il Rumphio (1) descrive questo mandarino indicandone due varietÀ, delle quali una di fruiti più piccoli e compressi da ambedue le parti superiore ed inferiorc. L'altra ha i frutti un poco più grandi con una piccola protuberanza al peduncolo, prope pedunculum iuber ^ e questa di lui descrizione e figura, quadra benissimo ai mandarini che abbiamo in Firenzc. Di più gli fa originar] della China. Fin dal principio che fu trasferito questo mandarino a Londra, fu creduto essere il citras nobilis di Loureiro, ma il Prof. Tenore studiando i caratteri botanici del Mandarino venuto di Palermo a Napoli, potè presto convincersi essere cosa differente, e fu per questa ragione che lo considerò come specie distinta chiamandola ciirus deliciosa (2).

I limoni furono confusi per un tempo coi cedrati, dai quali si credevano prodotti per innesti fatti sopra altre piante, e furono reputati essere i pomi delle Esperidi. Altri poi, come il Nocca, pensarono male a proposito che fossero il malum medicum di Virgilio, come giàsuperiormente ho detto. Questo genere di agrumi colle moltiplici sue varietÀ, appartiene alla specie botanica detta Ciirus medica limon da Linneo, e Ciirus limon dal Risso, e sono di un'introduzione presso di noi un poco posteriore a quella delle arance forti. Infatti i due scrittori Arabi Damasceno ed Avicenna, di sopra ricordati, trattando delle arance, non fanno parola dei limoni, i quali invece si trovano per la prima volta indicati da altri due scrittori arabi del secolo XIII, cioè da Abenlibur nel suo Trattato dei limoni, tradotto dall'Arabo

(1) Herb. Amboin. T. 1, L.2, c. 47, pag. 113.tab. 34.

(2) Tenore, Mem. sull'iirancio mamliirino, letta nell'lstil. d'incoragg. di Napoli nel 20 Aprile 1840.

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in Latino, da Andrea Alpago, e stampato a Parigi nel 1602 (1), e da Ebn-Beilar, nel suo Dizionario dei medicamenti semplici (2). Abbiamo giàdetto che Giacomo de Vitry trovò in Palestina, insieme colle arance ed altri agrumi anche i limoni, i quali si vuole fossero ignoti a quel tempo in vari paesi dell'Europa, ma non lo erano bensi in Italia. Il Gallesio (3), opina che dalle parti delle Indie al di làdel Gange e dell'Indo, dove sono spontanei, fossero tratti fuori e coltivati successivamente nella Siria, nell'Egitto, nella Palestina, da dove poi passarono in Sicilia. Ugo Falcando infalli, che scriveva le gesta dei Normandi verso il 1260 in detta Isola (4), indica oltre le arance forti, anche le lumie o limoni, come vegetabili di un genere particolare, nel ricordare la fertilitàdei contorni di Palermo, videas et lumias acetositate sua condiendis cibis idoneas. Matteo Sylvatico (5), lodando le virtù medicinali dell'agro dei limoni, dice che le donne di Nizza e del Piemonte ne facevano uso coll'olio, per le verminazione dei bambini, e cosi fa conoscere che i limoni vi erano coltivati fin dalla metàdel XIII secolo in cui scrissc. Contuttochè adunque fin da quell'epoca i limoni fossero cominciati a coltivarsi in qualche luogo d'Italia, non sembra che fossero cosi estesi da per lutto come lo sono adesso. In riprova di che si faccia attenzione che Pier Crescenzio, il quale parla dei cedrati, nulla dice dei limoni. Peraltro a poco a poco dovette la loro coltivazione estendersi, e quindi anche aumentarsene il numero delle varietà.

(1) V. Habelol, in Bibl. Orient. pag. 99.

(2) Tradollo dall'arabo in lutino da Andrea Bellunense, e slanoj) ;!(0 a Parigi nei 1702.

(3) Trail. du cilrus, pag. 194.

(4) Hist. de reb. gesl. in Sicil. regno ec., pag. 13.

(5) Pandecl, medie, pag. i2S. 28

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lo Toscana non sappiamo quando i limoni fossero inlrodolli, ma in un trattato di pace fra i Guelfi ed i Pisani dell'anno 1329 (1), vi sono nominati i cedri, e le lumie o limoni, siccchè parrebbe che si potesse almeno riportare la loro introduzione a quell'epoca, o anche a un tempo un poco anteriorc. Egliè però certo che atteso la smania che avevano i Fiorentini d'importare nella loro patria le frutte ed i fiori più pregiabili, non avranno indugiato a procacciarsene via via quelli, che nei varj paesi trovavano più nuovi e più particolari. Agostino del Riccio ci ha lasciato memoria, non solamente delie varietàdi cedri e di arance coltivate giàa suo tempo, ma quella eziandio di molte razze di limoni, nominando fra questi le lumie di Spagna, il limon cedrato, il ponzino dolce tondo, il limone da premere, o il nostro fiorentino, cosi detto anche di giardino, gratissimo per il suo odore e per il gustoso agro, preferito a fare le limonale ; i limoncelli di Napoli, il limone di Gaeta, i limoni a ciocche, grandi e piccoli ec, dal che si vede come giànel secolo XVI fossero tanto comuni fra noi alcune varie sorta di questi agrumi. Fra i qualiè da avvertire che il limone spadafuora o spatafora (2), e la lumia di Spagna, erano stati portati di nuovo a! tempo del ridetto del Riccio, nel modo che egli stesso ne fa fede (3). Bisogna anche ricordare il limone Barbadoro come di nuova razza, stato descritto dal Ferrari, il quale limone fu fatto venire in Firenze e coltivare nel suo giardino a tempo di Cosimo I, da uno della famiglia Barbadori da cui prese il nomc. Furono anche in seguito conosciuti altri limoni come nuovi, con i nomi dei proprietari, nei giardini

(1) V, Flamin. dal Borgo, Scelli diplorai Pisani, pag. 473.

(2) Secondo il Ciarici (Isl. e cult, delle piante pag. 686), fu cosi chiamalo da una nobilissima famiglia Siciliana di lai nome.

(3) Agric. Speriment. MSS. voi. 2, carie 370.

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dei quali si produssero, che il Clarici ha descritti. Cosi il limoDB ballottino o pusilla pila, nacque in Liguria, il limone da Rio ebbe origine in Roma ne'giardini della famiglia Pio, e fu detto Rio, perchè nacque la prima volta presso un rio. Il limone donna Laura, ebbe il nome di una dama napoletana, nel giardino della quale primieramente allignò. Il limone Pero Soncino, da un castello di Lombardia. Il limone rosalino cosi detto da Girolamo Rosalino bergamasco, nel cui giardino, portatovi da Reggio di Calabria allignò. Il limone Barberino, perchè ha avuto origine nei giardini della casa Barberini di Roma, e tanti altri dei quali troppo lungo sarebbe il dire, e che il Glarici registra nella Parte IV, Lib. 5. della sua più volte citata opera. Sono questi tutti nuovi acquisti dell'epoca presso a poco del secolo XVII e XVIII, secondochè ciò può rilevarsi ancora dal Micheli, il quale nella sua opera MS. Rar. plantarum, dàun lungo catalogo di quelli veduti da lui coltivati in Toscana e fuori. Lo che serve a dimostrare nel modo che più volte siè dettoi^ come si moltiplicassero le varietàe sottovarietàsecondo i climi e colture dei diflferenti paesi. Edè qui da dirsi, che tutti gli individui della famiglia Medicea furono vaghi di accrescerne le loro collezioni, come ne possono fare testimonianza quattro grandi quadri in tela che erano alla villa R. di Gareggi, ed ora al R. Museo di fisica e storia naturale, nei quali sono state dipinte per mano del Bimbi e dello Scacciati, 116 specie e varietàdi ogni sorta di agrumi (1), e fra questi moltissimi limoni, i quali come nati nei giardini medicei, furono descritti da Piero Antonio Micheli ; e poi queste descrizioni pubblicate nel

(1) Il catalogo degli agrumi dipinti in questi quadri, può vedersi nel Laslrl, Corso di agricoltura, T. S, pag. 208, e nel Lunario dei coniddini del medesimo per l'anno 1776, pag. 14. Anche il Micheli lo riferi nella sua opera MSS. Rarior. piantar. ec.

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Dizionario botanico italiano di mio padre, la di cui seconda edizione vedde la luce nel 1825. E qui per terminare di dire dei limoni, non debbo passare sotto silenzio altre quattro nuove varietàdi tali frutti provenienti dall'isola di Scio, importali in Toscana fln dal 1847, dal signor Emanuelle Rodoconacchi insieme col cedro di Scio, superiormente rammentato (pag. 202). Una di queste varietÀè un limone dolce di sugo, e che si mangia comunemente in Grecia. Un altroè parimente un limone dolce tondo, di scorza odoratissima, che in Grecia le signore tengono in mano per profumo, se ne lavano le roani, e del sugo dolce ne fanno limonate e bevande graziosissimc. Àˆ questa una bella pianta sempre piena di molti fiori bianchi aggruppati in capolino, e di molti frutti, che fa bella mostra di sè nei giardini. Una terza varietÀè il limone frappa, di frutto grosso, di sugo non servibile, ma di scorza gialla odorosissima ed ottima a fare canditi e conserve, tihe riescono assai delicate e gustose ; e perciò questo limone in orienteè molto ricercato e di prezzo. Finalmente una quarta qualitÀ, che sembra un ibridismo di limone e di arancia, detta perciò arancialimone, ha il sugo giallastro, agretto ed odoroso che lo fa ricercare per farne bevande rinfrescative, ed anche per la scorza colla quale ne formano eccellenti canditi e conservc. Questi diversi limoni furono presentati all'esposizione di giardinaggio e di orticultura fatta in Firenze nel 1852, e della loro introduzione fra noi ne dobbiamo esser grati al lodato signor Rodoconacchi stabilito in Livorno come ho giàdetto.

Il pomo di Adamo appartiene secondo il Gallesi© alle lumie o ad un ibridismo di cedrato e di arancia ; ma comunque sia si è un agrume dei più anticamente conosciuti, e forse anche fin dall'epoca dei cedrati, con alcuna varietàdei quali potrebbe essere stalo confuso, come più recentementeè stato fatto, sbagliandolo con il

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Pompelmo, specie di arancia. Marco Polo vedde il pomo d'Adamo in Persia nel 1200, e lo nominò laysamù e zambau, e giànoi abbiamo detto come Giacomo de Vitry nel XIII secolo lo rammenti fra gli altri agrumi da lui veduti nella Palestina, ove andò colle Crociate, e come sia ricordato questo agrume anche nello statuto di Fermo del 1379. Gli arabi Ebn-Alvas, ed Ebn-El-Awam, e Matteo Sylvatico, lo notano sotto varj nomi (1): ne parla padre Agostino del Riccio, il Mattioli, Agostino Gallo, e poi tanti altri scrittori botanici più recenti, dal che si vede come era fin da antico tempo comune ne'giardini nostri questo agrume, venutoci probabilmente insieme coi cedrati.

Un altro agrume particolare per il suo frutto, cheè odorosissimo e ricco di molta essenza nella sua scorza,è la cosi detta bergamotta o (citrus medica bergamium)^ che alcuni vogliono della razza dei limoni, altri delle arance, e che il Gallesio considera come un ibridismo di tutte duc. Nonè impiegata la bergamotta che per estrarne la ridetta essenza, della quale se ne fa molto uso nella profumeria. Il Ferrari non parla di questo agrume, cosicchè parrebbe che a suo tempo non fosse stato in Italia. Il Voickaeraer lo descrive (2), ma fra i nostri Toscani del secolo XVI non lo trovo indicato, nè da Agostino del Riccio, nè dal Mattioli. Rensi nei quadri d'agrumi dei giardini medicei, dipinti dal Rimbi e Scacciati esistenti al Museo di fisica e storia naturale superiormente rammentati, vi si trova effigiato questo agrume, col nome di pera bergamotta, razza d'arancia, dal che si potrebbe ritenere che fosse stato introdotto in Toscana sotto Cosimo III. Il Clarici che mori nel 1725, lo lasciò descritto nella sua opera Istoria cultura delle

(1) V. Gallesio, Trail. du citrus, pag.l39.

(2) Hesperid. Norimberg. L. 3, c. 26, pag. 185, lab. iSfiG.

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piante, che fu stampata dopo la di lui morte ; ed il Micheli, quasi contemporaneo del Glarici, nota nel suo più volte citato MSS. questo agrume, col nome di mela bergamotta, la quale non pare che fosse allora molto comune, ma da lui vista nel giardino dei Marchesi Niccolini in via dei Servi.

Dalle tre principali qualità di agrumi, cedri, arance e limoni, dei quali siè tenuto discorso, se ne sono formate poi tante varietÀ, spesso ibride per ragione di promiscuata accidentale fecondazione, di luogo e di clima, di cultura, o di altre accidentalitÀ, come notò anche il Rumphio(l), dicendo, che tante sorte di agrumi in Europa variant per arlificiosam culturam, oculatiomm, et insilionem, cosicchè nonè possibile tener dietro alla storia della loro comparsa, e delle loro trasmigrazioni da un paese all'altro, e perciò neppure della introduzione loro in Toscana. Molte di queste varietàsi sono appunto formate in certe localitàper mezzo di fecondazioni promiscue, come ho detto, e queste si sono poscia diffuse col nome de! paese nel quale si produssero. Cosi il cedrato di Gandia, di Corfù, di Firenze, di Genova, di Salò ec ; l'arancio di Portogallo, di Malta, di Palermo, di Genova ; il limone di Galabria, di Amalfi, di Gaeta, di Portogallo, di Salerno, di Savona, di S. Remo ed altri, sono varietàformatesi per caso nelle respettive localitÀ, e cosi hanno accresciuto la serie di queste piantc. Della qual cosa ne abbiamo più manifesta prova in certe particolari qualitàdi questi agrumi, di alcuni dei quali abbiamo parlalo, come per esempio delle arance listate, ed altre moltc. Ma più singolare poi abbiamo questo ibridismo in quell'agrume, che appunto dalla strana sua costituzione,è stato detto bizzarria.

I frutti di questa, pianta sviluppatasi per caso dal seme nel giardino della casa Pianciatichi fuor di Firenze,

(1) Herb. Amboin. T. 1, L. 2, e 40.

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in luogo detto la Torre degli Agli, nell'anno 1644 circa (1), sono un miscuglio di limone, di cedro e di arancio, e questi sono i più perfetti ; talora sulla stessa pianta ve ne sono di semplice limone o arancia o cedrato, altri misti d'arancia e di cedro, o di limone e d'arancia, o di limone e di cedro (2). io non starò a dire la sorpresa che produsse questo bizzarro accozzo di tre specie di agrumi sulla medesima pianta, anzi sul medesimo fruito, nè le varie opinioni emesse in allora per spiegare il fenomeno. Sul qual proposito molte cose dissero e si credettero bizzarre quanto il frutto medesimo (3), fino a tanto che non si venne in chiaro, che la casuale fecondazione dei pulviscoli promiscuati delle tre specie di agrumi, aveva potuto produrre un ibrido, capace di rappresentarle nei suoi frutti (4). Ben presto moltiplicata la bizzarria per innesti, si estese ovunque, ed oraè coltivata e conosciuta in quasi tutti i giardini (5).

(1) La famiglia, cui il detto giardino apparteneva ed appartiene sempreè Pancialichi, e non Pandoiflni, come per un equivoco scrisse il professor Gaetano Savi nelle sue Notizie per servire alla storia del giardino di Pisa, pag. 25.

(2) V. la mia Raccolta di fiori, fruiti ed agrumi, Firenze 182S, dove è dipinto dal vero un ramo con sopra tutti questi frulli svariali.

(3) P etri Nati Florenl. phylologica observ. de malo limonio cilra^ lo, vulgo la Bizzarria. Fior. 1674. Maoni, De (lorent. invenlis, cap.iS, pag. 33 ; Clarici, Storia e cult, de! fiori, pag. 762 ; Risso Hist. des orang. pag. 107.

(4) Vedasi a questo proposito il metodo per fare le semente dei fiori, ed in parlicol. quello dei garofoU di Gius. Piccioli, Firenze 1788. Dove trattasi del modo di fare la fecondazione artiflciale per avere anche la bizzarria.

(8) Il Risso (Hist. des orang. pag, 107) osserva clie la bizzarriaè stata ottenuta casualmente anche altrove, poichè taleè Vauranlium callosum multiplex del Ferrari, pag. 407, ed altre simili descritte neU'Hist. de l'Acad. R. de Paris 1711, pag. 57 e 1712, pag. 52 ; e dice anche che La Pipe giardiniere del Duca d'Orleans sotto la reggenza di Luigi XV, aveva delle arance di due, di tre, e fin di cinque qualitàdi frutti in uno. Anche il Vallisnieri, nella Relazione di

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vari mostri ec. pag. 207, tav. Il, riporta un abizzarrla di limone e cedralo analoga al limone calloso detlo di sopra.