Piante da fiori d'ornamento (Targioni-Tozzetti, Cenni)

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Alberi da ornamento
Targioni-Tozzetti, Antonio, Cenni storici, 1853
Introduction


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§. XV. Delle piante da fiori d'ornamento.

I fiori che colla vivacità del loro svariato colorilo, sembrano destinati a rallegrare l’intera natura, sono stati fin dalle più remote etÀ, e dalle stesse più rozza e selvaggie nazioni, sempre ricercati e valutati come un vago e festevole ornamento, nel quale trovano conforto le più soavi passioni dell'animo.


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Per altro i fiori, i quali spontaneamente ofiTriva la terra, erano i soli cercati nella semplicitàdelle prime popolazioni, nè l'artificiosa cultura di questi fu praticata, come nei tempi posteriori, nei quali sviluppandosi via via l'incivilimento dei vari popoli, fu trovata bella anche questa parte di coltivazionc. Ed infatti noi possiamo vedere da quello che ho esposto sulle varie specie di ortaggi e di frutti, e da quello che si può rilevare dalle flore di Virgilio, di Plinio e di altri, eruditamente spiegate dal Fée e da vari meno moderni scrittori, come specialmente presso i Greci e 1 Latini incominciasse, prima l'uso di coltivare piante utili per i loro prodotti eduli, e come il lusso dei giardini da fior! di semplice diletto, venise assai più tardi, ed in tempi anzi molto più a noi vicini. Risale effettivamente questo desiderio di avere oltre i frutti anche i fiori di delizia, ad un'epoca non più lontana dei tre ai quattro secoli addietro, nel corso dei quali andando progressivamente sempre più in aumento,è divenuto oggidi quasi direi un vero furore.

La scoperta di nuovi paesi dell'altro emisfero, e la facilitata navigazione avvenuta ai nostri tempi, sono stati i mezzi per cui si sono importate e s’importano giornalmente, immense qualitàdi differenti piante, l'una più vaga dell'altra, e delle quali perciòè troppo difficile, al tempo che corre, conoscere la precisa epoca di loro introduzione, perchè troppo simultanea e senza interruzione.

Rosa

Quindi è che limitandomi alle sole più antiche o più comuni piante fiorifere, che ebbero cura i nostri Italiani, e più specialmente i Toscani di far venire nel loro paese, comincerò dalle rose, piante che formano il tipo della famiglia delle Rosacec. i La rosa, come disse il Clarici (1) corteggiata da

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(1) Stor. e colt. delle piante, pag. 5G9.


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i tutte le più nobili famiglie dei flori, comparisce nel i suo odoroso trono la lor regina, la più bella produi zione della terra, la decorazione dei più belli mesi i dell'anno, la primogenita della primavera » ; e perciò non fa meraviglia se questo fiore fu sempre apprezzato e quasi dirò venerato fin dalla più remota anticbità(1). E tuttociò può a ragione dirsi della generalitàdelle rose, fra le quali le tante specie, varietÀ, sottovarietÀ, ed ibridismi oggi coltivate, sono di un infinito numero. Quella peraltro più anticamente conosciuta, e che più frequentementeè nominata da Virgilio, da Plinio, e da altri della latinitÀ,è la Rosa centifolia, la quale noi diciamo bottoni di rose, di cui ignoravasi la patria originaria, ma che Ambrogio Rau (2) dice essere la Persia settentrionale, e questa fu importata in Grecia ed in Italia da tempo immemorabilc. Da questa specie primitiva se ne sono formate coU'andar del tempo numerosissime varietÀ, che si coltivano nei nostri giardini, le quali dal Decandolle (3) sono indicate in numero di 21, come anche dall'Aiton (4) e dal Redoutè (5) ; e dalle quali pur anche ne sono derivate non poche altre sottovarietÀ, spesso per ibrida fecondazione, come lo avverte anche il Savi (6). Fra le quali principali varietÀ, noteremo la rosa bipinnata, che compari nel giardino di Dupont a Parigi verso il 1807, e fu questa mostruositàdelle foglie, resa stabile cogli innesti. In Toscana venne di Francia al giardino di Pisa la prima volta nel 1816.

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(1) Intorno a ciò vedasi l’Histoire de la rose chez les peuples de l'anliquilè, et chez les modemes, descripl. des especes cuUiv. proprieles eic. per le Marquis de Chesnel. Toulose 1820.

(2) Enumerai rosarum circa Wircenburgam el pagos adiacenl. sponle crescerli. Norlmbergae 1816, 12."

(3) Prodr. syst. rial, vegelab. T. 2, p. 619.

(4) llorl. Eewens. ed. 2, T. 3, p. 262.

(5) Les roses avec le lexle de M. Thory. Paris, 1817, 1821, 1824, tre voi. in f." con lav. color.

(6) Flora ilaliana, T. 1, pag. 63.


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La rosa lattuga (R. centifolia bullata) di cui devesi al citato Dupont la introduzione in Francia. La rosa borraccina o muscosa di fiore roseo pieno, che dal Redoutè (1)è detta Rosa muscosa multiplex, edè da esso, del pari che da Linneo ritenuta per varietàdella centi/bh'a. Anche il Wildenow (2) per quanto la indichi come specie, la riguarda nondimeno prodotta da un bastardume della Rosa provincialis, nel modo che opina anche l'Andrew (3), il quale anzi pretende che sia originaria dell’Inghilterra ; ma ciòè messo in dubbio dai Redoutè, e dal Roessig (4), il quale ultimo diceche si trova sulle Alpi. A Londra vi era coltivata fin dal 1724 da Roberto Furber, come lo assicura l'Aiton. Era conosciuta nei nostri giardini da molto tempo, ma si era quasi perduta, e da una trentina e più di anni circa, di nuovo ricoltivata da per tutto (5). La varietàbiancaè sempre rara, e venne circa l'anno 1820 in Toscana, essendo stata fatta conoscere a Londra prima che altrove, dallo Schailler giardiniere inglese nel 1800 circa, e siè creduta un bastardume della detta rosa muscosa e della nivea.

Anche la rosa maggese (rosa gallica), originaria della Francia, dell'AIemagna e di altre parti dell'Europa, ma non dell’Italia, ciè stata importata da moltissimo tempo addietro, poichè a questa si deve riferire la rosa praeneslina di Plinio (6), e forse anche la sua rosa cartaginensis o di Cartagena, e la milesia del pari. Oltre a ciò il Rauhino riporta anche ad altra va-

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(1) Les roses, T. 1, pag. 4l.

(2) Species piantar. T. 2, P. 2, p. 1074.

(3) Roses, or a monography of Ihe genos rosa e(c.

(4) Les roses dessin. et enlura. d'apres nature, Irad. de l'alieraand par Lahitle, N.° 6.

(5) Ved. per questa rosa la mia Raccolta di fiori, fruiti, ed agrumi cc. Firenze 1823, folio.

(6) mst nat. L. 21, c. 4.


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rietà della gallica, la trachinia dello stesso Plinio (1). Di questa rosa maggese o di Provenza, se ne trovalo numerose varietÀ, che il Decandolle (2) fa ascendere a dodici prÀŒDcipali, e delle quali parimente non poche ne cita il RedoulÀ³ (3) ; ma poi anche da queste se ne sono forniate tante altre sottovarietÀ, che Ggurano con differenti nomi nei nostri giardini. Fra le quali merita che se ne ricordi una detta rosa nera, poichè di un colore rosso pavonazzo molto cupo, che il Savi chiama rosa nera de’Bardi [rosa (jallica holosericea), perchè venne di Francia la prima volta a Firenze per cura del Conte Piero de’Bardi circa al 1800 (4), e che probabilmenteè una varietàdella rosa gallica purpurea violacea, o rosa d'Olanda del Redoutè (5). Alla rosa gallica appartiene anche altra varietÀ, di fiori listati di rosso e di roseo» detta dal Redoutè rosa gallica versicolor, e da noi rosa variegata, o brache di lanzo. La rosa damaschina (rosa damascena)è ricordata da Plinio col nome di rosa cyrenaica, ed a questa stessa specie, o ad una sua varietÀ, pare che appartenga la rosa Irachinia dello stesso autore qui sopra citato. Trovasi la rosa damaschina nelle contrade dell'Europa meridionale, ma non in Italia, dove però viè stata importata da molto tempo ; ed il Padre Agostino Del Riccio più volte la nomina di fiore doppio e scempio nella sua Agricoltura teorica MSS. Il Poiret (6) la crede provenire dalla rosa alba, ed altri da una bifora, ma il Redontè rifiuta ambedue queste opinioni (7). Di questa pure se ne hanno molte varietÀ, dal Decan-

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(1) Per queste rose degli antichi, ved. il Clerici, Ist. e cult. delle piante, pag. 571 e seg.

(2) Prodr. Syst. nat. veget. T. 2, p. 603.

(3) Los roses, eic. T. 2, p. 73, e 74.

(4) Fiora italiana, T. J, p. 87.

(5) Les roscs, olc. T. 2, p. 2.

(6) Encyclop. botan. T. 6, p. 291.

(7) Les roses. T. 1, p. 63.


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dolle (1) date in numero di settc. Il Redoulè ha una rosa damascena italica, che il Diipont ebbe da Firenzc. Alla nostra rosa alba vuoisi dal Decandolle che corrisponda la rosa bifera di Pesto, indicata da Virgilio (2) da Ovidio (3) da Marziale (4), ed eziandio la campana di Plinio ; ma il Fée (5) non lo accorda, perchè la rosa alba non fiorisce due volte ; ed il Tenore (6) non avendo trovato mai a Pesto rose bifere, pensa che Virgilio e gli altri, abbiano voluto parlare di alcuna rosa coltivata, che fiorisce due volte l'anno, e che forse potrebbe dubitarsi che fosse una delle damaschinc. Anche la rosa alba, ha molte varietÀ, e la rosa incarnata a fior doppio neè una. Questa, sappiamo dal Padre Agostino del Riccio, che in Firenze ci pervenne a suo tempo, ma non dice da dove ; ed in altro luogo ripete che le rose incarnate doppie di foglie, hanno odore come le prime, cioè le scempie che si stillano. Àˆ poco tempo che le ho vedute in Firenze, e che giàper mia mano ne ho fatto di esse parecchi nesti a occhi (7).

Sono poi di moderna introduzione molte altre rose fra noi, poichè la rosa semper florens, nativa della China e del Bengala, dal che fu detta ancora Benghalensis, ed ora straordinariamente comune da per tutto, ci dice il Colla (8) nel 1813, che in Italia era coltivata da non molti anni, e presso a poco dice lo stesso il Savi, scrivendo cinque anni dopo (9). Lo che reca maraviglia, poichè era giàstata introdotta da Gilberto Slater in In-

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(1) Prodr, Sysl. nat. vegel. T. 2, p. 620.

(2) Georg. L. 4, v. 119.

(3) De Ponto, Lib. 2, Eleg. 4.

(4) Lib. 6, epigram. 80.

(5) Flore de Virgile, pag. 144.

(6) Osservazioni sulla Flora Virgiliana. Napoli 1826, pag, 17 = tf

(7) Agricoli, teorica MSS, carie 203.

(8) A-nloiegist. botan. T. 4, p. 720.

(9) Flora Italiana, T. l, p. 63. 35


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ghilterra fino dal 1789 (1). Questa dal Seringe (2) e dal Redoutè (3)è considerata come una delle tante varietàdella rosa indica. Alle quali varietàparimente appartiene fa rosa thea, la quale venne a noi in Toscana dalle Indie orientali, quasi contemporaneamente o poco dopo alla rosa semperflorens (4).

La rosa multiflora, che sale molto e fa belle spalliere, colle ciocche di fiori a corimbo o a mazzetti, e della quale ne sono alcune varietÀ,è parimente di nuovo acquisto, importala nel 1804 in Inghilterra dalla China e dal Giappone, di doveè nativa, per opera di Tommaso Evans (5), in Francia nel 1808 portatavi da Boursault, ed in Toscana nel 1814 (6). La rosa noiseltiana fu cosi chiamata in onore di un fratello di Noisette, gran coltivatore di piante, che la trovò negli Stati Uniti d'America (7). 11 DecandoUe (8) la ritiene per una varietàdella rosa indica, il Redoutè (9) per un ibridismo della rosa moschata e della benghalensis ; ed il Savi (IO) per un bastardume della rosa thea. La rosa Banksia (rosa Banksiae) nativa della China, fu di làportata in Inghilterra nel 1807. A Parigi fiori per la prima volta nel giardino di M. Noisette nel 1819. Introdotta verso quel tempo in Toscana, fiori nel giardino botanico di Pisa nel 1822, e questaè quella di fiori bianchi ; la varietàdi fiori gialli ci venne qualche anno dopo.

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(1) Aiton, Hort. Kewens. 2 ed. T. 3, p. 266.

(2) In Decandolle, Prodr. Syst. nat. veget. T. 2, p. 601.

(3) Les roses, T. 1, p. 51.

(4) Savi Fior, italiana, T. 2, p. 17.

(5) Ailon, Hort. Eew. ed. 2 T. 3, p. 265 ; Redoutè, Les roses. T. 2, p. 67.

(6) Savi Fior, italiana, T. 1, p. 63.

(7) Le bon jardiDier. Alman. pour l'an. 1823.

(8) Prodr. Syst. nat. vegel. T. 2, p. 600.

(9) Les roses, T. 2, p. 77. *

(10) Fior, italiana, T. 3, p. 18 ; e Append. al Trattato degH alberi, p. 71.


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La rosa moschata, nativa della Barberia e delle Indie, ha diverse varietàa fiore scempio e doppio, registrate dal Redolite (1). Da questa nell'Oriente ne cavano colla distillazione l'olio essenziale (2), edè da molto tempo stata introdotta nell'Inghilterra, dove era conosciuta fin dal 1596. Ed in Toscana pure ciè nota da moltissimi anni.

Tutte le predette rose ed altre, hanno gran quantitàdi varietÀ, che troppo lungo sarebbe a dire, essendomi contentato di richiamare l'attenzione sopra alcune delle più comuni specic. Peraltro volendo una maggiore informazione, si possono consultare varie opere esclusivamente destinate alla illustrazione di questo genere di piante (3).

Anemone

Fra i fiori da antico tempo apprezzati, sono gli anemoni o anemoli, molti dei quali nascono spontanei in Francia, nelle isole dell'Arcipelago, nell'Asia Minore, in Grecia ed in Italia, dove sono stali chiamati sempre nello stesso modo anemoni (4), e celebrati come fiori d'ornamento da

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(1) Les roses. T. i, p, 99.

(2) Desfontaines ; Fior. Allanl. T. 1, p. 400 ; Langles, Recherch. sur la (lecouverle de l'essence de rosc. Paris 1804.

(3) Tali sarebbero: liosemberg, Rodologia seu philos. medie, rosae descriplio. Argenlinae 1620, 8.° Allra ed. 8° 1628. Altra del 1731, doveè molta parte letlerariii. Orbeslan, Essai sur la rose, dans les melanges hislor. et critiq. de physiq. T. 2, p. 301 e 337, Paris 1768 ; che parimente contiene molta parte letteraria. Miss Lawrence, Collectioii of roses engraved, from naturc. London 1796, 1799. Andrew, Roses or a monography of the genus rosa. Lond. 1803, 4.° Roessig, les roses dessin. et eniurain. d'apres nature ec. Leipsig. 1801, 1813, in Tedesco ed in Franc. Redouté, Les roses, avec le texte de M. C. A. Tory. voi. 3, 1817-1824. Lindley Rosarum monographia. Londini 1820, e per molti altri vedasi la bibliolh. rosarum cheè nel T. 1, p. 43, dell'opera del Redoutè sopra citata.

(4) La voce anemone è venuta dal greco, e significa vento, perciò pianta, erba, o flore del vento. E questo significato, cosa singolare,è divenuto poi generale in quasi tutte le lingue d'Europa. Infatti si dice Herba venli dai Latini ; Herbe au veni dai Francesi ;


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molti antichi poeti e da altri scrittori. E sebbene talora abbiano voluto dire di qualche specie diversa, tuttavia nella pluralitàdei casi si deve riportare l'anemoue degli antichi all'anemone coronaria dei botanici moderni, e del quale sotto il generico titolo di anemone salvalico (àvefiuvri arpia) senza dubbio, hanno inteso di parlare Bione, Mopso, Nicandro, Ippocrate, Dioscoride ec, come pure Ovidio^ che ne dàla favolosa origine (1), ed anche Plinio in più luoghi. Peraltro tutti questi antichi considerarono un tal fiore nel suo slato naturale, cioè scempio ; e soltanto negli ultimi secoli più a noi vicini, si apprezzarono, e si ricercarono quelli semidoppi, e doppi, e stradoppi, variabili per la forma e numera degli slami convertili i» petali, e per la differente loro colorazione (2). Le più belle varietàsi cominciarono a formare nei giardini di Costantinopoli, per opera di una più accurata coltivazione che vi si faceva, e di làne furono poi importate le radiche in Europa, come si rileva dal Glusio (3) essere ciò avvenuto prima del 1600, giacchè alcune varietàne erano giàpervenute in Fiandra ed a Vienna a quell'epoca, direttamente da Costantinopoli. Da questo medesimo luogo parimente le fece venire a Firenzc. Matteo Caccini, che le coltivò nel suo giardino, dove il ridetto Clusio le vedde nel 1607. In Francia vi furono portati gli anemoli di Levante nel 1615 dal Bachelier, nel modo che ce lo avvisa il Tournefort (4). Ma già prima

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Yerva vietilo dagli Spagnoli ; Fior do vento dai Portoghesi ; Wind flower d igli Inglesi ; Win Kruid dagli Olandesi ; Wind hlum, wind roschen das?!! Alemanni ; Wind rose dai Danesi ec.

(1) Metamorph. L. 10, v. 731.

(2) Per queste varietà, ved. Ciana, Ist. e colt.delle piante, p. 3855, il quale ne dàsollanlo 50, dicendo di trascurarne moltissinae altre meno pregevoli — Parkinson, Paradisus terrestris, p. 199, che ne riferisce molle varietÀ, raa si sgomenta a descriverle tutte — Savi Fior, italiana, T. 2, pag. 3.

(3) Hist. plantar. p. 225 e 263, et Curae posleriores, p. 52, 53-.

(4) Voyage du Levant. eic. T. 2, p. 16.


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che nel giardino del Caccini, pare certo che in var] altri della nostra cittàse ne coltivassero non poclie varietÀ, citandole come piante ben note il padre Agostino del Riccio in più luoghi dei suoi MSS. Agricoltura teorica, ed Agricoltura esperimentale, e dicendoci in questo secondo MSS. (Voi. 2, carte 117) che a suo tempo il Benincasa aveva condotto alla cittàdi Firenze molte sorte di anemoni, che fanno fiori di varie sorti, e gli messe nel giardino delle Stalle, ed a Pisa ; e quindi ne nota molte varietÀ, e vi scrive sopra un lungo capitolo, cheè il capitolo 60. Furono questi anemoli i fiori di moda in quel tempo, cosicchè presto coltivati nelle Fiandre, se ne aumentò il numero e la bellezza delle varietÀ, che non più ricercate d'allora in poi a Costantinopoli, venivano a noi invece dall'Olanda, ed anche da Genova.

Ranunculus

Della stessa famiglia degli anemoni sono i rannuncoli, dei quali il Ranunculus asiaticus, originario dell'Asia, si trova di fiore rosso più o meno doppio e doppissimo, o tutto rosso, o col centro verde, oppure tutto giallo, ed in questo caso prende il nome di gran giallo presso i nostri giardinieri, l turchi lo chiamano tarobolos catamer Lalè, cioè fior doppio di Tripoli. I ranDuncoli dell'Asia trasportati a Costantinopoli, vennero in seguito di làtrasferiti in Europa a tempo dell'Imperatore di Germania Massimiliano II (1), vale a dire dal 1564 al 1576. Il Clusio (2) dice che nel 1580 vennero da Costantinopoli a Wolfang-Von-Entzestorf alcune radiche di rannuncoli, i quali pure in Fiandra vi furono veduti di nuova qualitànel 1595, mandatevi d'Italia, e quindi ne descrive alcunc. In altra opera (3), parla di rannuncoli avuti nel 1606 dal Caccini, che sembrerebbero essere gran gialli. Il Pad. Agostino del Ric-

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(1) Clarici Ist. e colt. delle piante, p. 375.

(2) Hist. plantar, p. 241.

(3) Curae posteriores, p. 48.


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ciò in più luoghi della sua Agricoltura teorica MSS. noia i rannuncoli di varie sorti, giàmolto in uso ai suoi lempi, come fiori di ornamento ; dal che si vede quanto fossero solleciti i Fiorentini ad importarne le radiche dal Levante alla loro patria, giacchè il detto del Riccio scrisse nei 1595, come altre volte siè detto. Nel corso bensi del secolo XVIII erano talmente cresciute le loro varietàcoltivate in Italia, con molta passione, che il Clarici dice se tutte si avessero a coltivare, occuperebbero troppo gran sito. Gontuttociò ne nomina le principali fra queste fino a 50 (1). La coltivazione anche di questi rannuncoli» venutaci prima dal Levante, dopo divenne comune nelle Fiandre ed a Genova, cosicchè da gran tempo e tuttora, le migliori radiche si prendono da questo ultimo paese, ed anche dai giardini RR. di Castello e della Pelraja, dove ci prosperano per eccellenza.

Hyacinthus

Furono in questi medesimi decorsi secoli del pari che gli anemoni ed i rannuncoli in gran voga altri fiori, di piante bulbifere, che con gran furore, fatti venire in prima dall'Oriente, si coltivavano in varie province dell'Europa, e fra noi pure in Toscana. Questi fiori sono principalmente i giacinti ed i narcisi, nomi che si trovano rammentati ben anche dagli antichi scrittori Greci e Latini. Si ricorda, di falli frequentemente il giacinto (Hyacintus) da Virgilio e da Plinio specialmente, come fiore ornamentarlo, ma pare che non abbian essi voluto intendere del giacinto di che ora parlo, e cheè V Hyacinthus orientalis dei botanici, spettante alla famiglia delle Liliacee asfodelee, cosi nominato per nascere in Oriente e nella Barberia, sebbene sia anche spontaneo nell'Italia (2). Il giacinto degli

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(1) Istor. e colt. delle piante, pag.376.

(2) V. Pollini, Flor.Veronens.T. 1, pag. 443. Colla, Herbar.Pedemonlan.T.5, pag.393. Comolli, Fior. Comensis,'T. 2, pag. 249. Berloloni, Fior. Hai. T. 4, pag. 157, il quale dice Irovarsi questo giacinto nei monti di Bologna, di sVzana e di Lucca.


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antichi nonè certamente questo ; e secondo l'opinione del FÀ³e (1) sarebbe il lilium martagon comune a tutta l'Italia, lo che nonè ammesso dal Tenore (2), il quale con più ragione riferisce tutte le specie di giacinti nominati da Virgilio, al gladiolus byzantinus del Sibtorp, lasciando che forse il lilium martagon possa essere VHyacinthus ferrugineus dei ridetto Virgilio (3). 1 giacinti nominati da Plinio sono riferibili a più qualitàdi piante diverse, secondo lo stesso Fée (4), e come anche si vede nel Clarici (5), al quale possono ricorrere coloro, che bramassero essere informati intorno alla favolosa origine di questa pianta, abbenchè come ho detto, non bene identificata nella sua specie e qualitàpresso gli antichi scrittori latini.

Ma lasciando a parte ogni questione su tal proposito, dobbiamo ritenere che VHyacinthus orientalis,è la specie che ha prodotto tutte le varietàdi giacinti coltivate nei giardini, le quali all'epoca del XVI al XVIII secolo sono slate in gran voga fra noi, per le tante diversitàche in quel tempo se ne sono coltivate, di colori svariatissimi e di fiori più o meno doppi e più o meno numerosi sullo stesso stelo ; cosicchè l'Oleario (6) ne indicò da 2000 di queste varietà coltivate nel 1665. In tempi più a noi vicini si son chiamate gran brettagne quelle varietà di fiore doppio, e stradoppio, lasciando il nome di giacinti a quelle di fiore scempio o semidoppio. I primi giacinti cosi doppi e di svariati colori, pervennero da Costantinopoli, dove coll'accurata coltiva-

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(1) Flore de Virgile, pag, 67.

(2) Osservazioni sulla Flora Virgiliana del professor Fèc. Napoli 1826, pag. 14.

(3) Georg. L. 4, v. 183.

(4) Note a Plinio dell’ediz. francese di Pankouke ai respeltivi luoghi nei qaali si nominano i giacinti.

(5) Istor. e coltiv. delle piante, pag.lS6.

(6) Hyacinthen-Betrachtung ec, Leipsig 1665, !2.°


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zione nè erano state ottenute le prime varietÀ, e questi furono accolti nei giardini d'Italia, e particolarmente della Toscana, con grande entusiasmo. L'Olanda ed il Belgio ben presto si impossessarono della miglior cultura di tali piante, dimodochè un poco più tardi, non più dal Levante si fecero venire ma dal Ponente, e principalmente dall'Olanda. In ogni giardino si faceva a gara di averne le più rare varietÀ, alle quali si apponevano soprannomi particolari, e spesso strani, per distinguerli fra loro. Molli sono gli scrittori che nel corso del XVIII secolo, per soddisfare al desiderio degli amatori, hanno scritto dei trattati su questi fiori, in tedesco ed in francese, i quali si possono vedere registrati dal Roemer (1), e dai quali può conoscersi l'esuberante copia delle tante differenti qualitàdi questi fiori, che se ne conoscevano Il Glarici fra gli Italiani di sopra citato, ne riferisce molte di queste varietÀ, e giàaltre erano state indicate e figurate dal Parkinson (2) dallo Sweerts (3) e dal Barrelier(4), il quale molte ne vidde in Italia, dove si trattenne verso la metàdel secolo XVII. Molti pure sono figurati neU'Hortus Eistetlensis, ed altrovc. Ma poi un gran numero di varietàne annovera il P. Agostino del Riccio (5).

Cosimo III nel 1688 ne ricevè molte cipolle di belle varietÀ, mandategli da Giovanni Targioni mio antenato da Smirne, ove era mercante (6) ; ed in alcuni antichi cataloghi manoscritti di piante coltivate nei giardini di

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(1) Roemer et Schulles, System. vegetabil.T.l, P. 1, p.581.

(2) Paradisus, cap. 11, pag. 111.

(3) Florilegiam, 1612, f.°

(4) Icones plantarum, pag. 66.

(8) Agricoltura teorica, MSS. In più luoghi.

(6) V.Giovanni Targioni-Tozzelli, Selva di notizie per la Storia e progressi delle Scienze finche in Toscana. MSS. relativa al regno di Cosimo HI. Questo Giovanni Targioni mercante a Smirne, era zio paterno del sopracitato Giovanni Targioni-Tozzetli mio avo.


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Firenze, che ho presso di me, trovo registrate molte varietàdi giacinti, come fiori giàalla moda, e che in quei tempi venivano tutti da Costantinopoli, come ho detto, e come lo asserisce anche il Clusio (1), dicendoci che i Turchi chiamavano zumbul indi i giacinti, per indicarne la loro provenienza dalle Indie orientali. La prima di queste piante che il detto botanico conobbe, gli fu mandata da Matteo Caccini nel 1607, che ne coltivava diverse varietànel suo giardino a Firenze, ricevute direttamente da Costantinopoli (2).

Il Magalotti (3) parla di alcuni giacinti doppi coltivati in alcuni giardini di Firenze, e più particolarmente di certe varietàpiù belle, fra le quali una nel giardino di Vincenzio Capponi, mandatagli da Parigi dal suo cognato Gav. Salviati, ed altra che era nel giardino di Lorenzo del Rosso, che poi fu Soprintendente ai giardini del Granduca. I quali fatti stanno a dimostrare con quanta passione in quei tempi si tenesse dietro alla coltivazione e scelta di tali piantc. Ai giorni nostri la voga per le gran brettagneè molto dimimuita, ma contuttociò se ne coltivano sempre le varietàpiù pregiate e più belle, le quali ci sono inviale dall'Olanda e da Genova.

Ai giacinti appartengono pur anche i muschi greci (Hyacinthus muscari o muscari moschatum), e questi pure ci vennero dalle adiacenze di Costantinopoli, di làdal Bosforo in Asia, di dove sono originari (4). Fu introdotta questa specie in Europa avanti il 1554(5), ed il Cortusoè il primo che ce li abbia fatti conoscere portandoli a Padova, da dove si estesero in altre province

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(1) Histor. plantar, pag. 173.

(2) Savi, Flora Haliana, T. 1, pag. 33.

(3) Lettere familiari. Leti, del 22 Maggio 1703, pag. 102.

(4) Clusio, Hist. piantar. pag. 118.

(5) Roemer et Schultes, System. vegetabil.T.I, P.l, pag. 391.


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dell'Italia (1), e ciò dovè essere sul flnire del XVI secolo. Ed infatti il P. Agostino del Riccio, gli dice introdotti in Toscana a tempo suo, ed il Soderini (2) cita come ben noto il muschio greco, dicendolo pianta di grande odore nel suo fiore, ed indicandone il modo di coltivazionc. Anche in Inghilterra vi fu portato verso la stessa epoca, poichè l'Aiton (3), ci avverte che vi erano coltivali nel 1369.

Narcissus

Diverse specie di narcisi, piante bulbifere spettanti alla famiglia delle Narcissee, si trovano spontanee nelritalia (4), ma molte di queste erano dagli antichi scrittori latini confuse fra loro, e ristrette perciò a piccol numero, comprendendole tutte sotto il generico nome di Narcissus, come può vedersi in Virgilio (5), il quale per altro in qualche luogo ne indica più distintamente due specie, cioè il Narcissus poeticus dei botanici moderni, chiamandolo narcissus purpureus (Q), ed i\ narcissus serotinus, dicendolo narcissus sera comans (7). Plinio pure De distingue alcuni pochi, ed infatti col solo nome narcissus in un luogo (8) intende del narcissus serolinus, ed in un altro (9) del narcissus poeticus, il quale chiama altrove (10) narcissus purpureo flore, e nomina narcissus herbaceus (11) il N. pseudonar cissus nostro. Anche presso

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(1) Clarici, Islor. e colt. delle piante, pag.182.

(2) Cultura degli orti e giardini, pag.189,

(3) Hort.Kewens.ed 2, T. 2, pag.283.

(4) Tali sono secondo il Berloloni (Fior. ital. T, 4, pag. 10), Narcissus biflorus. N.incomparabilis. N. jonquilla. iV. niveus. N.Odorus. N. palulus. N. poeticus. N. praccox. N. pseudonarcisius. N. serolinus. N. lazzella. N. unicolor. eie.

(5) Eglog. 8, v.S3, Georg. L. 4, v. 160.

(6) Eglog. S, V. SS.

(7) Georg. L. 4, v. 122.

(8) Hist. nat. L. 21, c. 11 ; (9) Ivi.L. 15, c. 7.

(10) Ivi.L. 21, c. 19.

(11) Ivi.L. 2, c. 19.


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i Greci col nome narcissos si conobbero da Teofrasto (1), da Teocrito (2), da Mosco (3), da Dioscoride (4) e da tanti altri, alcuni pochi narcisi indigeni dell'Italia, ed altri spontanei dell'Oriente, tali che il narcissus orientalis ed il calalhinus. Ma non con tutta la sicurezza si potrebbe dire di quale specie precisamente abbiano voluto intendere, giacchè ne hanno chiamali taluni anche con altri nomi (5). Da tutto questo se ne potrebbe dedurre che gli antichi non si fossero curati che di questi fiori spontanei, i quali nascevano per le campagne, senza darsi premura di coltivarli. La qual cosa sembra che si facesse molto più tardi dai Persiani, e dai Turchi nei loro giardini, dove se ne produssero delle varietàparticolari o per il colore o per la doppiezza dei fiori ; sicchè di làsi incominciarono ad introdurre nei nostri giardini d'Italia. Ed infatti, dall'Oriente, e da Costantinopoli in particolare, vennero in Toscana dal XVI secolo in poi gran quantitàdi cipolle o di semi, dai quali ne nacquero delle altre varietà, che sparse in vari luoghi d'Europa, e soprattutto nel Belgio e nell'Olanda, a poco a poco vi si coltivarono con passione, se ne accrebbero le varietÀ, e ben presto invece di prendere dall'Oriente queste piante, si fecero venire poi dall'Occidentc. E questa dirò mania per tali fiori, che si conobbero coi nomi di narcisi, taz-

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(1) Hist. piantar. L. 6, c. 6.

(2) Idil. 1, V. 133.

(3) Idil. 2, V. 65.

(4) Mat. med. L. 4, e 161.

(5) Secondo lo Sprengel (Hist. rei herb. T. 1, pag. 87), Teofraslo al L. 1, c. 21, avrebbe chiamato jtpivoy Siav'bk il Narccalatliinus, ed al L. 6, c. 6, avrebbe dello poipÀ³? Àˆnertxos il Narc. orientalis, che Dioscoride (mal. med., L. 2, c. 201) avrebbe chiamalo votpxicjcjos TI Xèipiov. Nella Cantica (cap. 2, v. i) si trova nominalo chabazèlèt, che la volgala traduce un poco troppo genericamente flos campi e che secondo io Sprengel (Hist. rei herb. T. 1, pag. 11), sarebbe uno dei narcisi più volgari anche nell'Orienle, come il calalhinus, il jonquilla, o Vorienlalis.


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zette e giunchiglie, continovò come accadde per i giacinti ed altri giàdetti, fino al XVIII secolo. Il padre Agostino Del Riccio nei suoi manoscritti cita molti narcisi e giunchiglie che giàerano coltivati a Firenze a suo tempo. Il Clusio parimente ne riferisce varie qualitÀ, che dice venute da Costantinopoli (1) verso la metàdel XVI secolo. Il Redi (2) mandò a Padova al Conte Carlo de Dottori nel 1665 delle cipolle di giunchiglie e narcisi, fra i quali alcuni egli dice nuovi, nati di seme, e riferisce un elenco dei narcisi allora coltivati e più apprezzati nei giardini nostri. Il Bary nella sua ^n(/io/o(/ia magna stampata a Francoforte nel 1626, dàla figura di 28 qualitàe varietàdiverse di questi fiori allora in uso (3).

La bella specie detta giunchiglia o narciso di Spagna (narcissus incomparahilis) di fiore doppio e stradoppio, giallo e bianco, fu introdotta in Firenze dopo la metàdel secolo XVI, poichè il Padre Agostino del Riccio (4 ; ne fa grandi elogi per la sua bellezza, e la dice importala a suo tempo.

Fritillaria

Fra le piante bulbifere appartenenti alla famiglia delle liliacee, pregiate per 1 fiori, evvi la Corona imperiale (Fritillaria imperialis), la qualeè nativa di Persia, e da molto tempo importata nei nostri giardini. Il Padre Agostino del Riccio (5) ci dice che quando egli

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(1) Hist. plantar., pag. 154.

(2) Opere, Ediz. di Firenze 1727, Letterc. T. S, pag. 41.

(3) Il nome narcisoè venuto da! latino narcissus, e questo da narcissos dei Greci, i quali ne derivarono questo vocabolo da narce sopore o gravezza di testa, perchè i narcisi, o almeno alcune specie, fanno dolere la testa col loro odorc. Plinio infatti dice (Hisl.nat. L. 21, c. 19), a narce narcissum dicium non a fabuloso puero. V. la mia Scella di piante offlcinali, Firenze 1824 f." pag. 117. Probabilmente dalla slessa voce greca narcissos ne venne l'altra persiana narquis, e l'araba nardjis colle quali sono chiamali da quei popoli i narcisi.

(4) Agricoli, teorica MSS., carie il e 18.

(5) Agricoli. Speriua. MSS. voi. 2, carie 362.


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era giovinetto non si conosceva questa pianta in Firenze, la quale vi fu introdotta dopo, lochè può calcolarsi essere stato alquanto prima del 1595, epoca nella quale scrisse le sue opere citatc. E di fatti corae ci avverte il Savi (1), nella porta del giardino botanico di Pisa, che fu fatta nel 1595, si vede effigiato in rilievo questo fiore, sicchè era fra noi coltivato sul finire del XVI secolo. A Vienna vi pervennero i bulbi da Costantinopoli nel 1580, col nome turco di iusai, che vuol dire giglio regio, come ce lo insegna il Clusio (2), sebbene altri vogliano che vi fosse nota questa pianta fin dal 1576 (3). Nel 1582 il predetto Clusio riferisce che a Londra ne erano fiorite alcune piante con quaranta, e fino a settantadue fiori sullo stesso stelo, di modo che vi era coltivata questa pianta avanti al 1596, epoca nella quale l'Aiton (4) la farebbe essere nota a Londra. Se ne conoscono più varietàdi colore e di forma, che il Clarici (5) nota fino a 18. Gli antichi non conobbero questo fiore, o non ne fecero caso ; ma il Clarici mette in dubbio se fosse VHemerocallis di Dioscoride (6), la quale a vero dire non era la corona imperiale di cui si parla, sebbene varie siano le opinioni degli antichi : giacchè il Mattioli (7) la crede il lilium bulbiferum, il Dodoneo (8) il lilium martagon, come lo crede lo Sprengel (9).

Lilium

Alla medesima famiglia deJle liliacee si trova il lilium calcedonicum, bellissima specie di giglio di color

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(1) Flora ilaliana, T, 3, pag. 3.

(2) Observ.l2l, Bisl. plani, pag. 12T, c. 128.

(3) V. Dodoneo, Slirpmm hislor. pag. 202 ; Sprengel, Risi, rei herb. T.l. pag. 393 ; Clarici, Ist. e coli, delle piante, pag. 329.

(4) Hort. Keiv. ed.2, T. 2, pag. 244.

(5) Ist. e Colt, delle piante, pag. 331.

(6) Mat. med. L. 3, c. 117.

(7) Discors. in Dioscor. T. 1, pag. 92l.

(8) Slirp. hislor. pag. 201.

(9) Hist. rei herb. T. 1, pag. 168, e Comm. in Dioscor. T. 2, pag. 5S0.


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rosso di minio, coi sepali arricciati, per cui forse prese il nome di riccio di dama che ha volgarmentc. Originaria dell'Oriente venne ancor questa pianta da Costantinopoli in Europa, e primieramente a Vienna nel 1573, avanti che il Glusio andasse a stare in quella città(1). In Inghilterra al riferire dell'Aiton (2) vi era coltivata nel 1596 da Giovanni Gerard, il quale nella sua opera (3) ne descrive anche alcune varietà. II Mattioli pare che di questa pianta voglia intendere col nome di un altro Hemerocalle, che dice aver avuto a Karst neirilliria (4). Il Glarici la cita fra i gigli coltivati a suo tempo col nome di giglio rosso miniato di Coslantinopoli (5), ed il Roemer ci avverte che ve ne sono più di 20 varietàcoltivate per i giardini (6). Non saprei quando fosse stata importata in Toscana, poichè non la trovo notata dal del Riccio, nè nel catalogo pisano del Tilli, e nemmeno in quello dell'orto fiorentino del Micheli, cosicchè deve essere di non molto remota introduzione fra noi.

Altro bel giglio detto tigrato (iilium tigrinum) nativo della Cocincina e del Giappone, fu introdotto dal Keer in Inghilterra nel 1804 ; tre anni dopo fu portato in Francia, ed in Toscana si vedde la prima volta nel 1812 (7).

Polianthes tuberosa

Il tuberoso (polianthes tuberosa), esso pure delle liliacee,è originario di Giava e del Ceylan,e fu. detto giacinto tuberoso delle Indic. Il Clusio (8) lo ebbe nel

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(1) Gius. Obsert). pag.131. Hist. piantar, pag. I3i.

(2) Hort.Kewens.2, ed. 2, T. 2, pag. 242.

(3) The herball or general hislor. of plants. pag. 197.

(4) Disc, in Dioscor. T. 2, pag. 922.

(5) Islor. e coli, delle piante, pag. 290.

(6) Roemer el Schuiles, System, vegelab. T. 7, P. 1. pag. 408.

(7) Savi, Flora ilal.T.2, pag. 19 ; Anlooio Targioni-Tozzetti. Raccolta di fiori, frutte ed agrumi ^c. Firenze 1825, f."

(8) Hist. plantar, pag. 176.


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1594. In Inghilterra vi era coltivato nel 1629 da Giov, Parkinson, che io descrive nella sua opera (Paradisus terreslris, pag. 111). Il Clarici (1) che cessò di vivere nel 1725, lo dice fiore rarissimo (in Italia), che dànobillàe nome a quei giardini che lo possedono. Il Magalotti lo cita come un fiore ben noto a suo tempo, e di odore assai grave che il sol parlarne fa dolore di testa come egli si esprime (2). Finalmente nel catalogo del giardino botanico di Pisa, fatto dal Tilli nel 1725, viè notato questo fiore come una specie di giacinto. Da ciò si vede che i! tuberoso, sebbene raro, era coltivato e conosciuto in Italia ed in Toscana fino dal principiare almeno del secolo XVIII.

Tulipa

Anche i tulipani (tulipa gesneriana) furono fra i fiori coltivati con una gran passione nel XVII secolo, a motivo delle differenti varietàdei colori e delle screziature, non che delia forma mostruosa dei sepali in taluni, o della loro doppiezza in altri. Ma intorno a tutte queste copiose varietàche se ne conoscono, può vedersi quanto ne dice il Ferrari (3), il de Pas (4), e soprattutto il Clarici (5) ed altri (6). In quanto alla loro doppiezza si legge nel Clarici (7) che i dalla Cappadocia i in Asia, e da quelle balze del monte Emo, ohe dalla i Tracia la Bulgaria in Europa dividono,è fama diti scendesse questo bello e leggiadro fiorc. Portato prii mieramente a Caffa, emporio del Mar Maggiore, ed

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(1) Islor.e colt. delle piante, pag.167.

(2) Ditirambo il fior d'arancio ec., nelle opere Inedite, Lucca 1762, pag. 230.

(3) Flora, ovvero cultura de’fiori. Roma 1630, pag. 143.

(4) Tran, compendieux et abregé des tulipes et de leurs diverses sortes.

(5) Ist, e coU. delle piante, pag. 340.

(6) Savi, Flor.Ualiana, T.2, pag. 48 ; Antonio Tiirgioni-Tozletll, Raccolla, di fiori frulli e agrumi, Firenze 1823 f.»

(7) Ist. e colt. delte piante, pag. 303.


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c a Bucefala città della Macedonia, si sparse poi nei i vicini paesi ». E qui si osservi che sebbene sia stata creduta questa pianta originaria e spontanea della Savoia e di Nizza (1), e che il Reboul (2) abbia nominato tuiipa gesneriana, un tulipano della campagna attorno a Firenze, che il Bertoloni (3) riferisce alla tulipa spathulata, nonè il tulipano dei giardini di cui ora parlo spontaneo dell'Italia, e per tal motivo a noi ci venne da Costantinopoli, dove formava 1’ornamento dei giardini turchi. Il primo tulipano che coniparve in Europa, fu quello rosso o mostruoso, che nel 1559, nacque nel giardino di Enrico Herward in Augsbourg, da semi venuti da Costantinopoli, e che fu descritto dal Gesnero (4). Nel XVI secolo si sparsero da per tutto, nè quasi giardino vi era in Toscana, che non ne coltivasse le più belle varietà. Il P. Agostino Del Riccio (5) parla dei tulipani, che dice esservene stati a suo tempo di tutti i colori. Di qua la voga per questi fiori passò in Olanda, dove coli’accurata coltura e colla promiscua fecondazione, si produssero altre varietàdi forme e di colori, che talmente furono dal 1624 al 1634 apprezzate, da pagarne fino a 2500 fiorini d'oro le più belle cipolle, secondo che ce lo assicura il Muntingio (6). In seguito di questa voga che i tulipani ebbero in Olanda, ben presto da questo luogo e non più dall'Oriente si facevano venire i bulbi per coltivarsi nei nostri giardini ; e sebbene anche ora si apprezzino molto le più

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(1) V. Savi, Fior. italiana, T. 2, pag. 49.

(2) Nonnullar. specier. luliparura. pag. 6, N." 5 ; et Seiect. spec. lulipar. pag. 3, N.° 7.

(3) Fior. ila!. T. 4, pag. 83.

(4) De hortis gerraan.cum descriplione lulipae eie, in Cordi Hist.Slirplum. Tiguri 1361 (°

(5) Agric. Sperim. MSS. vol.2, carte 704.

(6) Savi, rior.i(ali ;\n.T.2, pag. 49.


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belle varietÀ, pur nondimeno sono meno ricercati di quello che lo fossero nel secolo decorso.

Jasminum

Il gelsomino comune, o salvatico come è detto (lasminum officinale), della famiglia delle Gelsominee,è pianta originaria del Malabar e di altre parti delle Indie orientali, e da un certo tempo divenuto volgarissimo fra noi, e quasi naturalizzato. Si crede che dalle Indie orientali passasse nell'Arabia, e quindi in Egitto, e di qui finalmente in Italia, senza che gli antichi Greci e Romani lo avessero conosciuto (1), perchè il pathos di Teofrasto (2) nonè come alcuni hanno creduto tal pianta, ma la Lycnis calcedonica (3), nè la smilax di Dioscoride (4), nè la smilax leia dello stesso (5), sono il gelsomino, ma la prima smilace, è il fagiolo comune (phaseolus vulgaris) e la secondaè il convolvolo comune (Convolvulus sepium). E neppure si deve credere che Viasme col quale se ne faceva dai Persiani un olio odoroso fosse dallo stesso Dioscoride ricordato, poichè quanto si legge in alcune edizioni di detto autore su tal proposito,è tolto dal libro I di Aezio, ed aggiunto al capitolo dell'olio malabatrino (6), come lo afferma lo Sprenge! (7). Questo iasme è stato dallo stesso Aezio e dal Mattioli interpretato per viole bianche, ossiano le viole a ciocche di tal colore (cheiranthus incanus) ; ma Ermolao Barbaro e Marcello Virgilio, lo ritengono per il gelsomino, abbenchè di contrario parere si mostri il

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(1) Ruellio, Stirpium c. 84 ; Stapel, Comm.in Theophrast.p. 280.

(2) Hist. piantar. L. 6, c. 7.

(3) V. Sprengel, Hist.rei herb., T. 1, pag.9l.

(4) Mat.raed.L.2, c. 176.

(5) Ivi.L.4, C.143.

(6) Questo articolo deU'Jasme non si trova nell'edizione del Dioscoride falla dal Saraceno, ma bensi in altre, e particolarmente in qaella del Mattioli al L. 1, c. 63, ed in quella dello Sprengel, al L. 1, c. 76.

(7) Comment. fn Dioscor. T. l, pag. 78.


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ridetto Mattioli ; e di più della stessa opinione, che Viasme di quel citato articolo sia il gelsomino, si mostrano il Dodoneo (1) e lo Sprengel (2). Il primo che abbia parlato chiaramente del gelsominoè Serapione, il quale al Gap. 176, io distingue dalle viole a ciocche bianche, e lo chiama zambac, sambac, e iasmin.

L'epoca per altro nella quale questo gelsomino fu introdotto fra noi, non è ben certa. Il Rucellai, che scrisse il suo poema delle Api nel 1524, cita il gelsomino, che Roberto Titi nelle note a detto poema (3) chiama fior nuovo e non conosciuto dagli antichi. Il Mattioli (4), che scrisse intorno al 1559, lasciò detto: Nonè però gran tempo che i gelsomini si sono portali in Italia, ancorchè volgarmente al presente, per ogni orto si trovino. Lo che fu confermato anche dal Sederini (5), il quale a tal proposito si esprime che l'altro (gelsomino) volgare ordinario, nonè gran tempo che fu qua da stranieri paesi nelle nostre parti condotto, e ciò io scrisse verso l'epoca del 1588. Al contrario il P. Agostino del Riccio nel 1595, scriveva: / gelsomini comuni anticamente sono stati sempre in Italia (6). E difalti il Rinio (7) ci lasciò fio dal 1415 la figura ben disegnata e colorita del gelsomino comune, il quale perciò era ben conosciuto nel veneto, per lo meno fin dal secolo XV. In Inghilterra vi era coltivato nel 1548 secondo l'Aiton (8).

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(1) Pemptades, ec. pag. 410.

(2) Commenl.in Dioscor. T. 2, pag. 371.

(3) Le àpi di messer Giovanni Rucellai ec, poema unito alia Coltivazione dell'Alaraanni, pag.g264.

(4) Discors. in Dioscor. T. 1, pag. 96.

(5) Coli, degli orti e giardini, pag. 123.

(6) Agricoli, leor. MSS. carie 21.

(7) Liber de SimpHcib. IVISS. lab. 222, dove chiama il gelsomino comune jastnin e sambac.

(8) Bori. Hew. ed. 2, T. 1, pag. 18.


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Questi gelsomini sopportano i freddi dei nostri inverni, e fanno piante grossissime quanto sarebbe a dire un manico di granata, e vanno in alto più di 30 braccia, come lo dice il Del Riccio, e come difatli posso io citarne in esempio una pianta, la quale aveva più di settanta anni, ed era cresciuta tino ad un secondo piano in un cortile di casa mia, per circa 20 braccia, dove avanti alle finestre, formava una graziosa verzura, caricandosi di moltissimi fiori.

L'altro gelsomino detto catalogno (iasmimum grandiflorum) più delicato del precedente, ma più apprezzato per il suo odore maggiormente soave e delicato,è nativo esso pure delle Indie orientali, e pare portato in Europa da quelle regioni per opera degli Spagnoli, dopo che ne trovarono più facile l'accesso per la via del Capo di Buona Speranza. Dalla Spagna e probabilmente dalla Catalogna per cui ne prese il nome, fu trasportato in Italia verso la metàcirca del secolo XVI, poichè il Soderini (1) ed il P. Agostino del Riccio (2) si accordano a dirlo di recente introduzione in Toscana ; ed anzi questo ultimo ci informa per di più, che la prima pianta la mandò Messer Fioretti nostro Fiorentino al signor Alamanno Salviati in un bariglione, la quale pianta era per entro detto bariglione in un vaso ; e questa fu posta nel giardino vicino alla porta a Pinti della casa, ora Borghese Aldobrandini, allora del detto Salviati, lo stesso che fece venire l'uva salamanna, secondo che siè detto alla pag. 145. In seguito, come lo attesta il citato del Riccio, fu innestato sul gelsomino salvatico a occhio, ma adesso che siamo alVanno 1597, si annestano a mazza quasi tutti (3). Da ciò si com-

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(1) Coltivazione degli orti e giardini, pag. 123.

(2) Agric. teorica MSS. carte 3S ; e Agric. sperItn.MSS. vol.l, carte 124.

(3) Agric. teorica MSS. carte 37.


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prende, come Gio. Bauhioo (1), sbagli dicendolo trasferito da Scio a Genova, e di qui a Londra, dove sulla testimonianza dell’Aiton (2) vi si cominciò a coltivare nel 1629, vale a dire quasi un secolo più tardi che a Firenze.

Vi è poi il gelsomino azorico (iasm. azoricum) che prende il nome dalle isole Azzorre doveè spontaneo, e da dove fu portato fra noi. Il Commellino (3) nel 169310 dice rarissimo in Amsterdam. Nell'Inghillerra secondo l'Aiton (d) vi era coltivato nel 1724 ; ma il Tilli lo registra nel 1723 come giàvegetante nel giardino di Pisa (5), Questo gelsomino fu mandato dal cardinal Giorgio Gornaro dal Portogallo per la prima volta in Italia, al senatore Giovan Francesco Morosini, che lo piantò nel suo giardino di Padova, da dove si sparse nel resto d'Italia ; e ciò fu mentre viveva il Clarici, che ce ne lasciò tali notizie nella sua opera (6), e prima assai della morte del detto Cardinale, la quale avvenne nel 1722, sicchè può dirsi essere slato introdotto il gelsomino azorico fra noi sul primo del secolo XVIII.

Allo stesso genere jasminum è stato messo dai più moderni botanici il mugherino, il quale dagli Arabi è detto zambac e sambac, e perciò jasminum sambac e chiamato dai botanici. Linneo (7) lo disse nyctanthes sambac, che il Lamarck (8) variò di genere, stabilendogli il nome di mogorium sambac, che desunse dalla voce mogoriy colla quale i Bramani chiamano alle Indie que-

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(1) Hist. plant. T. 2, pag. 102.

(2) Hort. Eew. ed. 2, T. 2, pag. 102.

(3) Bori. med. Amstelod. T. I, pag. 1i9.

(4) Loc. cit. T. 1, pag. 17.

(5) Calalog. horti Pisani, pag. 87.

(6) Iste cult. delle piante, pag. 528.

(7) Bori. Vpsaliens, pag. :4.

(8) Encyclop. botaniq. plancb. X. 1, (ab. 6, flg. 1.


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sta pianta, e dalla quale pur noi Italiani abbiamo formato il vocabolo mugherino,e mogherino.

Di questo mugherino se ne conoscono tre varietàdai botanici, cioè: 1.° il mugherino comune di fiore scempio, che fu detto anche gelsomino arabico ; 2.° il mugherino semidoppio, detto ginè e, corrottamente e più volgarmente girne, 3.° il mugherino stradoppio detto di Goa, ed anche del Granduca di Toscana. L'Aiton (1), il Wildenow (2), il Roemer et Schuites (3) considerano questi tre mugherini come varietàdella specie primitiva, da loro detta Jasminum sambac. Al contrario lo Zuccagni (4) gli ritiene per tre specie distinte, chiamando la prima mogorium sambac, che sarebbe la Nalla mulla del Rheede (5) ; la seconda mogorium ginea ; la terza mogorium goaense, detto cudda mulla dal citato Rheede (6). Al mugherino semplice riferiscono il sambac, o gelsomerium arabicum del Gesalplno (7), il quale non si sa da quando sia stato importato fra noi, ma pare per certo posteriormente alle altre due varietà. Del semidoppio non sappiamo neppure l'epoca precisa della sua introduzione in Toscana, ma si rileva dal Clusio che nel 1606 tal pianta era coltivata giàin Firenze nel giardino di Matteo Gaccini (8), il quale ne mandò un rametto, il disegno e la descrizione in una lettera al detto botanico, che successivamente fu pubbli-

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(1) Hort Kewens.ed.2, T.l, pag. IS.

(2) Species piantar. T. 1, pag. 33.

(3) Sysl. vegelabil. T. 78.

(4) Cenlur.l, Observ. botante, in Roemer coliect.lSoe, p. 114.

(5) Hortus Malabaricus, T. 6, pag. SO. (6) /vj.pag. 31.

(7) Ve planiis Aegypti, c. 19, pag. 72.

(8) Questo giardino citalo da me più volte è slato celebre nei secolo XVi, per le molle pianto rare che vi si coltivavano, ed era annesso al Palazzo Caccini in via Pinti, sul canto di via Nuova, passato poi alla famiglia Vernaccia ed ora Lustrini. Matteo Caccini fece venire questo mugherino da Alessandria d’Egitto.


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ata alla pag. 6 della sua operetta postuma Curae posteriores, stampata nel 1611. Dalle parole del ridetto Caccioi si rileva che questo mugherioo semidoppio, era venuto a Firenze da Alessandria d'Egitto, col nome di siringa gelsomino arabico, e gelsomino di Ginè. L'Aiton lo dice coltivato in Inghilterra nel 1665. Questoè quello probabilmente che il Barullaldi dice mugherino Portoghese (1) portato da Goa in Portogallo, e di li in Toscana, col nome ancora di fior del cuore ; e sebbene lo dica stradoppio, non devesi credere il vero e tanto celebre di cui ora sarò a dire, perchè questo non venne dal Portogallo.

Abbiamo infatti di questo mugherino stradoppio la precisa istoria dal Tilli (2), il quale ci dice che nel 1689 da Goa direttamente, furono fatte venire per ordine del Granduca Cosimo HI de'Medici al giardino botanico di Pisa, alcune piante rare, le quali furono trovate tutte perite, a riserva di una pianta di gelsomino semidoppio o girne, e di una dello stradoppio, il quale con ogni cura piantato, riprese vigore, e quindi come cosa rarissima fu trasferito alla real villa di Castello presso Firenzc. Quivi fu gelosamente custodito con severa pribizione di darne a chi si sia dei nesli o dei margotti, perchè non fosse propagata altrove questa bellissima varietàdi grossi e grupputi fiori, che presero il nome di mugherini rosa, e mugherini del Granduca di Toscana. Una tal rigorosa privativa continovò per il corso di un poco più di un secolo, e finchè nel 1791, come ce lo racconta lo Zuccagni (3), l'immortale Pietro Leopoldo lasciò che a be-

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(1) La Tabaccheide, ditirambo.al verso 1530, e nota allo stesso verso, pag. 179.

(2) Caialogus plant. Horti Pisani, pag. 87, dove alla tav. 30 dàla figura di questo mugherino stradoppio, ed alla tav. 31, quella del semidoppio.

(3) Cenlur.l, observ. botan. N." 3, in Roeraer, collect. 1806, pag. IH.


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nefizio di tutti, ne fossero dati i.nesti ed i margotti a chi gli ricercava. Allora fu che si sparsero in molti altri giardini le piante di questo famoso raugherino, ma poco dopo avvenne per una ignota cagione che da per tutto perirono, non escluse le piante medesime di Castello, dove per tanto tempo vi erano esclusivamente vissute prosperamente, come siè detto. Per questa fatalitànon se ne trovavano più piante it> Toscana, quando in un catalogo di Voorhelm e Schneewoght d'Harlem in Olanda, comparve notato vendibile col nome di fameux Jasmin du Granane de Toscanc. Allora il Conte Piero de Bardi, altra volta citato per piante rare introdotte in Firenze, io fece venire, lo moltiplicò e diffuse, cosicchè ritornò ad essere coltivato a Castello ed altrove d'allora in poi, e reso meno raro e di facile moltiplicazione e conservazione (1). Presso i giardinieri ebbe anche il nome di Nyctanthes etrusca per essere stato coltivato tanto tempo esclusivamente in Toscana. Gli Inglesi io portarono a Londra direttamente dal Malabar, e lo messero in commercio a gran prezzo (2). Di questo famoso mugherino ne celebrarono le iodi il Magalotti con una sua elegante canzone (3) ed il Filicaia con quattordici odi latine, secondo che lo dice il Baruffaldi, ma delle quali solo tre sono fatte di pubblica ragione nel libro stampato a Lucca nel 1720, col titolo Newton Henr. Epistolae, Orationes et Carmina (4).

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(1) Alla esposizione dei prodotti di giardinaggio ec., fatta in Firenze nei 1852, furono mandati dal giardino R. di Castello dei bellissimi individui di 10, di 20, e di 30 anni. Per la coltivazione e conservazione non facile dei nesti di queste piante, vedasi la Mena, di Gius. Piccioli: Sopra l'innesto del mugherino di Goa, negli Alti dei GeogoQli, T. 4, pag. 27S.

(2) Colla, Antolegista, botan. T. 3, pag. 24.

(3) Trovasi questa poesia fra le Canzonelle anacreonliche di Lindoro Elaleo paslore Arcade (ossia del Magalotti), Firenze 1723, pag. 22, e nelle note al Ditiranabo la Tabaccheide del BarufTaldi, pag. 179.

(4) Questo Newton fu inviato straordinario d’Inghilterra alla corte di Toscana, e corrispondente dell'Accadenaia della Crusca ; e


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Dianthus

Insieme coi fiori fin'ora detti, che negli ultimi secoli occupavano il primo posto nei nostri giardini, sono pur da riconiarsi i Garofoli o viole garofanate (Dianthus caryophillus) della famiglia delle Gariofillee, e cosi chiamati perchè spirano odore simile a quello dei garofani. 11 Rouellio crede che gli antichi non abbiano conosciuto queste piante, io che è confermato anco dal Dodoneo (1) ; e sebbene molti botanici dei tempi decorsi si siano affaticati a trovare il garofolo in più e diverse piante nominate dai Greci e dai Latini, come può vedersi nel Clarici (2), tuttavia nessuno ha dato nel segno, e perciò bisogna ritenere che gli antichi avessero lasciato in oblio del tutto questo vegetabile, sebbene spontaneo e comunissimo nei luoghi silvestri di tutta quanta l'Italia, la Svizzera, la Francia e la Spagna. I fiori che crescono spontanei sono sempre scempi, cioè di cinque petali, ma tinti variamente, essendovene dei bianchi, dei gialli, dei rosei, dei rossi, dei pavonazzi ec, ma col mezzo della coltivazione sono stati ridotti doppi e stradoppi, e di colori anche mischiati, da renderli bea presto un vago adornamento di Flora. Gredesi che i primi rudimenti della cultura dei garofoli si debbano a Renato conte d'Anjou e di Provenza (morto in Aix nel 1480), il quale dopo essere stato discacciato dalla Lorena e dal regno di Napoli, ritiratosi in Provenza, si occupò nel disegnare e coltivare diversi fiori (3). Ai primi del secolo XVIè certo che la coltura delle differenti varietàdi questo fiore era in credito ; ed a noi secondo il Glarici ci pervennero le più belle qualità dalla Francia e dal Belgio, alle quali poi i giardinieri

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queste Odi del Filicaia si trovano alle pag. 43, 46 e 94, di quella miscelIaDea.

(1) Florum coronar, pag. 69.

(2) Ist. e Colt, delle piante, pag. 352.

(3) Lolseleur-de-LongschampB. Herbier de l'amateur. Tab. 303 e 384.


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applicarono, per una bizzarra consuetudioe come ai giacinti, i nomi di principi, di grandi personaggi, di deitàfavolose ec. II P. Agostino del Riccio (i) rammentando come coltivate giàa Firenze molle varietàdi garofoli, vuole che queste ci fossero portate in prima dalla Spagna ; ed il Soderini (2) nel dirci che coH'accurata coltivazione se ne ottengono le molle sorta che se ne vedono di colori differenti, ma spesso variabili, loda moltissimo quelli doppi di Pisa, dove pare che in quel tempo vi se ne facesse attenta cultura delle più belle varietÀ, attribuendo ciò alla natura della terra e del clima. I giardinieri dividono le viole garofanate (lasciando addietro le scempie) in semi-doppie di grado inferiore ; in semi-doppie di seconda classe ; in semi-doppie di prima classe ; in doppie e stradoppie mostri, e nelle quali il calice scoppia, non essendo più capace di contenere i moltissimi petali avventizi. Dappoichè siè conosciuto che mediante la fecondazione artificiale, di cui per questo scopo ne hanno trattalo il P. Filippo Arena (3) ed il Giardiniere Giuseppe Piccioli (4), se ne ottengono le raoltiplici razze variatamente colorile, siè potuto crescerne assai queste varietÀ, le quali egregiamente in Toscana si ottengono alle reali ville di Castello e della Petraja, dove l'esposizione meridionale favorisce lo sviluppo di queste piante, sempre apprezzate e ricercate per i loro vaghi fiori.

Helianthus annuus

Al primo comparire in Europa del Girasole (Helianthus annuus) pianta della famiglia delle Composte, si ri-

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(1) Agrlc. teor., MSS. carte 12 e 13 ; Agric. speriraenl. MSS. voi. 2, carie 369.

(2) Cult, degli orti o giardini, pag.l29.

(3) Natura o cottura dei fiori. Cosmopoli 1771.

(4) Metodo per fare le semente dei fiori ed in particolare dei garofoli ec. Firenze 1788, id. La cultura dei fiori e degli ananassi senza stufe ec Firenze 1792. V. anche la mia RaccoUa di fiori, frulli ed Agrumi. Firenze 1825, f." articolo viole garofanate.


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svegliò l'ammirazione di tutti gli antofili, forse per la gigantesca statura di questo fiore, originario del Perù e del Messico, da dove ne furono portati i semi a Madrid nel giardino reale, secondo che ce ne informa il Dodoneo (1), col nome Chrisanthemum Peruvianum. Di qui si propagò la specie in tutta Europa con vari altri nomi (2), ed il Dodoneo or citato, dice di più averne vedute a Padova varie piante molto grandi a tempo del Cortuso. Il Mattioli ne ricevè dallo stesso Cortuso il disegno, i semi, e la osservazione che quel botanico aveva fatta sul seguitare che il fiore fa, il giro del sole (3). Il Sederini la ricorda come venuta dalle Indie del mezzogiorno (4), ed il P. del Riccio (5) dice che questa pianta fu portata a Firenze da poco tempo, cosicchè può credersi che in Italia, prima a Padova e poi a Firenze, vi si vedesse circa la metà del XVI secolo.

Poco oggi valutasi il girasole, invece del quale è in pregio grande altra pianta della stessa famiglia, ed originaria dello stesso paese, cioè del Messico, la quale di là venne in Spagna verso il 1790, portatavi da Sessè Mocino, e dal Cervantes. Questa è la Dahlia variabilis, che il Cavanilles avanti a tutti descrisse nel primo tomo della sua opera (6), stampata nel 1791 a Madrid, della qual pianta ne distinse due, credute specie separate, dando loro i nomi di Dahlia pinnata all’una e rosea

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(1) Flor, coronar. pag. 304.

(2) Cioè di girasole ; sole indiano ; erba o pianta massima ; fior di S. Marco ; Corona regale ; coppa di Giove ; bellide Pliniana ; tromba d'Amore.

(3) V. nel Mattioli, Disc. in Dioscor. ed. del Valgrisi 1585 f.° la lettera del Cortuso al detto Mattioli in principio del T. 1. Ved. Intorno a questi moti la Mem. sull'eliotropismo dell’Helianthus etc., del dottor Attilio Tassi. Pisa.

(4) Colt. degli orti e giardini, pag. 102.

(5) Agricolt. Sperim. MSS. vol. 2, carte 701.

(6) Icones et description. plantar. T. 1, p. 57, tab. 80 ; e T. 3, p.33, tab. 265.


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all’altra, dedicandone il genere al botanico Svedese Andrea Dhal, nome che per essere stato imposto dal Thumberg ad altra pianta, fu cambiato poi dal Wildenow (1) in quello di Georgina purpurea, mantenendo sempre le due varietà credute specie distinte, cioè, la purpurea e la rosea. Ora il Decandolle nomina questa pianta Dahlia variabilis, e volgarmente è detta georgina e dalia. Pare per altro che dal Messico prima che in Spagna, fosse portata nell'Inghilterra nel 1789, da Miledi di Bute, a quello che ne dice l'Aiton (2). In Italia ci pervennero le prime varietà a fiore doppio assai più tardi, poichè le trovo per la prima volta notate nel catalogo del giardino Freylin alla Buttigliera presso Marengo nel 1810, ed in Toscana nel catalogo del R. giardino di Boboli del 1817, e quindi nell'anno successivo in quello del Museo di fisica e storia naturale di Firenzc. A poco a poco se ne è oltremodo estesa la coltura loro, specialmente in questi ultimi tempi, in tutti i nostri giardini, da essersi rese dirò comunissimc. Sono magnifici i fiori di queste piante, ma cosi soggetti a variare, che colla coltivazione accurata, sotto l’influenza del clima e del terreno, e poi soprattutto per l'artificiale fecondazione, se ne sono moltiplicate oltremodo le varietà, si per la diversità dei vivacissimi e schietti colori, che per la grandezza dei fiori, e disposizione dei loro raddoppiati raggi. Il Walner, gran coltivatore a Ginevra di tali piante, ne enumerò 1500 varietà nel suo catalogo di Dahlie, pubblicato in detta città nel 1832. Ma d'allora in poi si sono tanto accresciute di numero, da dirsi infinite, perchè come si esprime il Decandolle hybridae in hortis quotidie creantur (3). Di queste

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(1) Species plantar. T. 3, P. 3, pag. 2124.

(2) Hort. Kewens. ed. 2, T. 5. pag. 88 ; e Botanical Register. Tom. 1.

(3) Prodr. syst. natur. veget. T. 5, pag. 494.


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varietà veramente stupende sotto tutti i rapporti, se ne vedde una copiosissima raccolta spettante a diversi cultori di Flora, alla pubblica esposizione di orticultura e giardinaggio fatta uel settembre 1852 a Firenze, dove la passione per questi bei fiori, non è minore di quella che è per le camelie.

Chrysanthemum

I crisantemi delle Indie, della medesima famiglia delle composte, sono oggimai divenuti comunissimi in tutti i giardini, ma la loro importazione in Europa si può dire recentc. Tutte le copiose varietà che ora ne abbiamo appartengono alla specie medesima, chrysanthemum indicum dei botanici. Il Kempfer ce ne dette la prima notizia, indicando questo vegetabile coi nomi, di Kik, Kikf, Kikku e Kawara Iamogi, coi quali è conosciuto al Giappone dove è indigeno, come lo attesta anche il Tumberg (1), e dove molto apprezzate vi sono per coltivarle nei giardini, le tante varietà di colori. Il Rumphio (2), dice essere questa specie originaria anche della China, e che in Arabia ne coltivano le varietà a fiore bianco, giallo, rosso ec., ma che noi per molto tempo non abbiamo conosciutc. Infatti l'unica qualità che per diversi anni si è coltivata, è quella coi fiori di colore rosso vinato cupo, la quale fu descritta e figurata dal Curtis (3), dicendoci che fiori in Inghilterra la prima volta nel Novembre del 1795, nel giardino del Calvill a Cheslea. Ma l'Aiton (4), riporta al 1764 la coltivazione di questa pianta a Londra, fatta dal Miller. In Francia vi fu importata dalla China per la via di Marsilia, dal Blanchart nel 1789, ed il Ramatuelle la descrisse all'Accademia delle Scienze (5). In Toscana

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(1) Flora laponica, pag. 320.

(2) Herbar. Amboin. T. 5, pag. 259.

(3) Botanical Magaz. T. 10, pag. 327.

(4) Hort. Kewens, ed. 2, T. 5, pag. 95.

(5) Savi, Flora italiana, T. l, pag. 31.


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ci pervenne mandata dall'orto botanico di Pavia a! professor Gaetano Savi per il giardino dell'Università di Pisa nel 1796, e questa può dirsi la prima venuta fra noi ; la quale ben presto moltiplicata, fu sparsa in molti giardini ; e come ho detto, questa varietà fu l'unica conosciuta e coltivata fino al 1812, nel quale anno vennero altre piante di questo crisantemo di fiori gialli, al giardino del marchese Giuseppe Pucci in via dei Cresci a Firenzc. Ma già il Ramatuelle di sopra citato, aveva osservato nell'erbario di Lamark alcuni esemplari di questa pianta a fior giallo, mandati dalle Indie dal Sonnerat, ed il Decandolle nel 1813, come anche l'Aiton nello stesso anno, citarono alcune altre varietà di fiori rosei, gialli, gialli-pagliati, bianchi, porporini, lilla, ruggine, ranciati ec., i quali pervennero ben presto anche in Toscana. E quindi colla promiscuità dei pulviscoli, se ne moltiplicarono le varietà per la forma e disposizione dei flosculi raddoppiati, e per le gradazioni dei già detti colori, cosicchè adesso ve ne sono da per tutto tante e tante razze bellissime per ornamento dei giardini, nella stagione autunnalc. Ed oltre a ciò ora ne abbiamo un'altra sottovarietà detta nana, perchè le piante sono nel loro portamento, e nei fiori, di dimensioni molto più piccole ; e queste debbonsi anche ammirare per una promiscuità maggiore di colori che negli altri (l). La prima ed unica qualità di questi nani che si vedde in Firenze circa il 1825, era di colore giallo.

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(1) Queste numerosissime varietà di crisantemi nani sono state moltiplicate per fecondazioni artificiali, ed introdotte nel giardino del marchese Carlo Torrigiani dal giardiniere Pietro Laghi, che ne portò molti da Roma da lui medesimo ottenuti, come può vedersi nel catalogo di detti crisantemi coltivati nel rammentato giardino, stampato nel 1849, e dove ne sono registrati 200 varietà.


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Hydrangea

Fra i fiori che più modernamente hanno fatto sul loro comparire un gran furore, non può tacersi l'Ortensia, ai nostri giorni divenuta comunissima, tanto a fiore color roseo, che la varietà a fior turchino, la quale si ottiene per una special coltivazione con terra preparata ad arte.

L'Ortensia ebbe dififerenti nomi dai botanici (1), ma più generalmente ora è detta Hydrangea Hortensia. Il Kempfer (2) la fece conoscere come pianta da lui veduta al Giappone, ma di fiori celesti, indicandola coi nomi Sijo, Adsai, Ansai, e Adsikii. 11 Loureiro (3) la chiamò Primula mutahilis, a motivo del cambiamento di colore che fanno i suoi bei fiori, riuniti a globo, in ragione del loro sviluppo e della loro durala, e la dice pianta originaria della China.

Fu detta dal Commerson Peautia, in onore di Ortensia Lapeaute, che fu sua compagna nel viaggio che fece attorno al globo, la quale mori nel 1788. Per questa stessa ragione fu della anche Lepautia : quindi ne fu variato il titolo in Hortensia, non per il nome di Ortensia della predetta donna, ma dalla voce Hortus, quasi flos honorum (4), essendo pianta coltivata abbondantemente in tutti i giardini del Giappone e della China, come ora loè nei nostri. Fu portala da Canton in Inghilterra al giardino di Kew dal Banks nel 1788, secondo l'Aiton (5), o nel 1790 secondo il Curtis (6), lo che sembrerebbe più verosimile, considerando che none ricordala nel

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(1) Fu della Hydrangea hortensis ; Flydr. opuloides ; Hydr. mulabilis ; Hortensia opuloides ; Horten. rosea ; Hort. speciosa.

(2) Amoen. exol. pag. 844.

(3) Flora Cocincinens. T. 1, pag 127.

(4) V. Annat. di Storia nat. di Bologna 1830, T. 3, pag.331. Ttiels, GiossairedeBotan. pag.231 ; Dizion. delle scienze nalur. (rad. in ila!, slamp. a Firenze dal Batelli, T. 12.

(5) Hort. Kew. ed. 2, T. 3, pag. 63.

(6) Botan. magaz. T. 23, pag. 4 38.


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catalogo di detto giardino di Kew, fatto nel 1789, noa bensi in quello dell'anno successivo, e sotto il nome di Hydrangea hortensis. 11 Cels la introdusse in Francia circa il 1790.

La prima pianta di ortensia che venne in Toscana fu nel 1804, introdottavi dalla marchesa Luisa Peroni, che amante della botanica la coltivò nel bel giardino del suo palazzo in via dei Serragli in Firenze, ricco di molle altre piante rare per quel tempo. La varietàa fiore celeste non si conobbe che poco dopo il 1820.

Pelargonium

Dei Gerani, o meglio si direbbe dei pelargoni, tutti nativi dell'AETrica e del Capo di Buona Speranza, e della famiglia delle Geraniacee, pochissimi se ne conoscevano nei nostri giardini avanti il secolo XVIIl, poichè la massima parte sono stati importati in Europa nel corso di detto secolo, ed assai più nel secolo che corre, avendone i giardinieri fioristi moltiplicate le varietàstraordinariamente in questi ultimi anni per mezzo di ibride riproduzioni, fra le varietàpiù eleganti nella loro fioritura. Ed a vero dire ora se ne vedono sempre dei nuovi, e di sorprendente bellezza. Sul finire del XVII secolo si cominciò a conoscerne alcuni, come il Pelargonium cucuUatum ed il capilalum con odore fra la melissa e la rosa, i quali nel 1690 furono introdotti nell'Inghilterra dal Capo di Buona Speranza, per opera del Conte di Portland (1), e giànel 1723 erano registrati nel catalogo delle piante del giardino botanico di Pisa fatto dal Tilli. Nel 1692 nella stessa Inghilterra Roberto Uvedale colli vava il myrrhifoUum, che il Clarici annovera fra quelli conosciuti a suo tempo sotto il nome di Geranio incarnalo colle foglie di betonica, laciniate e macchiate (2), e che nel 1723 era coltivato nel giardino botanico di Pisa.

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(1) V. Alton, HoH.Kiw. ed. 2. T. 4, pag. 144, e 176.

(2) Istor. e cali, delle piante, pag. 405.


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Nel 1693, Giacobbe Bobart coltivava a Londra il Pelargonium atchemilloides, che il Clarici parimente nomina fra quelli ben noti in Italia a suo tempo col nome di Geranio bianco colle foglie di alchemilla, esso pure coltivato in Pisa nel 1723. Ma alquanto avanti, e precisamente nel 1632, era stato condotto a Londra il Pelargonium triste o geranio notturno, dal Tradescant (l), stato poi descritto dal Cornuto (2), e quindi dal Clarici (3). Il conte Lorenzo Magalotti, in una delle sue poesie, scherzò su tal pianta (4), dal che può rilevarsi che giàera nota e coltivata anche in Firenze sul finire del secolo XVII.

Il geranio chermisino (Pelargonium inquinans) fu introdotto nell'Inghilterra l'anno 1714(5), e nel 1723 era nel giardino botanico dell'Universitàdi Pisa (6). Più comuni sono altri due geranj, dei quali unoè detto rosa e rosato per l'odore di rose che hanno le sue foglie intagliate (pelargonium radula var. p.) coltivato ora in tutti gli orti, il quale secondo il Wildenow (7)è un ibridismo del Pelargonium radula fecondato dal pelarg. graveolens, ambedue introdotti in Inghilterra nel 1774 (8). Questo geranio rosaè venuto in Toscana in epoca ignota, ma non lontana, giacchè non lo trovo registrato

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(1) Ailon, Bori. Keio. ed. 2, T. 4, pag. 165.

(2) Hist. plani, canadens. Parisiis 1633, pag. Ili, dove dice che fu introdotto in Francia da Renalo Morin.

(3) Isl. e coli, delle piante, pag. 403.

(4) Canzioniere del Conte Lorenzo Magalotti, nel T. 1 delle poesie inedile, nel Dilirambo il fior d'arancio, dove alla pag. 151, dice : — E quel nemico al di, quel fior geranio ette solo ha olezzo Quando il nostro emisferoè tulio al rezzo, Se non venisse a noi da Udo estranio Lo chiameremmo fior da pipistrelli.

(5) Alton, Hort. Kewens, ed. 2, T. 4, pag. 172.

(6) Tilli, Cai. hort. Pisani, pag. 67.

(7) Spec. piantar. T. 3, P. 1. pag. 679.

(8) Alt. Bori. Kew. ed. 2, T. 4, pag. 178.


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nel 1780 fra le piante del giardino botanico di S. Maria Nuova, nè in quello del Museo del 1782, cosicchè deve esserci stato importato dopo questo medesimo anno. Un altro geranio molto comune e coltivato dalie donne sulle finestre con altre piante odorose,è la cosi detta malva d'Egitto (Pelargonium odoratissimum) pianta che nel 1724 era coltivata in Inghilterra (1), Non la trovo registrata nel catalogo fatto dal Tilli nel 1723 del giardino pisano, nè nell'opera del Clarici, che cessò di vivere nel 1725, nè nel catalogo del giardino botanico dei Semplici fatto dal Micheli nel 1736, comparendomi per la prima volta nel catalogo del giardino di S. M. Nuova fatto da mio padre nel 1780, di modo che deve essere stata importata in Toscana verso la metà del XVIII secolo, e non prima.

La maggior parte poi degli altri pelargoni fu introdotta, come sopra ho avvertito, nel corso del ridetto XVIII secolo, secondo che può vedersi nell'Aiton (2) e nell'Andrew (3).

Origanum

Celebrato fin da lontanissimi anni per le sue pretese virtù vulnerarie fu il dittamo (Origanum dictamnus) della famiglia delle labiate, originario dell'Isola di Greta o Candia, trovandosi ricordato da Ippocrate, da Teofrasto, da Dioscoride e da molti altri Greci scrittori, col nome di diclamnos e dictamnon, e da Virgilio (4) e da Plinio (5) fra i Latini, col nome di diotamnus. Non pare peraltro che si coltivasse in Italia prima del secolo XVI, sebbene fosse adoperato nella composizione dei medicamenti, poichè di Candia ne veniva l'erba secca per la

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(1) Alton, Hort. Kew. ed. 2, T. 4, pag. 167.

(2) Loc. cil. pag. 195 e seg.

(3) Geraniuras or a monograph. of Ihe genas Geranluna elr., by H. C. Andrew. London 1803, 2 voi. In 4.°

(4) Aeneid. L. 12, v. 411.

(5) Hist. nat. L. 26, c. 14, 13.


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farmacia, come lo assevera il Mattioli (1) col dire, nonè gran tempo che s'è comincialo a portare il dittamo di Candia a Venezia ; e come si legge nel Ricettario fiorentioo del 1550, a pag. 21 : // dittamoè una pianta... che ci si porta di Candia. Il Crescenzio (2) parla del Dittamo, cioè delia frassinella come egli stesso dichiara, pianta ben diversa dal dittamo eretico odoroso di cui ora si tratta, e che esso pare non conoscessc. Neppure il Soderi ni ne fa parola nella sua Coltivazione degli orti e giardini ; lo rammenta bensi il P. Agostino Del Riccio (3), come pianta coltivata a suo tempo ; e nelle note a Teofrasto dello Stapel (4) si legge, che il seme di questa pianta fu mandato di Candia a Luca Chini, stato professoreche di botanica a Bologna fino al 1544, e poi a Pisa, da un suo fratello, e gli era nato ; come io stesso Stapel dice essere anche a lui nate delle piante dal seme avutone: in Inghilterra, al dire dell'Aiton (5) vi si coltivava nel 1551. Dalle quali cose ne verrebbe a resultare, che fra noi il dittamo odoroso fosse introdotto nella prima metàdel secolo XVI, e non avanti. Oraè comunissimo, e coltivato sulle finestre dalle donne, come il geranio malva d'Egitto, il bassilico, ed altre pianticelle odorose.

Fuchsia

Le Fuchsie, delle quali attualmente tante specie e varietàce ne sono bene accette e ricercate per le collezioni degli amatori di giardinaggio, sono di modernissima introduzionc. Non si conosceva per lo addietro altra specie che la Fuchsia coccinea, la quale per la prima volta figurò in Italia nel Giardino del conte di Freylin alla Buttigliera presso Marengo nell'anno 1785, come si

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(1) Disc, in Dioscor. T. 2, pag. 746.

(2) Opus rustie, commod. L. 6. c. 41.

(3) Agricolt. teor. MSS. carie 113.

(4) Theophrast. Hist. pi. pag. 1123.

(5) Hort. Kcw. ed. 2, T. 3, pag. 412.


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rileva dal catalogo del detto giardino per quell'anno medesimo. In Firenze venne al giardino Pucci nel 1805, e quel giardiniere Manelli ne fece in seguito tante moltiplicazioni, che in pochissimo tempo gli portarono un guadagno di oltre 7000 lire colla vendita loro ; tanto furono ricercate queste piantc. Nel 1806 figurava nel catalogo del giardino botanico del Museo di Firenzc. Dopo quattro anni, cioè nel 1810, comparve a Torino un’altra specie, cioè la Fuchsia Lycioides, ma tutte le altre che ora si vedono coltivate nei nostri giardini, sono di un’importazione che non va al di làdei dodici a quindici anni all'incirca.

Ananas

Fra le piante da giardini di lusso possono annoverarsi gli ananassi (Bromelia À€nanas) della famiglia delle Bromeliacee, sebbene più che da fiore siano da ritenersi per piante da frutto. Il Rumphio (1) col nome di Nanas, descrivendo l'ananasso, dice essere stato conosciuto per la prima volta dagli Spagnoli al Brasile, doveè originario, ma crede che sia nativo anche delle Indie orientali, perchè ne trovò le piante salvatiche nell'isola d'Amboina ed alle Molucche ; e difatti lo vogliono anche indigeno di varie parti dell'America, di Sierra Leone in Affrica, e dell'Asia (2). Tuttavia il Lochner (3) pensa che dal Brasile fosse importato alle Indie orientali, e di più cita alcuni autori, dai quali si rileva che furono anche in differenti tempi trasferite queste piante alla China, al Siam, al Bengala, al Ceylan in Affrica ec. dove S(mo prosperamente allignatc. In Europa si vuole che fossero trasportate le piante di

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(1) nerbar, àmboin. T. 3, pag. 227, cap. 41.

(2) Roeraer et Schuites, Sysl. vegetabil. T.7, P.2, pag. 1284 ; dove si trovano registrati molli autori clie trattano della coltivazione di tal pianta.

(3) Comment. de Ananasa in Volcaraer, Hesper. Norimberg, pag. 3 ; Acosta aromat. pag. 44.


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aDaoasso prima nei Paesi Bassi, l'anno 1633 (1), ed il Lochner poco fa citato, narra clie il Paludano assevera averne avute nel suo privato giardino nel Belgio delle piante sul principiare del secolo XVIl, che per il freddo andarono malc. Ma poi imparato a custodirle, erano giàverso il 1681 ben coltivate nei giardini di Leida e di Amsterdam, come può rilevarsi dai cataloghi fattine, del primo dall’Hermann, e del secondo dal Commellino. Dall'Aiton (2) siamo informati, che nell'Inghilterra ve lo introdusse il conte di Portland nel 1690. Il Glusio nelle note all'istoria degli aromati dell'Acosta (3), dice nel 1605, di aver mangiato gli ananassi giulebbati che venivano a suo tempo da Giava ; cosicchè non pare che ne vedesse le piante coltivale, nè in Italia, nè in Germania, nè altrove a quell'epoca. La prima memoria degli ananassi in Toscana che trovo,è nel catalogo del giardino botanico di Pisa fatto nel 1723 dal Tilli, ma da quanto ne dice, parlando del fiore e dell'espettativa del frutto, non sembra che fossero piante troppo note in allora fra noi ; e difatti il Del Riccio, nè il Micheli ne fanno parola. Laonde la coltivazione degli ananassi, di cui ora se ne trovano diverse varietàe specie particolari, è piuttosto recente fra noi, e della metàcirca del decorso secolo in poi (4).

Passiflora

Il fior di passione comune, detto granadilla dagli Spagnoli (Passiflora caerulea),è una delle specie le più anticamente conosciute, edè pianta nativa del Perù e del Brasile, e della famiglia delle Passifloree, Da ciò

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(1) Repertor. d'Agricoli, di Torino, T. 15, pag. 296.

(2) Hort. New. ed. 2, T. 2, pag. 200.

(3) Clusius, exotieor, pag. 283.

(4) Per questo varietÀ, V. il Dizion. di Slor. natur. Iradot. in ila), e stampalo dal Batelll. Firenze, T. 2, pag. 95.


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che ce ne dice l'Aiton (1) era coltivata in Inghilterra nel 1699, dalla Duchessa di Belfort. Ma in quanto alla Toscana può dirsi molto anteriore la di lei conoscenza ; poichè Lorenzo Parigi medico, in una sua lettera scritta nel 30 Novembre 1610 a Fra Jacopo Torricella Vescovo di Marsina, nella quale gli dàconto della cappella medicea, o di S. Lorenzo di Firenze, vi parla incidentalmente di questo fiore di passione, portato a noi dall'America verso quel medesimo tempo, e perciò prima che in Inghilterra (2). Alcune altre specie di passiflore venute dopo, sono citate dal Clarici (3), ma molte altre delle più belle che si trovano nei nostri giardini, sono di più moderna introduzione, cioè dalla metàcirca del secolo decorso in poi.

Tropaeolum

Il Nasturzio o Tropeolo, o Gardamino indiano (Tropaeolum majus) della famiglia delle Tropeolacee, fu introdotto in Toscana da Fra Francesco Malocchi minore osservante, custode del giardino botanico di Pisa, che ne ebbe i semi direttamente dal Perù, patria originaria di questa pianta ; lo che fu circa il 1596 (4). Ed il Padre Agostino del Riccio (5) lo nomina come fiore non conosciuto dagli antichi, e nuovo.

Mirabilis

I cosi detti gelsomini di bella notte (Mirabilis jalapa) delle Nictaginee, il Del Riccio gli rammentò frequentemente sotto il nome di gelsomini brachetloni di lanzo, o gelsomini reboredi, e maraviglie di Spagna, dicendo che erano fiori pellegrini, e che vennero in Firenze a tempo che

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(1) Hort. Kew. ed. 2, T. 4, pag. 164.

(2) V. questa lellera inedita nel Codice MSS. giàdel Biscioni, ora nella Magliabectiiana di Firenze, Class. 17, cod. 103.

(3) Isl. e coli, delle piante, pag. 421.

(4) Savi Notizie per servire alla storia del giardino botanico di Pisa.

(5) Agricoli, leor. MSS, carie 11.


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era vivo il Granduca Francesco, cioè prima del 1587, e che altri tulli bianchi gli introdusse a suo tempo il Benincasa Fiammingo (1).

Ipomoea

Anche il Quamoclit (Ipomaea quamoclit) delle Convolvulacee, che fu consideralo un gelsomino sul suo primo comparire, fu accolto come una pianta di assai pregio, ed il Caccini che lo coltivava nel suo giardino a Firenze ne mandò i semi al Glusio (2). Il Soderini dice essere stato portato di semi dalle indie da poco tempo (3), ed i! P. Agostino del Riccio ne tratta come pianta nuova e degnissima, e che fa bella verzura (4), cosicchè sarebbe stata introdotta da noi nel secolo XVI, confermandolo il Wildenow (5) col dire che fu fatta conoscere nel 1680 dal Gesalpino.

Aloysia

L'erba cedrina o cedrola (Lippia citriodora) origiDaria del Perù e di altri luoghi dell'America meridionale,è della famiglia delle Verbenacee, ed ha ricevuto diversi nomi dai botanici (6). Nonè di antica introduzione e forse di verso il 1780, poichè il Savi (7) ci dice che a quell'epoca era pianta rara in Toscana.

Ma qui vasto campo si presenterebbe, se si volesse tener dietro alla introduzione fra noi di moltissimi altri fiori, che nei secoli XVI e XVII furono ricercati per ornamento dei giardini ; fiori che per mancanza di meglio, e perchè forestieri, allora si applaudivano, e che ora sono diventati troppo triviali, da non metter conto di parlarne. Invece sarebbe miglior pregio dell'opera dire

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(1) Agric. teor. MSS. carte 40.

(2) V. Clus. Curae poslerior. pag, 8.

(3) Colliv. degli orti e giardini, pag. 231.

(4) Agric. leor. MSS. carte 149, 166 ed altrove.

(5) Spec. piantar. T. 1, P. 2, pag. 880.

(6) Verbenia triphylla: À€loysia cilriodora : Zappunia citriodora. (7) Trattalo degli alberi, ed. 2, T. 2, pag. 32.


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di quelli che sul finire del secolo decorso, e nel corrente nostro, si vedono importati, primieramente in Inghilterra, dove il lussoè oltremodo esorbitante in questo genere di coltura e di traffico ; poichè di làsubito si propagano per tutti i più rinomati giardini dell'Europa, e via via da questi ad altri, lo che costituisce un ramo d’industria e di commercio estesissimo, e di cui poca idea se ne aveva in addietro. Ma l'abbondanza di queste svariate pianteè cosi strabocchevole, che sgomenta il solo pensare a farne un semplice catalogo ; e da un'altra parte la loro importazioneè cosi affollata e repentina, che non si può starvi dietro con una certa esattezza, e colla diligenza opportuna. Oltre a ciò non offrono le piante moderne che poco o nulla di particolare nella loro storia, come ce la presentano molte di quelle di cui ho parlato ; e perciò per saperne la loro natura, qualitÀ, ed anno della loro introduzione in Europa, si possono consultare con profitto alcune opere periodiche destinate a far conoscere ai dilettanti, mediante anche le figure colorile, le piante che giorno per giorno vengono come nuove nell'orticultura Europea. E tali opere che io raccomando sono il Botanical magazine (1), il Botanistrepository (2), il Botanical register (3), opere stampate a Londra, e delle quali ogni mese esce un fascicolo ; e finalmente la flora di Van Houtt (4) essa pure ogni mese data a fascicoli a Bruselles dal 1845 in poi.

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(1) Cominciato dal Curtis nel 1793, e conlinovato dal Sinas col lilolo di Botanical magazine or (lower garden displaied.

(2) The botanist repository for new and rare plants ec. by Henry Andrew. London 1797. 4.°

(3) The botanical regisler consisting of coulored figures of exolic plants cullivated in english gardens ec. London 1815.

(4) Flore des serres et des jardins de l'Europe, or descript, et flgur. des plantes les plus rares et le plus merilanles novellementin(roduicles sur le contlnent, on en Angleterre ec. Gand. 1845.


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Di più le opere dell'Aiton (1) e dello Sveet (2), e molti cataloghi di giardini botanici pubblici, spettanti alle principali cittÀ, o di particolari dilettanti, come per eserapio quello dell'Avvocalo Luigi Colla del suo giardino di Ripoli, io Piemonte, quello del Marchese Ridolfi a Bibbiani in Toscana, l'altro del Prof. Tenore di Napoli (3), sono nel caso di fornire le desiderate notizic. A questi se si uniscono i cataloghi di tanti commercianti fioristi di varj luoghi, che via via esibiscono le nuove piante acquistate e messe in vendita, avremo di che raccogliere dati sufficienti, per stabilire l'introduzione delle piante medesime nelle differenti province dell'Europa, e per il nostro scopo più speciale d'Italia.

E poichè questo commercio d’importazione si fa principalmente in Inghilterra, nel Belgio, ed anche in Francia, perciò noi possiamo vedere nei libri superiormente citati l'epoca nella quale sono via via le piante introdotte nei detti paesi, e soprattutto in Inghiltera, e calcolare che poco tempo dopo sogliono trovarsi sparse da per tutta l'Europa, atteso l'attuale perfezionamento moderno dell'arte di propagare sollecitamente i vegetabili per via di molte pratiche e modi, per 1’addietro sconosciuti.

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(1) Hortus Kewensis or a calalogue of the plants cuKivated in Ibe R. botan. Garden al Eew. eic. 2.^ edizionc. London 1810, 1813. 5. voi. 8."

(2) Hortus brilannicus, or a Catalogne of ali the plants, Indig. or culUvat. in the Great Brilain 3. edicl. London 1839, 8."

(3) Hortus Ripulensis, seu enumerano plantar.quae Ripulis colunlurab Aloys. Colla eic. Auguslae Taurinorum 1824, i.° ; el eius appendices. — Calalogo delle piante coltivate a Bibbiani, e cenni su qualcuna delle medesime del Marchese Cosimo Ridoin. Firenze 1843, 4.° Tenore, Calalogo delle piante che si coltivano nel R. Orto botanico di Napoli, corredalo della pianta del medesimo, e di annolazioni. Napoli 1848, 4."